Giorno per giorno – 07 Maggio 2011

Carissimi,

“Il mare era agitato, perché soffiava un forte vento. Dopo aver remato per circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: Sono io, non abbiate paura!”  (Gv  6, 16-20).  Ciò che Giovanni descrive è una situazione di crisi. Della società, della chiesa, di una famiglia. Persino, nostra personale. Di quando Gesù se ne è andato da qualche altra parte (magari a pregare, come gli succede spesso). O a morire (come quella volta sul Calvario). E, perciò Dio (il suo Significato, che è, appunto, Gesù, il Principio della cura) non c’è, o, comunque, non si fa vedere e sentire. È, per esempio, quando ci succede qualcosa di grosso, di inatteso, come è accaduto anche nel bairro, negli ultimi giorni, con seu Ciato e, più ancora (se si può dire) con Daniel. E non si sa mica bene cosa fare, o pensare, o dire: sembra di remare a vuoto, senza riuscire a intravvedere la riva, un approdo. Oh, certo, nel mondo, ci sono drammi e tragedie infinitamente maggiori, se non altro numericamente. Del resto, proprio oggi la televisione ci ha portato le immagine della manifestazione a ricordo dei dodici adolescenti uccisi un mese fa nella scuola di Realengo, a Rio. Con il pianto inconsolabile delle madri, la vigilia della loro festa, e dei famigliari e amici. Ma quanti altri casi. Noi non abbiamo ancora occhi abbastanza esperti per vedere Gesù che si avvicina, che, anzi, non si è mai allontanato. Almeno Lui. Però c’è qualcosa che ce lo rivela. Seu Ciato, per esempio, se ne è andato già da otto giorni. E lui, che non era proprio quello che comunemente si penserebbe essere un santo, ha già fatto però un piccolo miracolo: ha sanato incomprensioni, torti, ha portato riconciliazione e perdono. Sicché è da otto giorni che tutta la famiglia, la grande famiglia, figlie e figlie, generi, nuore e nipoti, passa la notte là, nella sua casa, sistemata alla bell’e meglio, e c’è chi dorme nei letti, chi sui materassi per terra, tutto per non lasciar sola e prendersi cura di dona Fia, come fosse l’ultima e più fragile nata. Lei, naturalmente, si lascia coccolare e coccola a sua volta, e il dolore così, poco a poco, si stempera. È, a pensarci bene, una maniera di vivere la risurrezione, di credere a quell’ “Io-ci-sono, non temete” che si fa presente, per trasmetterselo, poi, a vicenda: Sono qui io, non avere paura.       

 

Oggi il martirologio latinoamericano fa memoria di Elvira Hernández e Idalia López, catechiste e martiri in El Salvador.

 

07 de maio.JPGElvira e Idalia erano due ragazze della stessa età che abitavano in un quartiere della periferia povera di San Salvador, chiamato La Fosa. Entrambe facevano parte della locale comunità cristiana. Elvira, dopo aver fatto la prima comunione, si inserì in un gruppo di adolescenti fortemente motivati e interessati ai problemi della realtà sociale. A 13 anni fece il suo primo discorso in pubblico sul tema: “Alla scoperta dell’ideale cristiano”. Più tardi, entrò in un’organizzazione che operava tra gli abitanti delle zone maggiormente emarginate, come maniera concreta di promuovere solidarietà. Un giorno, mentre si stava preparando per una celebrazione, venne raggiunta da una raffica di mitra partita da un veicolo in corsa e cadde morta, assieme ad un  altro compagno della comunità. Era il 18 aprile 1980. Aveva 14 anni.  Idalia López, era nata in una famiglia molto povera. Prendendo parte alla vita della comunità aveva imparato che il Vangelo non è solo Parola, ma è anche Vita. A tredici anni, nel giorno della sua prima comunione, si impegnò pubblicamente a lavorare in favore della sua gente. Quando nella comunità maturò l’idea di costruire un centro di salute, Idalia decise di fare un corso di pronto soccorso per lavorarvi come infermiera. A quindici anni si integrò in un gruppo giovanile della parrocchia di San Francisco Mejicanos. Nello stesso tempo si preparò per diventare catechista. Gli amici dicono che Idalia si distingueva per la profondità della sua riflessione, oltre che per la sua dedizione e la sua solidarietà con i più poveri. Uscendo da una riunione, il 7 maggio 1984, Idalia fu aggredita dai componenti di una ronda della difesa civile, che la ferirono ad una gamba. Quando già era a terra, furono su di lei e le spararono un colpo di grazia al volto.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap. 6, 1-7; Salmo 33; Vangelo di Giovanni, cap.6, 16-21.

 

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

Noi ci si congeda qui. Con un brano del teologo salvadoregno Jon Sobrino, per il quale, l’avrete capito, abbiamo un debole. È tratto dal suo libro “Tracce per una nuova spiritualità” (Borla) ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

L’opzione per i poveri può essere condotta a termine in diversi modi, ma cristianamente deve riprodurre quei valori, quegli atteggiamenti, quelle virtù – se si vuole – realizzate e richieste da Gesù. Si tratta pertanto di riprodurre lo spirito fondamentale di Gesù al servizio del regno di Dio e il modo di condurre a termine il suo servizio, la tempra di Gesù nel suo servizio al regno. Ciò appare programmaticamente in molte delle esigenze di Gesù, nel discorso della montagna e soprattutto nelle beatitudini. Vi si dice come debba essere il seguace di Gesù che lotta per la giustizia. La spiritualità esige l’impoverimento, la tendenza a svuotare se stessi, alla rinuncia, accettando che in questa debolezza vi sia un tipo di forza che non si raggiunge in nessun altro modo, e che soltanto tale impoverimento possa sanare la concupiscenza inerente all’uso del potere, d’altra parte necessario. Esige il cuore puro, la carità profonda per riconoscere le cose come sono, senza manipolarle in proprio favore, senza cedere al dogmatismo sempre disumanizzante che vuol far coincidere la realtà con le proprie idee e i propri interessi.  […] Esige la ricerca della riconciliazione e del perdono, non solo come atteggiamenti puramente psicologici a volte difficilmente raggiungibili – anche se ve ne sono esempi commoventi -, bensì come l’atteggiamento di chi non chiude per sempre il futuro all’avversario e di chi riconosce che anche in lui può esistere qualcosa di positivo. Esige l’atteggiamento di gratuità, così difficilmente concettualizzabile, che da un lato ci fa riconoscere come “servi inutili” e dall’altro dà alla prassi il vigore di chi si sente riconoscente; in ogni caso è l’esperienza della gratuità a sanare la hybris  inerente a qualunque progetto umano, per buono e giusto che sia. Esige l’atteggiamento di gioia in mezzo al dolore, sapendo che possiamo sempre rivolgerci a Dio come Padre nella preghiera, nell’Eucaristia, nelle celebrazioni della vita quotidiana, della solidarietà, dei parziali trionfi. Esige infine che si mantenga lo spirito dell’utopia, si ponga la propria fiducia in un futuro che sarà salvifico, e che ci spinge sempre a raggiungerlo anche se non potremo raggiungerlo, a cercare di riconciliare sempre quanto nella storia è difficilmente conciliabile: lotta e pace, giustizia e perdono, nuovi uomini e nuove strutture. (Jon Sobrino, Tracce per una nuova spiritualità).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 07 Maggio 2011ultima modifica: 2011-05-07T23:39:00+02:00da fraternidade
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