Giorno per giorno – 06 Maggio 2011

Carissimi,

“Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?” (Gv 6, 5). Dio è questo sguardo sulla gente e questa preoccupazione per la sua fame. Come ogni buon padre o una madre quando vede la dispensa vuota e sa che i figli stanno arrivando  a casa. Ma, Dio, il suo Spirito, è anche il suggerimento buttato lì da Andrea: “C’è qui un ragazzo che ha cinque pani e due pesci”, per aggiungere subito a mo’ di sfida: “già, ma cos’è questo per tanta gente?” (v. 9). Dio, infine, è quello stesso pane, moltiplicato all’infinito, a partire dalla disponibilità di pochi, anche di uno solo, come sarebbe stato di suo Figlio, per saziare tutti. Allora e in ogni tempo. Anche noi. I dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo avanzati erano destinati, dunque, tra gli altri, a noi e, se lo vogliamo, erano noi, dati con Lui in cibo alle moltitudini. Questo significa essere risorti. A questo ci invitano le nostre eucaristie. Se non vogliono essere inutili bestemmie.    

 

Oggi è memoria di padre Giulio Bevilacqua, apostolo tra i giovani, i lavoratori e i poveri; di padre Esteban Gumucio Vives, prete al servizio del Regno; e dei Venticinque Martiri ebrei di Palma di Maiorca, colpevoli di professare la loro fede. Che era la fede di Gesù.

 

06 GIULIO BEVILACQUA.jpgGiulio Bevilacqua  era nato a Isola della Scala (Verona), il 14 settembre 1881, ultimo dei dieci figli di Carlotta Oliari e di Matteo, commercianti provenienti dalla trentina Val di Ledro. Trasferitosi con la famiglia a Verona, prese parte attiva alla vita della locale comunità cristiana e alle lotte sociali del tempo. Dopo essersi laureato a Lovanio in Belgio con una tesi sulla legislazione operaia in Italia, entrò tra i Filippini, a Brescia, e fu ordinato sacerdote nel 1908. Prese a svolgere la sua attività di apostolato soprattutto tra i lavoratori e gli studenti, insegnando col Vangelo la consapevolezza dei propri diritti di uomini e di cittadini. Inviato al fronte durante la Grande Guerra, al servizio di soccorso ai feriti, ne fu profondamente segnato. Definì la guerra: “crisi di dignità, notte di miseria umana, follia e abisso di dolori, è un inferno inutile”. La denuncia più dura l’avrebbe riservata, solo pochi anni più tardi, al fascismo, denunciato come dottrina che stravolge ogni valore, pratica violenta, dittatura civile, e forza anticristiana, con cui è impossibile venire a patti. Per sfuggire al fascismo, si rifugiò in Vaticano, ove rimase dal 1928 al 1932, stringendo una profonda amicizia con mons. Montini, il futuro Paolo VI. All’entrata dell’Italia in guerra, nel 1940, pur denunciando la scelta sciagurata del Paese come “apostasia da Cristo” decise di partire per il fronte, come cappellano, per condividere le condizioni dei suoi giovani. Tornato a Brescia, alla fine della guerra, si dedicò alla predicazione e all’approfondimento della pastorale liturgica, ma soprattutto alla cura pastorale dei più poveri nel suo quartiere di periferia. Chiamato a Roma per far parte della Commissione preparatoria del Concilio Vaticano II, fu creato, nel 1965, cardinale. Accettò a condizione di poter restare come parroco tra la sua gente. Il Venerdì santo di quello stesso anno si sentì male in chiesa. Celebrò l’ultima messa con i suoi fedeli nel giorno di Pasqua. Morì il 6 maggio 1965, mentre pregava la Salve Regina.

 

06 Esteban Gumucio Vives.jpgJoaquín Benedicto (tale il nome al battesimo) era nato il 3 settembre 1914 a Santiago del Cile, nella famiglia di Amalia Vives e di Rafael Luis Gumucio. Entrato diciottenne nel noviziato della Congregazione dei Sacri Cuori a Los Peroles, fece, un anno più tardi, a Valparaiso, la sua prima professione temporanea, assumendo il nome religioso di Esteban. Fu ordinato presbitero nel 1938. Durante la sua vita fu professore nei collegi della sua Congregazione, maestro dei novizi, superiore provinciale, predicatore di ritiri ed esercizi spirituali un po’ ovunque, consigliere del movimento “Encontro Matrimonial” e, segretamente, poeta. Fu il fondatore e per molti anni parroco della parrocchia dei santi Pietro e Paolo nel quartiere operaio de La Granja, che andava sorgendo all’inizio degli anni sessanta nella periferia sud di Santiago, e dove ritornò all’inizio degli anni novanta. Nel maggio dell’anno 2000, gli fu diagnosticato un tumore al pancreas, che lentamente consumò il suo corpo, mentre ne faceva risaltare la qualità interiore. Il 6 maggio 2001, nella domenica del Buon Pastore, P. Esteban incontrò l’abbraccio del Padre. Lasciò scritto per i suoi confratelli: “Che sempre tra fratelli ci amiamo davvero, senza pretendere mai di averla vinta, ma restando piuttosto umili servitori gli uni degli altri, accogliendo ciascuno nella sua originalità e con i suoi limiti. Non importa che in futuro si resti in pochi fratelli, l’importante è che lo siamo davvero nel Cuore di Gesù, con una cordialità semplice come quella che possiede il cuore della Madre di Gesù.  Mi piacerebbe che il servizio preferenziale ai poveri e la nostra povertà per Gesù non ci vedesse mai soddisfatti, come chi prende bei voti a scuola. La povertà non è per conseguire primati, ma per centrarci in noi stessi. Che i poveri, allora, ci addolorino e che noi ci lasciamo ammaestrare da loro. Sogno una congregazione gioiosa e fiduciosa in Dio, qualunque cosa accada: la grande lezione che la nostra comunione nella missione deve regalare alla chiesa e al mondo è di testimoniare che la cosa più grande e la migliore per l’esistenza del mondo è vivere come figli gratuitamente amati dal Padre, in Gesù, con lo Spirito”.

 

06 menorah.jpgIl 6 Maggio 1691 fu scoperta a Palma di Maiorca, nelle Isole Baleari, una sinagoga segreta. Nell’autodafé che ne seguì furono messe a morte 25 persone. Di esse, ventidue furono garrotate prima di essere bruciate, mentre Rafael Vails, la guida spirituale del gruppo, il suo discepolo Rafael Benito Terongi e la sorella di quest’ultimo, Catalina Terongi, furono bruciati vivi.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap.5, 34-42; Salmo 27; Vangelo di Giovanni, cap.6, 1-15.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

 

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda, lasciandovi al brano di una lettera di padre Estebam Gumucio a un amico prete. Parla della fame dei poveri. E perciò anche dell’Eucaristia e di Dio. E ci fa pensare a ciò che vivono gli immigrati, i profughi e gli altri impoveriti, privati del loro diritto alla vita, alla tranquillità, alla felicità. È tratta dal suo libro “Testigo de Nuestro Tiempo” ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La stragrande maggioranza delle famiglie operaie di qui vivono spaventate dal fantasma della fame, ciò che hanno sperimentato in prima persona in una qualche epoca della vita familiare, o lo hanno sentito da molto vicino in un parente, un amico, un vicino di casa. Questo crea un clima di “paura”. Noi che siamo nati in famiglie finanziariamente al sicuro non riusciamo a renderci conto  della risonanza e della profondità psicologica che questa paura comporta. Invece, per le famiglie povere, questa paura esplicita o implicita è la mollica del loro pane, è la condizione in cui sono nate e in cui continuano a vivere.  Il fantasma della fame è sempre presente e attivo nell’immaginazione. Prende corpo in un possibile incendio, in una malattia che renda inabile il padre o la madre, in una riduzione del lavoro, nel licenziamento che oggi può toccare a questo, domani a quello… La fame qui è molto reale e molto presente. Ha il certificato di cittadinanza.  [….] In genere, la famiglia operaia che si è sistemata custodisce con pudore il segreto delle sue esperienze passate. Però, quando la si avvicina con amicizia, affiora il ricordo della fame come una nota dolente che riveste di precarietà la stabilità presente. Questo timore spettrale è ancora più crudo tra coloro che non possono contare su una benché minima sicurezza economica. È evidente. Tu ed io lo sappiamo da quando si era bambini. Per me la differenza nella percezione di questa situazione terribile e insopportabile si fonda sul fatto che ora queste persone mi sono più vicine. È diverso quando scopri una fame che viene dal tuo stesso mondo.  Nel  primo caso tu senti compassione, vuoi porvi rimedio e probabilmente vi provvedi con un gesto generoso che consiste in denaro, vestiti, alimenti e lavoro ottenuto tramite influenze sociali. Ma è solo un episodio, una tappa eccezionale nel tuo cammino. Rivivi letteralmente la parabola del Samaritano, dove appaiono tre potenziali soccorritori per un solo ferito. Ma quando la fame viene dal tuo stesso mondo, cioè, quando queste persone che vivono la paura o la realtà sono persone con cui hai uno scambio più o meno abituale di dare e ricevere sotto molti aspetti e sono tuoi compagni con nomi e cognomi, la parabola diventa differente: tu non vieni a incontrarti con loro; tu vai con loro e la paura ti invade perché sono tuoi. Per un potenziale samaritano ci sono oggi duemila feriti e dieci mila candidati. Improvvisamente ti viena voglia di uscire a combattere i banditi che hanno rapinato i tuoi duemila amici; vorresti sobillare i diecimila candidati alla fame, e con loro sgombrare la strada; ma hanno paura, una paura che non è mancanza di coraggio o di integrità morale, è paura della fame e dell’umiliazione. (P. Esteban Gomucio Vives, El hambre al acecho).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 06 Maggio 2011ultima modifica: 2011-05-06T23:19:00+02:00da fraternidade
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