Giorno per giorno – 24 Marzo 2011

Carissimi,

“Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti” (Lc 16, 31). Abramo o del disincanto. Stamattina, ci dicevamo che la parabola del povero Lazzaro e del ricco egoista, che la liturgia ci ha proposto oggi, è, con quella del Figlio prodigo e l’altra del buon Samaritano, tra quelle che tutti ricordano. Dunque, non c’è proprio speranza che i ricchi cambino? E i ricchi, ahinoi, non sono sempre solo né necessariamente gli altri. Sarebbe troppo comodo! Eppure Gesù, solo poche righe prima, in questo stesso Vangelo di Luca, aveva ammonito: “Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16, 9). Qualche speranza, dunque, in cuor suo, doveva pure nutrirla. Beh, noi, sappiamo, che, in seguito, Abramo, avrebbe cambiato idea e posto così le condizioni per un finale diverso della parabola. Nel senso che Lazzaro (il cui nome significa “Dio-aiuta” ed è così simile al nome di Gesù “Dio-salva”!), dev’essere stato proprio lui a vincere lo scetticismo di Abramo, e a farsi mandare, risorto dai morti, ai cinque fratelli del ricco. Con che risultati, dovremmo essere noi a dirlo, prima degli altri, a partire da noi stessi. Come abbiamo cambiato il pezzo di mondo che ci circonda? Riusciamo a vedere i Lazzaro (ce n’è sempre qualcuno più Lazzaro di noi), che stanno alla porta della nostra casa, della nostra patria, della nostra chiesa? E sono coloro che, sì, hanno bisogno di noi, ma anche, paradossalmente, coloro che ci salvano.  Ora, mettiamola così: la parabola è solo un brutto sogno, un incubo che speriamo perseguiti, quando necessario, noi e ogni ricco e tutti coloro che, anche solo con la loro indifferenza (del ricco della parabola non si dice che fosse cattivo, forse andava pure in chiesa tutte le domeniche. Ma non si è accorto di Lazzaro), quanti, dunque, appoggiano e si riconoscono in questo sistema di morte, che crea la miseria e gli impoveriti del mondo e delegano i loro parlamenti ed eserciti e polizie a tenerglieli per quanto possibile lontani dagli occhi. E, se non bastasse questo, finanziano e comprano prodotti televisivi (e non solo) perché ci rimbecilliscano tutti, adeguatamente, creandoci così un impossibile alibi se non davanti a Dio (al quale si crede e non si crede), almeno alla nostra coscienza, che nonostante gli sforzi, non si stacca da noi. Un brutto sogno, insomma, da cui ci si possa svegliare e chiederci: perché non cambiare? E decidere di conseguenza.  

 

Oggi facciamo memoria di San Romero d’America, vescovo e martire in El Salvador, e di Paul-Iréné Couturier, testimone di ecumenismo.

 

24 Martírio Romero.jpgOscar Arnulfo Romero Galdamez era nato il 15 agosto 1917, in una famiglia modesta di sette figli,  a Ciudad Barros (El Salvador). Entrato in seminario a tredici anni, fu inviato a Roma nel 1937, per studiare all’Università Gregoriana, dove si licenziò in teologia nel 1943. Nel frattempo, il 24 aprile 1942, era stato ordinato sacerdote.  Rientrato in patria, per oltre ventanni si dedicò soprattutto all’attività pastorale come parroco. Il 24 maggio 1967 fu consacrato vescovo e, tre anni più tardi, lo troviamo vescovo ausiliare di mons. Luis Chávez y Gonzales, testimone coraggioso di una Chiesa schierata in difesa dei poveri e degli oppressi. Sarà chiamato a succedergli il 22 febbraio 1977. Era un momento drammatico per la situazione sociale, politica ed economica di El Salvador, ma il Palazzo guardava senza troppa preoccupazione al nuovo arcivescovo, sapendolo uomo di studi, di una religiosità tradizionale e tendenzialmente conservatore. Tuttavia, a pochi giorni dopo il suo insediamento, di fronte al cadavere di Rutilio Grande, un suo prete assassinato per l’impegno profuso a favore dei poveri, Romero  sentì chiaramente la chiamata di Cristo a prestare la sua voce ai senza-voce della storia, denunciando il clima di sopraffazione e di violenza che regnava nel Paese e segnalando le responsabilità dei potenti; sapendo essere nel contempo una presenza amica e solidale in mezzo alla gente sofferente e strumento di dialogo e di riconciliazione tra le parti in lotta. Fu ciò che fece instancabilmente durante gli anni del suo ministero episcopale. Finché glielo lasciarono fare. Ripetutamente minacciato di morte, Romero, la domenica 23 marzo 1980, pronunciò la sua ultima omelia in cattedrale, durante la quale, rivolgendosi agli uomini dell’esercito, disse: “Fratelli, siete del nostro stesso popolo, perché uccidete i vostri fratelli campesinos? Davanti all’ordine di uccidere deve prevalere la legge di Dio che dice: non uccidere. Nessun soldato è obbligato a obbedire a un ordine che va contro la legge di Dio. […] In nome di Dio, dunque, e in nome di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono fino al cielo ogni giorno più clamorosi, vi supplico, vi scongiuro, vi ordino in nome di Dio: cessi la repressione!”. Furono queste parole che probabilmente decisero la sua condanna a morte. Il giorno seguente Oscar Romero venne assassinato al termine dell’omelia, durante la celebrazione della messa nella piccola cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza, a San Salvador. Era il 24 marzo 1980.

 

24 Paul Couturier.jpgPaul-Iréné Couturier era nato a Lione, in Francia, nel 1881. Ordinato prete nel 1906 nella Società dei Preti di S. Ireneo, dopo la laurea in Fisica, divenne professore nel Collegio retto dalla Congregazione, restandovi fino al 1946. Dopo un ritiro ignaziano, nel 1923, decise di dedicare parte del suo tempo ad alleviare le sofferenze dei numerosi rifugiati russi che vivevano a Lione. Questa missione lo mise a contatto con le ricchezze spirituali dell’Oriente ortodosso.  Nacque così la sua vocazione ecumenica. Più tardi, nel 1932, un soggiorno nel monastero benedettino di Amay sur Meuse (oggi Chevetogne), in Belgio, lo portò a istituire l’Ottavario di preghiera per l’Unità dei cristiani. Nel 1936 organizzò a Erlenbach, in Svizzera, il primo incontro interconfessionale tra cattolici e protestanti, che darà origine al Gruppo di Dombes. Negli anni seguenti i suoi contatti si estesero alla Chiesa anglicana e a Roger Schutz, fondatore di Taizé. Nel 1944 completò il testo “Preghiera e Unità cristiana”, che diventerà il suo testamento spirituale. Padre Couturier morì la mattina del 24 marzo 1953, in seguito ad una crisi cardiaca. Qualche anno prima aveva scritto: “Se ogni giovedì sera, commemorazione settimanale del Grande Giovedì, una moltitudine sempre più grande di cristiani di ogni confessione formasse una rete immensa che avvolgesse la terra, come un vasto monastero invisibile dove tutti fossero assorti nella preghiera di Cristo per l’Unità, non sarebbe forse l’alba dell’Unità cristiana che si leva sul mondo? Non è questo atteggiamento di emulazione spirituale sincera, profonda, ardente, che il Padre aspetta per realizzare l’Unità visibile?”.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Geremia, cap.17, 5-10; Salmo 1; Vangelo di Luca, cap.16, 19-31.

 

La preghiera del Giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

Noi ci si congeda qui con un brano del discorso che Mons. Oscar Arnulfo Romero tenne, ricevendo il dottorato honoris causa, all’Università di Lovanio, il 2 febbraio 1980, 50 giorni prima di essere assassinato. È considerato così come il suo testamento teologico e politico, che ci trasmette l’essenza della sua lettura del Vangelo e della sua vita di fede. Ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

L’attuazione della nostra Chiesa è partita chiaramente da una convinzione di fede. La trascendenza del Vangelo ci ha guidato nel nostro giudizio e nella nostra attuazione. A partire dalla fede abbiamo giudicato le situazioni sociali e politiche. D’altra parte è anche vero che, proprio in questo processo, che ci ha portati a prendere posizione di fronte alla realtà socio-politica quale essa è, la stessa fede è andata approfondendosi, lo stesso Vangelo è andato mostrando la propria ricchezza. […] Adesso sappiamo meglio che cos’è il peccato. Sappiamo che l’offesa recata a Dio è la morte dell’uomo. Sappiamo che il peccato è veramente mortale; e non solo per la morte interiore di chi lo commette, ma per la morte reale e oggettiva che produce. Ricordiamo, in tal modo, il dato profondo della nostra fede cristiana. Peccato è ciò che procurò la morte al Figlio di Dio, e peccato continua ad essere ciò che procura la morte ai figli di Dio. Questa fondamentale verità della fede cristiana la vediamo quotidianamente nelle situazioni del nostro paese. Non si può offendere Dio senza offendere il fratello. E la peggiore offesa a Dio, il peggiore dei secolarismi è, come ha detto uno dei nostri teologi, “il trasformare i figli di Dio, i templi dello Spirito Santo, il corpo storico di Cristo, in vittime dell’oppressione e dell’ingiustizia, in schiavi di appetiti economici, in scarti della repressione politica; il peggiore dei secolarismi è la negazione della grazia attraverso il peccato, è l’oggettivazione di questo mondo come presenza operante delle potenze del male, come presenza visibile della negazione di Dio” (p. I. Ellacuria). […] Perciò abbiamo denunciato l’idolatrizzazione che, nel nostro paese, si fa della ricchezza, della proprietà privata assolutizzata nel sistema capitalista, del potere politico nei regimi di sicurezza nazionale, in nome dei quali si istituzionalizza l’insicurezza degli individui (IV Lettera pastorale, nn. 43-48). (Mons. Oscar A. Romero, La dimensión política de la fe desde la opción por los pobres. Una experiencia eclesial en El Salvador, Centroamérica).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 24 Marzo 2011ultima modifica: 2011-03-24T23:48:00+01:00da fraternidade
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