Carissimi,
“I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori? Gesù rispose loro: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano” (Lc 5, 30-32). Gesù aveva appena chiamato al suo seguito Levi. E questi, dice il Vangelo, detto fatto: “si alzò e lo seguì” (v.28), organizzandogli, subito dopo, una grande festa a casa sua. Dove gli invitati, ovviamente, erano soprattutto gente della sua risma. E Gesù con i suoi in mezzo a loro, senza imbarazzo. Noi, come individui e come chiesa, siamo ancora capaci di sorprendere [gli esclusi], a costo di scandalizzare [i benpensanti]? Frei Carlos Mesters nelle sue riflessioni di oggi, durante il ritiro che sta guidando qui in diocesi, ha insistito molto su quale sia l’immagine che noi abbiamo di Dio e perciò anche quale sia il volto di Dio che, nella nostra pratica quotidiana, siamo in grado di irradiare e trasmettere. “Sono venuto a chiamare i peccatori, perché si convertano”. È una chiamata rivolta in primo luogo a noi. E in cosa consista la conversione che interessa a Lui ce lo fa intendere la prima lettura, tratta dalla profezia di Isaia: “Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio” (Is 58, 9b-10). Che poi è ciò che fa Lui, anche in questa occasione, con Levi. Conversione è, dunque, lasciarci catturare dal Suo sguardo, che converge sul (e quindi si converte al) peccatore (che è in ciascuno di noi), non per condannarlo, giudicarlo, schernirlo, ma per aprire il cuore alla sua fame più vera e lenire la sua afflizione nascosta. Certo, poi, si tratta di apprenderlo, quello sguardo, e di moltiplicarlo intorno a noi. Nel pomeriggio, ragionando su alcuni allontanamenti dalla comunità, verificatisi di recente, ci chiedevamo, con Francielle, Dayane e Eliane, e con dona Nady e Adriana, che partecipano anche loro al ritiro, se, davvero, in ogni occasione, noi ne siamo stati capaci. O se, invece, no. E allora è segno che siamo noi ad avere bisogno di conversione.
Tre sono le nostre memorie di oggi: Massimiliano, martire a Teveste, Simeone il Nuovo Teologo, mistico, e Rutilio Grande, martire in El Salvador.
Il giovane cristiano Massimiliano era figlio di un esattore militare, Fabio Vittore, di stanza a Cesarea, alla fine del III secolo. Secondo le leggi del tempo, egli era tenuto a seguire la professione del padre, ma, benché dichiarato idoneo a compiere il servizio militare, si rifiutò in nome della sua fede. Il 12 marzo 295 fu chiamato in giudizio davanti al proconsole Dione per essere interrogato circa le ragioni del suo rifiuto. Si limitò a dichiarare: “Sono cristiano: non mi è lecito fare il soldato”. Quando Dione gli ricordò che numerosi erano i soldati cristiani al servizio degli imperatori Diocleziano e Massimiano e dei cesari Costanzo e Massimo, Massimiliano rispose semplicemente: “Essi sapranno che cosa convenga loro. Io però sono cristiano e non posso comportarmi male”. Fu condannato alla pena di morte per decapitazione. Ascoltata la sentenza, il giovane disse: “Grazie a Dio” e chiese al padre di donare al suo carnefice la veste nuova che egli gli aveva preparato per il servizio militare. Aveva ventun’anni, tre mesi e diciotto giorni. Il resoconto dell’interrogatorio e della esecuzione del giovane martire, redatto poco dopo gli avvenimenti descritti, è pervenuto fino a noi negli Acta Maximiliani.
Simeone era nato a Galate, in Asia Minore, nel 949. Inviato a Costantinopoli, per compiervi gli studi, visse al palazzo imperiale fino a vent’anni, quando decise di lasciare tutto per entrare in monastero, dove ebbe come padre spirituale Simone il Pio. Nel 977 divenne sacerdote e in seguito igumeno del monastero di san Mama. Si diede da fare per riportare i monaci al primitivo fervore, ma tutto ciò che ottenne fu che essi si ribellarono e lo costrinsero a dimettersi. Malvisto anche dall’altro clero per la sua radicalità e per il suo zelo (sosteneva tra l’altro che i veri mistici possono guidare le coscienze e amministrare i sacramenti pur non essendo sacerdoti), fu esiliato sulla riva asiatica del Bosforo. Richiamato a corte, sulla spinta del favore popolare, preferì ritirarsi con vecchi e nuovi discepoli nel monastero di santa Marina, dedicandosi alla loro guida fino alla morte attraverso scritti spirituali e liturgici di grandissimo valore. Morì, come aveva predetto, 12 marzo 1022. Fu chiamato il Nuovo Teologo perché considerato un rinnovatore della vita mistica.
Rutilio Grande era nato nel 1928 in una povera famiglia nella cittadina di El Paisnal in Salvador. Entrato diciassettenne nella Compagnia di Gesù, fu ordinato sacerdote nel 1959. Nella metà degli anni sessanta, sull’onda della svolta conciliare della Chiesa, padre Grande maturò una nuova comprensione della sua vocazione: quella che era la ricerca della perfezione personale divenne l’esigenza della dedizione e del sacrificio di sé per il bene degli altri. Tornato nel 1965 da uno stage di studi all’estero, fu destinato al seminario di san Salvador come direttore dei progetti di azione sociale. Per nove anni educò i seminaristi alla convivenza con i poveri e alla condivisione delle loro lotte e delle loro attese, testimoniando così una chiesa che custodisce e ridesta negli oppressi il senso della loro dignità e dei loro diritti come figli di Dio. Lasciato l´incarico in seminario, assunse la cura pastorale di Aguilares, una cittadina vicino al suo paese natale, dove fu sua cura insegnare a leggere la realtà alla luce della Parola di Dio. Il 13 febbraio 1977, durante una sua predica, aveva detto: “Sono convinto che presto la Bibbia e il Vangelo non potranno più attraversare i nostri confini. Ci lasceranno solo le copertine, perché ogni loro pagina è sovversiva. E credo che lo stesso Gesù, se volesse attraversare il confine di Chalatenango, non lo lascerebbero entrare. Accuserebbero l’Uomo-Dio, il prototipo dell’uomo, di essere un sobillatore, uno straniero ebreo, che confonde il popolo con idee strane ed esotiche contro la democrazia, cioè contro la minoranza dei ricchi, il clan dei Caini. Fratelli, senza dubbio, lo inchioderebbero nuovamente alla croce. E Dio mi proibisce di essere anch’io uno dei crocifissori”. Erano parole pericolose e non passarono ignorate. Il 12 marzo 1977, mentre si recava a celebrare l’Eucaristia, spararono a lui e ad altri due contadini che l’accompagnavano: Manuel Solórzano, di settantanni, e Nelson Rutilio Lemus, di sedici. Monsignor Romero ricorderà che il martirio di padre Rutilio segnò la sua “conversione” alla causa del popolo salvadoregno.
I testi che la liturgia del giorno propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap. 58,9b-14; Salmo 86; Vangelo di Luca, cap. 5,27-32.
La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.
Inutile dire che tra i tanti motivi che hanno guidato la nostra preghiera durante la Veglia per la Pace, stasera, nella chiesa del monastero, assieme alla tragedia che ha investito il Giappone e al dramma che si sta consumando in Libia, abbiamo messo anche le manifestazioni che si sono tenute oggi a difesa della Costituzione e della legalitá repubblicana, nella difficile situazione che attraversa il vostro Paese.
Per stasera è tutto. Noi ci si congeda qui, lasciandovi ad una citazione tratta dalle “Catechesi” di Simeone il Nuovo Teologo. Che è, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Abbandoniamo, fratelli, tutti i beni della vita fuggitiva, cioè la vana gloria, l’invidia, le contese tra noi, la dissimulazione, il mormorare e l’ira: tutto ciò provoca l’avversione di Dio e mette l’anima in pericolo. Desideriamo invece di tutto cuore ciò che Dio ci comanda di abbracciare: la povertà dello spirito – che la Parola chiama umiltà – l’afflizione continua giorno e notte da cui scaturiscono la gioia dell’animo e la consolazione di tutte le ore per coloro che amano Dio (Rm 8,28). Fuggiamo l’illusione di questa vita e il suo preteso piacere e corriamo verso l’unico Salvatore, il Cristo Gesù. Sforziamoci di trovarlo, lui che è presente dappertutto. Una volta trovatolo, tratteniamolo, cadiamo ai suoi piedi e abbracciamoli nel fervore dello spirito. Sì, ve ne supplico, sforziamoci, finché siamo in vita, di vederlo e di contemplarlo. Se saremo giudicati degni di vederlo sensibilmente quaggiù, non moriremo, la morte non avrà più potere sopra di noi. Dopo aver osservato i suoi comandamenti ci sia dato di purificare il cuore con le lacrime e il pentimento, in modo di contemplare fin da quaggiù la luce divina, Cristo in persona, di possederlo, rimanendo nel nostro intimo. Allora, tramite il suo Spirito, che nutre e vivifica le nostre anime, gusteremo la dolcezza piena di voluttà dei beni del suo regno. (Simeone il Nuovo Teologo, Catechesi).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.