Giorno per giorno – 10 Marzo 2011

Carissimi,

“Poi, a tutti, Gesù diceva: Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà” (Lc 9, 23-24). Già, “se qualcuno vuol venire dietro a me”: stamattina ci dicevamo che  Gesù si dev’essere sentito ben solo in quell’occasione, per esprimersi così. Eppure Pietro aveva appena finito di riconoscerlo come Messia, il Cristo di Dio (v.20). Ma non sapeva neppure lui di che parlava. Come non lo sappiamo ancora noi, la sua chiesa, salvo qua e là, dopo duemila anni. Gesù, comunque, a scanso di equivoci, chiarisce per lui e i suoi compagni, e anche per noi, cosa gli capiterà. E cosa ci capiterà, se davvero decideremo di seguirlo. La croce era il segno estremo del rigetto e della scomunica da parte del sistema di potere nelle sue diverse articolazioni. Gesù ci sta dicendo che, per seguirlo, dobbiamo rinnegare noi stessi (cioè: chi? io? non c’è più, si è perso, è andato via. Ora ci sei solo tu). E non finisce lì. Perché assumere il “tu nella disgrazia”, significa far mia la croce della marginalità e dell’esclusione che egli sperimenta, ponendo in essere un primo gesto di comunione, che libera lui e rende più vero(a) me, mi salva cioè la vita (proprio quando gli altri, ma forse persino io stesso(a),  giudicano che la stia perdendo), rivelandomene il senso più profondo: la vita come servizio. Perché il Figlio dell’uomo (ma, allora, anche ogni figlio(a) di uomo) è venuto non per essere servito, ma per servire. E dare la propria vita in riscatto per gli altri. Beh, per essere solo il secondo giorno di Quaresima, è decisamente troppo.  Lui, comunque, è paziente. Noi si può tergiversare quanto si vuole, ma Lui ci aspetta lì.  

 

Oggi la Chiesa fa memoria dei Quaranta Martiri di Sebaste, in Armenia; il martirologio latinoamericano ricorda Elías del Socorro Nieves del Castillo, José Dolores e José de Jesús Sierra, martiri in Messico, e noi ci aggiungiamo Harriet Tubman, che fu Mosè per il suo popolo.

 

10_MÁRTIRES_DE_SEBASTE.JPGMelezio, Aezio e Eutichio sono i primi nomi dei quaranta martiri, che ricordiamo oggi. Erano tutti soldati cristiani, provenienti da diverse regioni. Facevano parte della Legione Fulminante, stanziata nei pressi di Sebaste, in Armenia (oggi Sivas, in Turchia). Nell’anno 320, Licinio, imperatore d’Oriente, temendo che la diffusione del cristianesimo, facilitata dall’Editto di Tolleranza da lui sottoscritto assieme a Costantino, potesse mettere a repentaglio la stabilità dell’Impero, tornò ad imporre ai suoi sudditi la religione imperiale. Questo si tradusse, per militari e funzionari pubblici, nell’obbligo di rendere omaggio all’imperatore, bruciando incenso davanti alla sua effigie. Rifiutarsi significava la morte. I quaranta legionari che erano uomini di fede e di fegato, dissero no. Furono perciò disarmati e imprigionati, come pericolosi sovversivi. In carcere scrissero, insieme, il loro testamento, chiedendo di essere sepolti in una fossa comune per restare uniti in morte come lo erano stati in vita. Furono condannati ad essere immersi, nudi, in uno stagno gelato. Il prefetto Agricola, per incentivarne la defezione, fece preparare accanto allo stagno un bagno caldo, dove chiunque rinnegasse la sua fede potesse trovare ristoro. Il racconto ci dice che uno solo uscì dallo stagno, ma, in compenso, uno dei soldati di guardia, colpito dal coraggio degli altri trentanove, scelse di aggiungersi ad essi, ricevendo con loro la corona del martirio.

 

10 Nieves.jpgMateo Elías Nieves del Castillo nacque il 21 settembre 1882 a Yuriria, nello Stato di Guanajuato, in Messico, dove i suoi genitori, Rita e Ramon, erano agricoltori. Rimasto orfano di padre, ucciso durante una rapina, Mateo Elías dovette abbandonare gli studi per lavorare nella tenuta di famiglia. Il che non gli impedì di impegnarsi nell’azione pastorale della sua parrocchia. Nel 1904, ventiduenne, ottenne di entrare nel seminario agostiniano di Yuriria, dove riprese, con grande fatica e molta buona volontà, gli studi interrotti. Emise la sua professione religiosa nel 1910, assumendo il nome di Elias del Socorro,  e fu ordinato sacerdote il 9 aprile 1916. Nel 1921, fu inviato a La Cañada de Caracheo, una comunità povera e semplice di tremila persone, nel municipio di Cortazar, al cui servizio il giovane frate si spese da subito con passione ed entusiasmo. Quando nel 1926 iniziò in Messico la persecuzione nei confronti della Chiesa cattolica, Elias rifiutò di obbedire all’ordine governativo di recarsi nella capitale, preferendo restare a condividere il destino della sua gente. Protetto dalla complicità dei fedeli, il prete riuscì a restare nascosto 14 mesi in una grotta, dove i fedeli si riunivano per pregare, ascoltare la parola del Vangelo, celebrare l’Eucaristia. Il 7 marzo 1928, il nascondiglio fu scoperto e padre Nieves arrestato. Erano con lui due laici della sua comunità, José Dolores e José de Jesús Sierra. Questi, benché lasciati liberi dalle guardie, rifiutarono di abbandonare il loro pastore. Sulla strada per Cortazar, l’ufficiale che comandava il plotone ordinò di fucilare i due contadini, che morirono gridando: Viva Cristo Re!. Successivamente, giunti in località “El Llano”, il capitano disse al frate: È arrivata la tua ora. Padre Elias, allora, pregò, recitò il Credo, benedisse i soldati e disse loro parole di perdono, poi diede il suo orologio al capitano e stese le braccia in attesa della scarica fatale. Era il 10 marzo 1928.

 

10 H. Tubman.jpgAraminta Harriet Ross era nata nella Contea di Dorchester, nel Maryland, nel 1820 o 1821. Era figlia di Benjamin Ross e di Harriet Greene, che lavoravono come schiavi nelle tenuta della famiglia Brodas. La storia di Mosè,  che Dio aveva inviato a liberare i figli d’Israele dalla schiavitù d’Egitto, segnò profondamente l’immaginazione infantile di Harriet,  costretta ad assistere alle angherie che i bianchi riservavano alla sua gente. Sempre pronta a prodigarsi per gli altri, un giorno che era intervenuta per proteggere un bracciante dalla furia di un sorvegliante, fu raggiunta da un blocco di ferro alla testa. Rimase per alcuni giorni tra la vita e la morte, poi si riprese, ma le conseguenze di quel colpo l’avrebbero accompagnata per il resto della vita. Nel 1844, giovane donna, sposò John Tubman, un uomo libero, che abitava in una baracca vicina alla piantagione, dove anch’essa passò a vivere. Da allora, la donna, cominciò a meditare di fuggire, senza però riuscire a convincere il marito, che temeva i rischi dell’avventura. Contando sulla complicità di una donna quacchera, nel 1849, Harriet decise di fuggire da sola. Viaggiando di notte, avendo come unico riferimento la stella polare, la donna attraversò finalmente il confine della Pennsylvania e raggiunse poi Filadelfia, dove cominciò a lavorare, nella speranza di mettere da parte i soldi necessari, per tornare al sud e liberare i suoi famigliari. A Filadelfia conobbe William Still, un abolizionista, legato alla “Ferrovia sotterranea”, un’organizzazione clandestina che forniva cibo, vestiti,  e trasporto agli schiavi in fuga per il Nord. Harriet entrò così anche lei nella rete, divenendone una delle guide. Tra il 1850 e il 1860, riuscì a mettere da parte le somme necessarie per compiere 19 viaggi e mettere in salvo circa trecento schiavi. Durante la Guerra Civile, la Tubman lavorò nell’esercito dell’Unione come infermiera, guida, spia. Dopo la guerra, si ritirò a vivere nella casa che aveva ad Auburn, nello Stato di New York. Rimasta vedova di John Tubman nel 1867, due anni più tardi sposò un ex-schiavo e soldato dell’Unione, Nelson Davis. Dopo la scomparsa di questi, avvenuta nel 1888, Harriet continuò ad aiutare malati, poveri e neri senzatetto, e ad appoggiare i loro sforzi per conquistare il diritto al voto. Fino alla sua morte, il 10 marzo 1913.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro del Deuteronomio, cap. 30,15-20; Salmo 1; Vangelo di Luca, 9,22-25.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

In una pagina della biografia che Sarah H. Bradford ha dedicato ad Harriet Tubman con il titolo diHarriet, the Moses of her people” (la trovare in rete), l’autrice lascia la parola alla nostra eroina, che riporta la testimonianza di un vecchio schiavo, da lei incontrato a Hilton Head,  sul giorno della sua liberazione. A noi è parsa molto bella, una sorta di rivisitazione dell’Esodo e una riscoperta del Paradiso perduto. Nel congedarci, ve la proponiamo come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Sono stato qui settantatre anni, lavorando per il mio padrone senza neppure uno straccio di salario. Ho lavorato zuppo di pioggia e bruciato dal sole. Ho lavorato con la bocca piena di polvere, senza potermi fermare a bere un bicchiere d’acqua. Sono stato frustato e morivo di fame e sempre pregavo: “Oh! Signore, vieni a liberarci”. Per tutto quel tempo gli uccelli continuavano a volare  e i corvi a gracchiare e i pesci a nuotare nell’acqua. Un giorno ho guardato in alto e ho visto un grossa nube; non si avvicinava come in genere arrivano le nuvole da lontano, laggiù, ma sembrava di avercela proprio sopra la testa. Ne uscivano tuoni e lampi. Allora ho guardato in basso verso l’acqua e ho visto, almeno così mi sembrava, una grande casa sull’acqua, e fuori della grande casa venivano come delle grosse uova, e le uova buone attraversavano l’aria e cadevano nel forte; e le uova cattive bruciavano prima di arrivare là. Allora gli uomini bianchi hanno cominciato a correre e non si fermavano prima di raggiungere la palude  e ci affondavano e là morivano. Poi ho saputo che era la nave degli Yankee a sparare le grosse uova e che loro erano venuti a liberarci. Allora ho lodato Dio. Egli era venuto a mettere il suo ditino nell’impresa, e tutti i bianchi se ne sono andati; e gli uccelli hanno smesso di volare, e i corvi hanno smesso di gracchiare e quando sono andato a pescare del pesce da mangiare col mio riso, non c’era più pesce. Dio onnipotente era venuto e aveva liberato anche loro da quelle acque. Oh! sia lodato il Signore. Io ho pregato settantatre anni, ed ora Lui è venuto e noi siamo tutti liberi. (Sarah H. Bradford, Harriet, the Moses of her people).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Marzo 2011ultima modifica: 2011-03-10T23:24:00+01:00da fraternidade
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