Giorno per giorno – 09 Marzo 2010

Carissimi,

“Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?” (Mt 18, 32-33). Noi sappiamo che il Signore regna su di noi, quando siamo capaci di ricevere e di dare il perdono. Gesù, infatti, comincia la sua parabola con: “Il regno dei cieli  (che non è, come abbiamo già detto un milione di volte, il paradiso, ma è quando noi entriamo nella logica di Dio) è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi” (v.22). Del tipo, la sera quando si va a dormire. E Lui ci fa: come la mettiamo a perdono? E a noi vengono subito in mente tutti i torti veri o presunti che abbiamo ricevuto, per i quali cerchiamo di stilare una lista dei soggetti perdonabili, a seconda delle nostre personali simpatie o antipatie. Che quasi tutti ne abbiamo: questo sì, quest’altro pure, persino questo, fino a settanta volte sette, meno uno, quello, quello no, proprio non c’è verso. E, solo per quell’uno, il regno, la Sua signoria su di noi, va a pallino. Per un banale errore di prospettiva, di visuale. Perché abbiamo dimenticato di guardare ciò che Lui ci perdona ogni giorno. Abbiamo dimenticato di incontrare i suoi occhi, lo sguardo materno del Padre, che abbraccia immancabilmente tutti. Beh,  Lui, proprio perché è lui, non ci lascerà riposare tranquilli e sarà in qualche modo costretto a darci in balia ai nostri rimorsi, che sono gli aguzzini a cui ricorre per riportarci a più miti consigli. Nel qual caso, grazie, Dio!     

 

Oggi il nostro calendario ci porta le memorie di Francesca Romana, sposa, madre di famiglia e religiosa, e di Swami Sri Yukteswar Giri, mistico indiano.

 

09 FRANCESCA ROMANA.jpgFrancesca Bussa de’ Buxis de’ Leoni, nacque a Roma nel 1384 in una famiglia che (come lascia arguire la sfilza di cognomi) era nobile e ricca. Il che deve suonare di qualche consolazione per i cammelli che disperano di poter attraversare la cruna dell’ago. Desiderosa di abbracciare la vita religiosa, fu però obbligata dal padre a sposare, appena dodicenne, Lorenzo de’ Ponziani, la cui famiglia, lungo gli anni, si era fatta ricca e aveva comprato la nobiltà, con i proventi del mestiere di macellai. A 16 anni ebbe il primo dei tre figli, due dei quali avrebbe perduto a causa di un’epidemia di peste. Da subito, la giovane sposa, prese a dedicare il suo tempo libero dagli impegni familiari, a soccorrere poveri ed ammalati, in una situazione generalizzata di degrado economico e sociale. Nel 1425 lei e altre amiche, che aveva coinvolto nelle sue attività caritative, si costituirono in associazione, le “Oblate Olivetane di Maria”, che, nel 1433, papa Eugenio IV eresse in congregazione, con il titolo di “Oblate della Santissima Vergine”. Rimasta vedova, poco più che cinquantenne, si unì alle sue compagne, lasciando l’amministrazione della casa al figlio Battista e alla consorte di questi. Trascorse gli ultimi quattro anni della sua vita in convento, istruendo ed edificando le consorelle nell’amore e nella dedizione ai poveri. Morì il 9 marzo 1440.

 

09 SRI YUKTESWAR.jpgPriya Nath Karar (questo il suo nome alla nascita) era nato il 10 maggio 1855 a Serampore (India), nella famiglia di un benestante uomo d’affari.  Divenuto adulto, il giovane si sposò e passò ad amministrare la sua eredità, vivendo responsabilmente i suoi doveri e obblighi sociali. In età matura incontrò il suo guru, Sri Lahiri Mahasaya, e si dedicò alla pratica del Kriya Yoga. Rimasto vedovo, fu iniziato nell’ordine degli Swami, a Bodh Gaya, e assunse il nome di Sri Yukteswar Giri. Ebbe, assieme a molti altri doni, quello della guarigione spirituale, anche se lo esercitò sempre in maniera estremamente discreta. Sri Yukteswar fu il maestro spirituale di Paramahansa Yogananda, a cui affidò la missione di diffondere il Kriya YogaYukteswar era convinto che il matrimonio tra l’eredità spirituale dell’Oriente e la scienza e teconologia dell’Occidente avrebbe comportato un progressivo superamento  delle sofferenze materiali, psicologiche e spirituali del nostro tempo. Il 9 marzo 1935, Swami Sri Yukteswar abbandonò il suo corpo, che fu seppellito nel giardino del suo ashram di Puri, dove successivamente è stato edificato un tempio in sua memoria.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Daniele, cap.3, 25. 34-43; Salmo 25; Vangelo di Matteo, cap. 18, 21-35.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

 

Non abbiamo sottomano scritti  di Sri Yukteswar. Abbiamo però qualcosa di un monaco benedettino francese, che fu anche samnyāsin, Henri Le Saux, o Swami Abhishiktãnanda, che ha dedicato gli ultimi cinque lustri della sua vita a ricercare e percorrere le vie dell’incontro tra due tradizioni culturali e spirituali così apparentemente lontane, quali il cristianesimo e l’induismo. Da un suo libro, “Risveglio a sé, risveglio a Dio” (Servitium) prendiamo questo brano che, nel congedarci, vi proponiamo come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Ciò che la spiritualità cristiana dovrebbe apprendere dallo yoga è la ricerca, in un modo o nell’altro, del silenzio dello spirito e del pensiero, normale condizione per un pieno risveglio interiore. Solo un tale silenzio, infatti, permette allo Spirito santo di operare a suo modo nell’anima. All’uomo poi è così difficile non trovarsi costantemente o un po’ troppo avanti o un po’ troppo indietro rispetto allo Spirito, tanto è impaziente di sapere e di agire da solo e al ritmo che si è scelto. D’altra parte, questo vuoto e questo silenzio non sono già di per sé un grido, l’infinita invocazione dell’anima a Dio – infinita perché ha origine nell’infinità stessa dell’amore creante di Dio? Questo vuoto ha liberato lo spirito dell’uomo o, meglio, il suo sé profondo dagli attaccamenti e dalle identificazioni con i personaggi transitori di cui successivamente assume i ruoli, agli occhi degli altri ma anche di se stesso. I legami – i “legami del cuore” di cui parlano le upanishad – sono ormai spezzati, quei legami che lo trattenevano nel  mondo del fenomeno e lo rendevano schiavo dei suoi istinti. Il saggio che vi è giunto probabilmente pensa e vuole come tutti ma non si identifica più con il suo atto di pensiero o di volontà. Egli non percepisce più niente e nulla vuole in rapporto al suo ego limitato. Tutto ora egli conosce e vuole alla luce del reale – alla luce del sé unico, dirà il vedanta, alla luce di Dio in sé, capirà il credente -. L’uomo ha così ritrovato la sua libertà essenziale: nulla più limita l’infinità del richiamo verso Dio che è al fondo del suo essere. Nulla dunque blocca più in lui la possibilità di azione dello Spirito, quella forza che i saggi avvertivano presente in sé come nell’universo e di cui intuivano il carattere divino. I mirabili poteri attribuiti agli yogin non sono più straordinari dei miracoli compiuti dai santi cristiani: infatti, i primi hanno liberato in se stessi, così dicono, l’energia totale che esiste in potenza nel mondo; mentre i secondi hanno recuperato, come affermavano i padri greci, lo stato beato di Adamo appena uscito dalle mani di Dio, sommamente libero e signore di tutta la creazione. (Henri Le Saux Abhishiktãnanda, Risveglio a sé, risveglio a Dio).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 09 Marzo 2010ultima modifica: 2010-03-09T22:35:00+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo