Giorno per giorno – 11 Marzo 2011

Carissimi,

“Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno” (Mt 9, 15). I Vangeli di questi giorni di Quaresima, come vi sarete accorti, non sono in sequenza. Sono infatti le letture proprie di questo tempo, scelte a partire dalle tematiche che lo contraddistinguono. Oggi, il digiuno. Che, per altro, sembra essere sempre più raramente praticato. Salvo alla tavola dei più poveri (dove però non è un libero “pio esercizio”), o alla tavola dei più abbienti (ma, prevalentemente per  esigenze di dieta e/o di forma). Quando Gesù accenna al tempo in cui lo sposo sarà tolto, certo alludeva a sé, ma, più ancora, a ciò che lui significava, e quindi all’allontanamento del significato di Dio (Dio-con-noi, Dio-per-noi) dalla nostra storia, dalla vita del mondo. La Quaresima per noi, qui in Brasile, coincide sempre con la Campagna della Fraternità, che quest’anno ha come tema “Fraternità e vita nel pianeta” e come slogan “La creazione geme nei dolori di parto” (Rm 8, 22). Obiettivo della Campagna di quest’anno è sensibilizzare le comunità cristiane e le persone di buona volontà sulle conseguenze del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici, in particolare sulle popolazioni più povere e vulnerabili, e  motivarle a partecipare ai dibattiti e alle iniziative che mirano ad affrontare il problema e a preservare le condizioni di vita nel pianeta. Anche ciò che si vive su questo piano ha a che fare con la presenza o assenza dello “sposo” del Vangelo di oggi. Comportamenti irresponsabili, quali gli sprechi nel consumo di energia, l’incuranza e le colpevoli omissioni, a livello legislativo, amministrativo, giudiziario, oltre che nella condotta di singoli e comunità,  nei confronti delle varie forme di inquinamento, l’espansione dell’agrobusiness, i massicci interventi di disboscamento e altro ancora sono tutti segnali del venir meno di quel principio di trasmissione e tutela della vita, e perciò di cura e preoccupazione per le diverse manifestazioni del Creato (incluse le generazioni presenti e quelle a venire), che rimanda al significato e all’agire di Dio. Come “digiunare”, perciò, perché Lui si faccia di nuovo presente e torni a guidare le nostre azioni e a condurre la nostra vita? Stamattina si è pensato, per esempio a un digiuno dalla “pubblicità” e, in generale, dai modelli di vita veicolati dai media, che favorisca l’acquisizione di una crescente capacità critica nella lettura della realtà che ci circonda e di una maggiore e più matura libertà di scelta. Che, anche solo a dirlo, è già difficile. Immaginarsi a farlo.  

 

Oggi noi facciamo memoria di James Reeb, pastore e martire per la giustizia negli Stati Uniti.

 

11 JAMES REEB.jpgJames Reeb era nato a Wichita, nello Stato del Kansas (USA), il 1° gennaio 1927. Pastore unitariano, Reeb era militante nel movimento per i diritti civili. Chi lo conobbe lo descrive come una persona sensibile e benevolo con tutti, e uno spirito costantemente in ricerca. Era stato cappellano presbiteriano in un Ospedale di Filadelfia, poi pastore ausiliare della Chiesa Universalista Unitariana a Washington, dove aveva profuso le sue energie soprattutto nell’impegno sociale.  Fu lì che scoprì la sua vocazione, maturando la decisione di trasferirsi a Boston, per lavorare in un progetto della Società degli Amici (Quaccheri) a favore della popolazione afro-americana. Nel marzo 1965, Martin Luther King indisse una marcia di protesta per affermare il diritto al voto della popolazione negra dell’Alabama. La manifestazione, proibita dal governatore George Wallace, doveva partire da Selma per raggiungere la capitale, Montgomery. Il primo tentativo fu selvaggiamente respinto dalla polizia il 7 marzo. Le immagini del brutale intervento furono trasmesse dalle televisioni di mezzo mondo ed anche James Reeb le vide. Ne fu scosso a tal punto che decise di prendere il primo volo per essere anche lui presente e dare il suo  sostegno a quella mobilitazione. La sera del 9 marzo, lui e altri due pastori, si stavano recando alla chiesa dove era previsto un discorso di King, quando furono affiancati da quattro uomini bianchi: “Negri, ehi, negri, un momento….”. Fu inutile affrettare il passo. Una raffica di bastonate si abbattá sui tre malcapitati. Per Reeb non ci fu nulla da fare. Perse immediatamente conoscenza. Sarebbe morto, l’11 marzo, all’ospedale di Birmingham, lasciando la moglie, Mary, e quattro figli, John, Karen, Anne e Steven. Il processo che portò alle sbarre tre dei responsabili dell’aggressione, si concluse, dopo una riunione in camera di consiglio durata un’ora e mezza, con la sentenza di assoluzione.  In una Autobiografia di Gandhi che teneva con sé, Reeb aveva a suo tempo sottolineato queste parole: “Tutti i piaceri e i possessi impallidiscono e diventano nulla a confronto con il servizio reso in spirito di gioia”.

 

I testi che la liturgia del giorno propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Isaia, cap,58, 1-9; Salmo 51; Vangelo di Matteo, cap.9, 14-15.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia. 

 

Della tragedia del Giappone noi si è saputo solo a sera, quando, un centinaio di persone, ci siamo ritrovati nel Centro di Pastorale della Diocesi, per l’apertura  di due giorni di ritiro, guidato da quello straordinario biblista che è  frei Carlos Mesters, su cui contiamo di ragguagliarvi nei possimi giorni. Il Giappone ci ha fatto venire in mente quanto ci aveva scritto nei giorni scorsi un amico, in relazione alle preghiere che una volta o l’altra ci capita di chiedervi per l’uno o per l’altro. Ci scriveva: “Potrei anche fare una preghiera, ma  chi l’ascolterà? A cosa servirà ? E perchè  Dio dovrebbe ascoltare la mia di preghiera? E tutti gli altri poveri cristi che soffrono e muoiono nella sofferenza?  Per loro  i milioni di preghiere che salgono al Cielo non hanno alcun risultato… Dio è impotente, perchè ha delegato noi a fare quello che vorremmo facesse lui…”. E, oggi, il Giappone. Ma, potremmo aggiungerci la Costa d’Avorio e la Libia e chissà quante altre situazioni. Noi, all’amico, gli si era risposto così: “Alle domande che sollevi non sappiamo risponderti (né risponderci).  Non sappiamo se sia vero che Lui non ci ascolta, anche se siamo propensi a credere che invece no, ci ascolti. Del resto è proprio questo al centro della nostra fede (ricordi? “Ho ascoltato il grido del mio popolo” Es 3, 7). La preghiera è la stessa cosa che lo Spirito Santo, che geme per ogni dolore piccolo o grande del mondo e che passa (per questo lo chiamiamo Consolatore) a carezzare la fronte di ogni malato, di ogni sofferente, anche se non può fare altro. Tifando nello stesso tempo per noi, perché, almeno noi, si possa fare qualcosa. La preghiera forse non guarisce direttamente il malato, non elimina il suo dolore, ma può convertire il nostro cuore, aiutarci a pensare, a dire, a fare qualcosa che possa alleviare gli altri. Poi, forse, è anche più di questo. Ma non ci è dato saperlo. Però la Bibbia, il Vangelo, ce ne offrono la traccia. Consistente. Quello che non riesce alla nostra preghiera/parola/gesto di intercessione alla fine è problema Suo”. Già, ma se Lui è assente, se non interviene, se ritarda? Perché ritarda tanto? A questo non abbiamo nessuna risposta, se non che anche l’ultima preghiera di Gesù è stata un grido. A cui il Padre ha risposto. Con la risurrezione. Comunque, non smettiamo troppo facilmente di domandare: perché tardi tanto? Forse, perché, come suggerisce il nostro amico, ci vuole apprendisti suoi. E sia.

 

Sullo scandalo del silenzio di Dio, della sua impotenza, del suo mancato (o ritardato) intervento, noi ci congediamo, offrendovi una poesia della poetessa ebrea di lingua tedesca Mascha Kaléko, “Verse für keinen Psalter”, che, a qualche orecchio, potrà anche suonare irriverente, ma i nostri fratelli ebrei se lo possono permettere, per il grado di intimità che hanno con Lui e per la loro storia. È solo uno sfogo. È solo un pianto. Ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Non vorrei essere il Signore Iddio di questi tempi / e ben protetto troneggiare dietro le nubi, / ben sapendo, lui che sa tutto, che le bombe e i cannoni / seminano la rossa morte tra i miei figli. // Che pena ascoltare un coro d’angeli, / quando il pianto dei bambini risuona attraverso la campagna. / Lo sa Dio, non vorrei per tutto l’oro del mondo / essere al posto del buon Dio in cielo. // Mi sembra che abbia ingaggiato un tale apparato gigantesco / di oscurità e fuochi artificiali, / ha fatto dunque un miracolo, / come fece una volta in Egitto? // Rendete gloria al Signore che tace! In tempi come questi / perdona, o pastore – tacere è un delitto. / Sembra tuttavia che a Sua Santità / non ci si possa rivolgere nemmeno per il più docile degli agnellini. // Il Signore degli eserciti passeggia tra boschi di nuvole / e non gliene importa un fulmine, mi pare. / Non vorrei essere il buon Dio di questi tempi. / Ma come faccio a dirlo al mio bambino.// (Mascha Kaléko, Verse für keinen Psalter).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Marzo 2011ultima modifica: 2011-03-11T23:30:00+01:00da fraternidade
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