Giorno per giorno – 20 Giugno 2018

Carissimi,
“Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 6, 1). L’Antico Testamento insegnava già: “Buona cosa è la preghiera con il digiuno e l’elemosina con la giustizia. Meglio il poco con giustizia che la ricchezza con ingiustizia. Meglio è praticare l’elemosina che mettere da parte oro” (Tb 12, 8-9). I maestri contemporanei di Gesù insegnavano che il mondo si regge su tre colonne: lo studio della Torah, la preghiera, le opere di misericordia (cf Pirqé Avot I, 2). Gesù, da parte sua, richiama l’elemosina, la preghiera e il digiuno, come pratiche esemplari della dimensione religiosa, ponendo però l’accento sul “come” si debbano compiere perché siano vere, dato che troppo spesso esse si offrono come espressione di esibizionismo, ricerca dell’altrui apprezzamento, o anche semplicemente di autocompiacimento (il “come sono bravo io” del fariseo al tempio in Lc 18, 9-14), riducendosi così a una maschera che vela la nostra relazione col Padre e con i fratelli. Compiere tutto sempre e soltanto sotto lo sguardo che sappiamo pieno di amore del Padre: in questo noi troviamo la nostra più vera ricompensa. Il che non è così semplice come dirlo, considerata la nostra esperienza quotidiana, che è chiamata perciò ad ispirarsi alla semplicità con cui i poveri condividono generosamente il poco che hanno, pregano con abbandono filiale, e rinunciano senza far pesare agli altri alle piccole soddisfazioni che potrebbero concedersi.

Il nostro calendario ecumenico ci porta oggi la memoria di Padre Rafael Palacios, martire per amore della sua gente in El Salvador, di Nicola Cabàsilas, teologo laico, e di Abu Yazid al Bistami, mistico musulmano.

Rafael Palacios era nato il 16 ottobre 1938 a Talcualuya de San Luis Talpa, figlio di don Rafael e doña Concepción. Dopo il trasferimento della famiglia a Suchitoto, era entrato in seminario e al termine degli studi era stato ordinato sacerdote, svolgendo il suo ministero nelle parrocchie di Tecoluca e della Cattedrale, nella diocesi di San Vicente e, in seguito, nell’archidiocesi di San Salvador, nella parrocchia di Santa Tecla, a Ilopango, e in quella di San Francisco Mexicanos, a San Salvador, dove fu inviato in sostituzione di padre Octavio Ortiz, assassinato nel gennaio 1979. Prete totalmente consacrato alla causa del Vangelo, visse poveramente, collocandosi al servizio dei più poveri, senza paura di denunciare apertamente tutto ciò che vedeva violare le regole elementari della verità e della giustizia. Ripetutamente minacciato dalla formazione Unión Guerrera Blanca, fu ucciso il 20 giugno 1979. Mons. Romero celebrò i suoi funerali il giorno successivo e, al termine dei nove giorni di lutto, volle che un’unica messa fosse celebrata in tutto il Paese, da lui stesso presieduta, in onore di padre Rafael, degli altri sacerdoti assassinati, ma anche come protesta per il sangue di tanti fratelli cristiani e non cristiani.

Nicola Cabàsilas nacque a Salonicco nel 132o in una famiglia aristocratica. Ricevuta la sua prima formazione umana e spirituale presso suo zio, Nilos Cabasilas, arcivescovo di Salonicco e discepolo di san Gregorio Palamas, fu inviato alla scuola filosofica di Costantinopoli, dove ricevette un’ottima formazione giuridica e letteraria. Questo fece sì che Nicola diventasse un giurista di fama, esperto in diritto civile e canonico, e fosse chiamato come consulente alla corte dell’imperatore Giovanni VI Cantacuzenes. Scrisse importanti trattati sulla giustizia sociale e contro l’usura e fu spesso invitato a mediare nelle controversie politiche e teologiche che insorgevano periodicamente nella vita di corte e nell’istituzione ecclesiale. Alla nomina di Callisto I a patriarca di Costantinopoli, Cabasilas ritenne giunto il tempo di ritirarsi da ogni impegno pubblico, dedicandosi da allora a rendere accessibile ai semplici fedeli le ricchezze della vita spirituale, in qualche modo fino ad allora monopolio delle comunità monastiche. Di questo periodo ci restano due grandi opere: la Vita in Cristo e L’interpretazione della santa liturgia. Nulla sappiamo dei suoi ultimi anni, salvo il fatto che morì probabilmente verso il 1390. Fu canonizzato dal Patriarcato di Costantinopoli nel 1983.

Conosciamo poco della vita di Abu Yazid al Bistami, nato a Bistam (nel Khorasan, regione dell’attuale Iran) verso l’801 (187 dell’era islamica). Ma quel che ci è noto, ce lo mostrano disposto a lasciarsi sbalzare più di una volta dal cavallo delle sicurezze via via acquisite. Le massime che di lui ci sono state tramandate fanno pensare si sia trattato di un uomo dalla profonda cultura religiosa, scrupolosamente ancorato all’osservanza della legge. Per molto tempo si dedicó ad un’ascesi rigorosa, e tuttavia si accorse che tutto ciò contribuiva a rafforzare l’io invece di portarlo a centrarsi solo su Dio. Confesserà allora che “quelli il cui velo tra essi e Dio è più spesso sono tre categorie di persone: l’asceta per la sua ascesi, il devoto per la sua devozione, il colto per la sua cultura”. Per trovare Dio, l’unico mezzo a disposizione è spogliarsi dell’io. Disse: “Mi sono squamato del mio io come il serpente si squama della sua pelle. Poi mi sono riguardato e ho trovato che ero Lui”. Morí nell’857 ( 234 dell’era islamica).

I testi che la liturgia odierna propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
2° Libro dei Re, cap.2, 1.6-14; Salmo 31; Vangelo di Matteo, cap.6, 1-6.16-18.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita, nella testimonianza per la pace, la fraternità e la giustizia.

Oggi si celebra la Giornata internazionale del rifugiato. Indetta dalle Nazioni Unite, viene celebrata il 20 giugno per commemorare l’approvazione nel 1951 della Convenzione sui profughi (Convention Relating to the Status of Refugees) da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Venne celebrata per la prima volta il 20 giugno 2001, nel cinquantesimo anniversario di questa Convenzione. Che queste ricorrenze ci aiutino a prendere sempre più coscienza nella necessità che si diano risposte, sotto il segno della solidarietà, dell’impegno comune e con il contributo di tutti, all’altezza della sfida che abbiamo davanti.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di Nicola Cabàsilas, tratto dal suo “La vita in Cristo”. Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Chi ama possiede due mezzi per riportare vittoria: fare del bene all’amato secondo ogni modo possibile, o soffrire per lui atroci tormenti. Quest’ultima prova di amore è di gran lunga superiore alla prima. Ora, Dio era nell’impossibilità di soffrire, dato che è impassibile. Amico degli uomini com’è, Dio poteva colmare l’uomo dei suoi benefici, ma era incapace di patire piaghe e dolori per lui. All’amore infinito mancava il segno che lo manifestasse. Eppure Dio non poteva più lasciarlo ignorato e nascosto. Per mostrarne l’immensità e per convincerci del suo amore estremo, escogitò il suo annientamento e si rese capace di soffrire mali e tormenti. Così, con tutto quello che avrebbe sopportato, Dio sarebbe stato in grado di testimoniare la straordinarietà del suo amore e avrebbe ricondotto a sé il genere umano. Infatti gli uomini lo fuggivano, credendosi l’oggetto della sua ostilità. C’è ancora qualcosa di più sorprendente. Il Signore non subì soltanto i più atroci supplizi finendo col soccombere alle torture. Quando risuscitò, dopo aver strappato il corpo alla corruzione, conservò le piaghe e si presentò agli angeli coperto di cicatrici, come cinto di un ornamento e compiaciuto di mostrare ciò che aveva patito. Ormai il suo corpo glorioso si è spogliato di ogni pesantezza, senza più dimensioni, mutamenti o altre proprietà corporee; però ha voluto mantenere piaghe e cicatrici, stimando doverle proprio conservare per amore dell’uomo. Non l’ha forse ritrovato grazie alle proprie piaghe? Non ha forse preso di nuovo l’amato grazie alle sue trafitture? Altrimenti come spiegare la presenza sul suo corpo glorioso di quelle lesioni che la natura o la chirurgia pòssono far sparire sopra corpi mortali e corruttibli? A quanto pare, il Signore avrebbe voluto soffrire molte volte per noi. Ma non era possibile, perché il suo corpo non era più soggetto alla corruzione. E poi voleva risparmiare agli uomini il delitto di tormentarlo ancora. Perciò stabili di conservare sopra di sé i segni della sua immolazione, di conservare in eterno il marchio delle ferite impresse una volta per sempre durante la crocifissione. Nel suo ineffabile splendore eterno, egli rimane il crocifisso che ha il costato trafitto per salvare gli schiavi, e le piaghe sono il suo regale ornamento. (Nicola Cabàsilas, La vita in Cristo, VI, 2).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 20 Giugno 2018ultima modifica: 2018-06-20T23:20:47+02:00da fraternidade
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