Giorno per giorno – 21 Giugno 2018

Carissimi,
“Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome” (Mt 6, 7-9). Quella della preghiera, come Gesù la intendeva, parrebbe in molti casi proprio una battaglia perduta. Chi ancora prega, infatti, prega per lo più per sé e per i suoi, per i propri bisogni, desideri e sogni. Quanto al Padre nostro, se ne è fatta una formula da ripetere a comando, senza pensarci troppo su, o la si è proprio eliminata, preferendole il moltiplicare e spesso il gridare le parole, da cui Gesù ci aveva messo in guardia. Preghiera pericolosa il Padre nostro, dato che denuncia ad ogni sua richiesta il poco santo egoismo da cui siamo mossi e la logica diabolica che regge il Sistema del dominio, che afferma il primato di alcuni sugli altri, il privilegio dei pochi contro i più, l’opulenza, la ricchezza, la concentrazione di beni e di servizi considerate come diritto naturale di una minoranza, a costo della crescente pauperizzazione, della situazione di penuria, di condizioni disumane di intere popolazioni. Il Padre nostro, proprio perché nostro, afferma invece la fraternità universale, chiede che possiamo contribuire alla santificazione del Nome, che è come dire che tutti possano benedire la vita e il suo Autore, e proprio in questo consiste il Regno, cioè il libero e sovrano dispiegarsi dell’Amore tra noi, e questa è anche l’unica sua volontà. La seconda parte della preghiera suggerisce come rendere visibile la fraternità appena proclamata: nella condivisione e non accumulazione dei beni (a “noi” il pane “quotidiano”), nella remissione dei debiti (Paolo scrivendo ai Romani, dirà che l’unico debito che deve esistere tra cristiani è quello del vicendevole amore), nel non cedere alla logica del Sistema, ma lottare per la liberazione da ogni male. È un programma, come si vede, impegnativo e affascinante. Anche per i nostri tempi.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Luigi Gonzaga, gesuita al servizio degli ultimi, e di Sergio Ortiz, seminarista e martire per amore dei suoi fratelli, in Guatemala.

Luigi Gonzaga era nato a Castiglione delle Stiviere il 9 marzo 1568 dalla contessa Marta Tana di Santena e dal marchese Ferrante Gonzaga. Il padre tentò inutilmente di farne un soldato e di avviarlo alla vita di corte, prima a Castiglione, poi a Firenze, Mantova e, infine in Spagna. Il ragazzo aveva idee sufficientemente chiare e altri progetti per la testa. Sicché maturò presto la sua scelta. Dopo aver rinunciato ai diritti di primogenitura a favore del fratello Rodolfo, nel 1587, sfidando l’ira del padre, lasciò ogni cosa per entrare nella Compagnia di Gesù. Nei pochi anni che gli restarono da vivere, durante il noviziato, prima, e poi, e al Collegio Romano, prese sempre più coscienza della chiamata di Cristo al servizio dei più diseredati. Quando nel 1591 scoppiò un’epidemia di peste, non esitò a dedicare tutto il tempo disponibile ad alleviare le sofferenze dei poveri malati. In breve, tuttavia, la sua esile fibra cedette e Luigi Gonzaga morì appena ventitreenne il 21 giugno 1591.

Di Sergio Ortiz, le scarne notizie che abbiamo ce le fornisce il Martirologio latinoamericano. Seminarista, fu sequestrato nei pressi dell’Università Nazionale di San Carlos, a Città del Guatemala. Il cadavere fu ritrovato due giorni dopo, il 21 giugno 1984, con evidenti segni di tortura e un colpo di grazia alla tempia destra. L’omicidio di Sergio fu subito considerato un gesto repressivo ufficiale contro la Chiesa cattolica, davanti all’atteggiamento di denuncia da essa assunto nei confronti della situazione economica, politica e sociale del Guatemala. Come denuncerà il 14 luglio 1984, mons. Próspero Penados del Barrio, arcivescovo del Guatemala: “Vi sono gruppi di potere interessati al fatto che i poveri non si sollevino per esigere i loro diritti… Il fatto che qualche sacerdote si metta a servizio della promozione del contadino, che si proponga di coscientizzarlo, di additargli la sua condizione umana e la sua dignità, può essere male interpretato da chi non vuole che il guatemalteco si svegli ed esiga i suoi diritti come persona… La predicazione della Chiesa non è un messaggio astratto a esseri astratti, ma a esseri molto concreti, che affrontano problemi di emarginazione, disoccupazione e violenza”. Sergio rappresenta questa Chiesa concreta che ridesta il fratello oppresso e si pone decisamente dalla sua parte.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Siracide, cap.48, 1-15; Salmo 97; Vangelo di Matteo, cap.6, 7-15.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

“La visita di Papa Francesco a Ginevra, in occasione del settantesimo anniversario del Consiglio ecumenico delle Chiese, è una pietra miliare che segnerà il cammino dell’unità dei cristiani”, scriveva ieri, su “La Tribune de Genève” Fratel Alois, Priore di Taizé. E proseguiva: “La visita del Papa a Ginevra potrebbe aiutare i cristiani a interrogarsi su alcuni punti, in particolare sui seguenti. Quali sono i doni che possiamo ricevere dagli altri? Per le loro evoluzioni storiche e teologiche e per scelte di coscienza, i cristiani non vivono la fede tutti allo stesso modo. Invece che fonte di contrasto, come possono queste differenze diventare arricchimento reciproco? L’unità non implica un’uniformità nella pratica della fede e neppure un livellamento delle convinzioni. Ma come fare perché il rispetto di una sana diversità non alteri mai la dinamica dell’unità?”. E concludeva: “I cristiani perdono credibilità quando parlano di un Dio d’amore rimanendo però separati. In passato, in nome della verità del Vangelo, i cristiani si sono divisi. Oggi, in nome della verità del Vangelo, è essenziale che si riconcilino. Possa l’incontro di Ginevra invitare tutti i cristiani a costruire, con altri, una civiltà fondata sulla fiducia”. Prendendo spunto dall’incontro di Ginevra, scegliamo di congedarci, offrendovi in lettura un brano del discorso tenuto stamattina da Papa Francesco, durante la Preghiera nel Centro ecumenico del CEC. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il movimento ecumenico, al quale il Consiglio Ecumenico delle Chiese ha tanto contribuito, è sorto per grazia dello Spirito Santo (cf Conc. Ecum. Vat. II, Unitatis redintegratio, 1). L’ecumenismo ci ha messi in moto secondo la volontà di Gesù e potrà progredire se, camminando sotto la guida dello Spirito, rifiuterà ogni ripiegamento autoreferenziale. Ma – si potrebbe obiettare – camminare in questo modo è lavorare in perdita, perché non si tutelano a dovere gli interessi delle proprie comunità, spesso saldamente legati ad appartenenze etniche o a orientamenti consolidati, siano essi maggiormente “conservatori” o “progressisti”. Sì, scegliere di essere di Gesù prima che di Apollo o di Cefa (cf 1 Cor 1,12), di Cristo prima che “Giudei o Greci” (cf Gal 3,28), del Signore prima che di destra o di sinistra, scegliere in nome del Vangelo il fratello anziché se stessi significa spesso, agli occhi del mondo, lavorare in perdita. Non abbiamo paura di lavorare in perdita. L’ecumenismo è “una grande impresa in perdita”. Ma si tratta di perdita evangelica, secondo la via tracciata da Gesù: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà» (Lc 9,24). Salvare il proprio è camminare secondo la carne; perdersi dietro a Gesù è camminare secondo lo Spirito. Solo così si porta frutto nella vigna del Signore. Come Gesù stesso insegna, non quanti accaparrano portano frutto nella vigna del Signore, ma quanti, servendo, seguono la logica di Dio, il quale continua a donare e a donarsi (cf Mt 21,33-42). È la logica della Pasqua, l’unica che dà frutto. Guardando al nostro cammino, possiamo rispecchiarci in alcune situazioni delle comunità della Galazia di allora: quant’è difficile sopire le animosità e coltivare la comunione, quant’è ostico uscire da contrasti e rifiuti reciproci alimentati per secoli! Ancora più arduo è resistere alla tentazione subdola: stare insieme agli altri, camminare insieme, ma con l’intento di soddisfare qualche interesse di parte. Questa non è la logica dell’Apostolo, è quella di Giuda, che camminava insieme a Gesù ma per i suoi affari. La risposta ai nostri passi vacillanti è sempre la stessa: camminare secondo lo Spirito, purificando il cuore dal male, scegliendo con santa ostinazione la via del Vangelo e rifiutando le scorciatoie del mondo. (Papa Francesco, Discorso durante la Preghiera Ecumenica del Consiglio Mondiale delle Chiese)

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 21 Giugno 2018ultima modifica: 2018-06-21T22:56:10+02:00da fraternidade
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