Giorno per giorno – 08 Maggio 2011

Carissimi,

“Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?” (Lc 24, 17-18). Chi di voi si ostina ancora a leggerci, ci perdonerà se anche quest’oggi limiteremo il nostro orizzonte a qui da noi. Ma stamattina, nella chiesa del monastero, quando durante la lettura del Vangelo è risuonato il nome di Cleopa che fa quella domanda allo Sconosciuto, abbiamo pensato che potesse essere Cleusa (i due nomi, del resto, sono così simili), che se ne stava seduta, in pianto, nella seconda fila, appoggiando la testa ora sulla spalla di Luana, ora su quella di Cárita. In questa eucaristia (che significa niente meno che “ringraziamento”), a una settimana dalla morte del figlio. E solo uno straniero potrebbe domandare di cosa si parli qui, in questi giorni. E che può dire una madre se non: che voglia di scappare, di sparire, di non esserci. O: dovevo esserci io, al suo posto. O anche: avevo ancora troppe cose da dirgli e lui da dirmi, ma non me ne ha lasciato il tempo. Troppe gioie da darci, ma, se fosse il caso, anche dispiaceri, litigi, incomprensioni, pianti, perché tutte queste cose passano in fretta, e lui rimane, lui è qui di nuovo. E, comunque, nascosta sotto ogni altra affermazione o domanda o silenzio, c’è un “perché?” destinato forse a restare senza risposta. I due discepoli se ne vanno, dunque, in preda al loro dolore, alla loro delusione, forse anche ai loro sensi di colpa: nel momento in cui Lui aveva avuto più bisogno, loro lo avevano lasciato solo. Emmaus, poi, può essere semplicemente sprofondare nella quotidianità di un tempo, senza senso né spessore, o fuggire verso qualche sogno che, possibilmente a buon prezzo, li strappi comunque dalla realtà. Speravamo. Non è successo. Un’amica ci scriveva ieri: “È il pensiero che mi accompagna ogni sera: la promessa di una giornata finalmente capace di dono, di generosità, di gioia, che avevo intravisto al mio risveglio, si è arenata ancora una volta  in mezzo a mille meschinità, perdite di tempo, lavori fatti per fare, impazienze, recriminazioni. Ed io mi ritrovo solo un po’ più cattiva, mediocre e frustrata di quanto non ero”.  Sì, la fuga verso Emmaus è questa cosa qui. Che, però, a Lui, gli fa simpatia. Cioè, noi gli andiamo bene anche così. L’importante è raccontargliele, queste cose. E poi, se riusciamo, metterci ad ascoltarlo. “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze?” (v.26) e, allora, almeno con ugual ragione, non bisogna forse ogni altra sofferenza e delusione? No, chiaro che no, non bisognava né bisogna. Almeno, finché la sofferenza non accade. Ma quando essa è ormai penetrata nella nostra vita, c’è modo di salvarla, e di salvarci, perciò, facendoci entrare Dio. L’amore, che è Dio, redime e riscatta ogni sofferenza, ogni tragedia, anche se le piaghe, le cicatrici resteranno per sempre. Ma non saranno più i marchi della cattiveria del mondo (o, quando capita, della nostra), ma i segni dell’amore, della condivisione, del dono (il pane spezzato), di cui Lui ci avrà resi capaci.         

 

I testi che la liturgia di questa 3ª Domenica di Pasqua propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap.2, 14. 22-33; Salmo 16; 1ª Lettera di Pietro, cap.1. 17-21;  Vangelo di Luca, cap.24, 13-35.

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

 

Oggi la comunità fa memoria di Giuliana di Norwich, eremita e contemplativa.

 

08 JULIANA_DE_NORWICH.JPGNata l’8 novembre 1342 a Norwich, in Inghilterra, Giuliana aveva trent’anni, quando, durante il mese di maggio, una grave malattia la portò in punto di morte. Della sua vita, fino a quel momento, non sappiamo nulla. Sappiamo invece, perché lo raccontò lei stessa, che, dopo sette giorni, il 13 maggio 1373, ebbe una serie di sedici visioni in cui potè contemplare la passione di Cristo, ricavandone una grande sensazione di pace e di gioia. Divenuta eremita, prese a vivere in una piccola capanna nei pressi della chiesa di san Giuliano a Conisford, da cui prese il nome e dove  dedicò il resto della vita a pregare e a riflettere sul significato di quelle visioni. Frutto di queste meditazioni fu il Libro delle Rivelazioni, steso in due redazioni differenti, una più breve, scritta a ridosso di quell’esperienza, e un’altra più lunga, su cui lavorò per circa vent’anni, ricca di riflessioni sul significato di quelle visioni. Giuliana è nota per la sua insistenza sul tema della “maternità” di Dio e  per il suo ottimismo teologico, in forza del quale arrivò a scrivere: “Tutto sarà bene, e tutto sarà bene, e ogni sorta di azione sarà bene”. La sua teologia rivela una profonda consapevolezza che tutto l’essere dell’uomo riceve senso dal fatto di essere posto tra le mani amorose di Dio. Qualunque cosa accada. Giuliana morì probabilmente intorno al 1417. La Chiesa d’Inghilterra celebra la sua memoria in questo giorno.

 

Beh, ci salutiamo qui. Con una citazione, che troviamo assai bella, di Giuliana di Norwich, tratta dal suo “Showing of Love”, “Le rivelazione del divino amore”. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Se guardo a me stessa singolarmente io non sono proprio niente; ma se mi considero in generale, sono, io spero, in unione di carità con tutti i miei fratelli cristiani. E in questa unità sta la vita di tutti gli uomini che saranno salvati. Perché, per quanto vedo, Dio è tutto ciò che è buono. E se un uomo o una donna tralascia di amare anche uno solo dei suoi simili, in realtà non ama nessuno, perché non ama tutti e così, per la durata di quel tempo, non è salvo, perché non è in pace. Dio ha fatto tutto ciò che è creato, e Dio ama tutto ciò che ha creato. E colui che ama tutti per Dio ama tutto ciò che esiste ed è salvo.  Perché nell’umanità che sarà salvata è compreso tutto, voglio dire tutto ciò che è creato e il Creatore di tutto. Perché nell’uomo c’è Dio, e Dio è in tutto e così nell’uomo c’è tutto. E chi ama così, ama tutto. E perciò io desidero amore, e perciò amo, e perciò sono salvo. Con “io” intendo ogni altra persona. E quanto più amo questo amore, mentre sono qui, tanto più pregusto la felicità senza fine di cui godrò in cielo, che è Dio stesso, il quale per il suo amore infinito ha voluto diventare nostro fratello e soffrire per noi. Ne sono certa e spero, per la grazia di Dio, che, chi vede le cose in questo modo, sarà ammaestrato nella verità e riceverà una grande consolazione, se ne ha bisogno (Julian of Norwich, Showing of Love, I, 9).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 08 Maggio 2011ultima modifica: 2011-05-08T23:28:00+02:00da fraternidade
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