Giorno per giorno – 05 Maggio 2011

Carissimi,

“Chi viene dal cielo attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza. Chi ne accetta la testimonianza, conferma che Dio è veritiero” (Gv 3, 31-33). Può sembrare paradossale, eppure Dio gioca la sua credibilità nella nostra disponibilità ad accogliere la testimonianza di Gesù. Cioè, finché non c’è qualcuno che accolga e faccia suo l’agire di Gesù, non possiamo aver conferma della veracità di Dio. Del fatto, cioè, che Dio sia davvero come dice (e come è) Gesù. Ma, nello stesso tempo, noi giochiamo la nostra vita, nel suo senso più pieno, dato dal dispiegarsi e realizzarsi di tutte le sue potenzialità, nel credito che, a Gesù, saremo stati in grado di accordare. E questo, sia ben chiaro, senza altra prova che ce ne possa rendere convinti, al di fuori della sua nuda Parola. Che è diventata storia di un uomo, duemila anni fa. E che, da allora, si propone come storia dell’uomo e di chiunque voglia cominciare ad essere figlio di Dio. Che sappia o meno che quella prassi e quel significato ha nome Gesù. Se no, avremo scelto di abbandonarci, liberamente ma anche inesorabilmente, in balia dell’ira (v. 36), il tempo in cui dominano le forze dell’egoismo, della prepotenza e del disamore. Ma, perciò, anche della disperazione. Come difatti. Lui, però, da sempre, accetta la sfida di fronteggiarle e, quindi, di sostenerci: ci “dà, infatti, lo Spirito senza misura” (v. 34). Sicché, possiamo sperare di farcela.

 

Oggi, le Comunità cristiane di questo Continente fanno memoria di Isaura Esperanza, “Chaguita”, catechista e martire in El Salvador, e di Barbara Ann Ford, religiosa statunitense, martire della solidarietà con il popolo guatemalteco.  

05 MARTIRES.jpgLe poche notizie che abbiamo su Isaura Esperanza le sappiamo dal Martirologio latinoamericano.  Chaguita, così la chiamavano, era catechista, faceva parte della Legione di Maria ed era membro della Commissione popolare di Villa Dolores, nella capitale salvadoregna. La sera del 5 maggio 1980, stava impastando la farina per preparare il pane, nella sua casa. All’improvviso entrarono quelli delle brigate di sicurezza, in civile, obbligando tutti a sdraiarsi per terra. Poi, furono su di lei e la crivellarono di colpi. Non contenti, quando già era morta, ne calpestarono il cadavere. E se ne andarono. 

05 Barbara Ford.jpgBarbara Ann Ford era una religiosa delle Suore della Carità di New York. Nata nel 1939, era giunta in Guatemala nel 1978, per lavorare con le popolazioni più povere e indifese del Paese. Negli ultimi tempi di vita, stava lavorando per impiantare a Lemoa, nel dipartimento del Quiché, un progetto di salute mentale, nel quale le vittime dei crimini di guerra, per lo più indigeni maya, potessero raccontare ciò che si erano portati dentro fino ad allora: le drammatiche esperienze vissute nei 36 anni di sanguinosa repressione, che aveva causato trasferimenti forzati in massa, sequestri, torture e il massacro di oltre 200.000 persone. Hermana Barbara aveva anche collaborato con Mons. Gerardi, assassinato il 26 aprile 1998, nella stesura del Rapporto sulle violazioni dei diritti umani in Guatemala, che provava la responsabilità diretta dell’esercito per oltre il 90% degli omicidi compiuti in quegli anni. Il 5 maggio 2001, la religiosa si era recata nella Capitale per acquistare uno scaldabagno per la missione di Lemoa, quando fu avvicinata da sconosciuti che le spararono a bruciapelo e si impadronirono dell’auto, su cui viaggiava, abbandonandola, per altro a pochi metri di distanza dal luogo del delitto e fuggendo poi a piedi. In un primo momento la polizia tentò inutilmente di depistare le indagini, attribuendo il delitto a un fallito tentativo di furto.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap. 5, 27-33; Salmo 34; Vangelo di Giovanni, cap.3, 31-36.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

Il maltempo flagella da giorni alcune regioni del Nordeste brasiliano, negli stati di Alagoas, Pernambuco, Rio Grande do Norte, provocando vittime e danni incalcolabili, con esondazioni, frane e allagamenti di interi centri abitati. I governi, le chiese e le associazioni si mobilitano in uno sforzo congiunto che porti sollievo a quanti hanno perso congiunti, beni, case, raccolti. Per il resto è solo preghiera, con l’interrogativo a cui si dovrà dare una risposta se tutto ciò era evitabile.

 

Per stasera è tutto. Il mistero della croce che è al centro della riflessione dei cristiani in questo tempo di Pasqua, ci si propone come il dramma dell’ira che si abbatte sull’innocente; ira che è insieme negazione dell’uomo e rifiuto di Dio da parte di chi se ne rende responsabile, ma è anche segno della grazia, del dono e del perdono di Dio, da cui siamo raggiunti, per poi esserne strumenti nella storia del nostro tempo. Su questo tema, vi proponiamo, nel congedarci, una riflessione di Jon Sobrino, tratta dal suo libro “El principio misericordia” (UCA), che è, per oggi, il nostro     

 

PENSIERO DEL GIORNO

Il perdonato a cui sono stati aperti gli occhi sulla morte che impera nel mondo di oggi e sulla sua partecipazione ad essa (con tutte le analogie del caso) deve mettere a frutto (e così accade) il suo ringraziamento. Come Ignazio davanti a Gesù crocifisso, anch’egli si chiede davanti al popolo crocifisso: “Che ho fatto io per crocifiggerlo? Che faccio perché lo schiodino dalla croce? Che devo fare perché questo popolo risorga?”. Il perdono, allora, non resta circoscritto a colui che è perdonato, ma straripa nel ringraziamento, e questo nella pratica storica della misericordia (con tutte le mediazioni congiunturali e strutturali, di trasformazioni oggettive e di accompagnamento nella sofferenza e nella speranza…). Il perdonato apporta alla liberazione il ricordo della propria peccaminosità, reale e sempre possibile, di quanti orientano la loro vita verso una prassi di liberazione. Questo ricordo non è di tipo masochista; è una memoria salvifica, come lo è la “memoria pericolosa” di Gesù, perché, per quanto esigente, ci riporta alla verità e all’integrità del reale. Il ricordo del proprio peccato genera un’umiltà fruttuosa; rende più facile riconoscere (e rimediare) i limiti a cui sono soggetti i processi di liberazione, per quanto necessari, buoni e giusti essi siano; rende più facile percepire (e rimediare) i dogmatismi, i protagonismi e i riduzionismi che, inevitabilmente, anche questi processi generano come sottoprodotti negativi. In una parola, il ricordo del proprio peccato – ricordo dignitoso e non nevrotico, reso possibile dal perdono – aiuta a minimizzare la hybris che si introduce anche nella pratica della liberazione. “Fare la rivoluzione, come un perdonato”, secondo la felice espressione di Gonzáles Faus, è un bene per la pratica della liberazione, perché questa sia più umana e umanizzante e si tenga lontana dai pericoli che la minacciano, e anche perché – alla lunga – sia più operativa. ( Jon Sobrino, El principio misericordia).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.    

Giorno per giorno – 05 Maggio 2011ultima modifica: 2011-05-05T22:42:00+02:00da fraternidade
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