Giorno per giorno – 16 Febbraio 2011

Carissimi,

“Gesù prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: Vedi qualcosa? Quello, alzando gli occhi, diceva: Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano” (Mc 8, 23-24). Valdecí diceva stamattina: Quanti miracoli succedevano a quel tempo. Allora era più facile credere. Sì, nessuno esclude che possa essere stato così, resta il fatto che è comunque difficile credere nella maniera giusta. Tanto è vero che, ancora nel Vangelo di ieri, Gesù rimproverava i suoi discepoli dicendo loro: “Non intendete e non capite ancora? Avete il cuore indurito?” (Mc 8, 17). Che, poi, è ciò a cui, più propriamente, allude la condizione del cieco del racconto di oggi. È questo che interessa a Marco. Quando egli scrive il suo Vangelo, infatti, non era già più tempo di miracoli, ma continuava ad essere il tempo della fede. Come anche per noi oggi. E che per noi si tratti della fede vera, della fede giusta, è dato paradossalmente non tanto da ciò che noi pensiamo di Gesù, ma da come noi “vediamo” gli uomini. Tutti gli uomini. Potremmo, infatti, pensare i pensieri più belli su Dio, cantargli le nostre lodi in maniera sublime, rinunciare per Lui a tutto, persino, come suggerisce Paolo nel suo inno alla carità, distribuire tutte le nostre sostanze ai poveri, se tuttavia vediamo ancora gli uomini “come alberi che camminano”, se, cioè, non scorgiamo in essi, e ciascuno di essi, malgrado  ogni loro povertà, anzi proprio in forza di essa, la presenza di Cristo, che ne fa veri figli di Dio e veri nostri fratelli (e sorelle, ovviamente), non possiamo ancora affermate di credere nel modo giusto. La fede di Gesù nel Padre, la fede in Gesù, come irripetibile immagine del Suo agire, non può aver nulla da spartire con lo stupidario di preconcetti, pregiudizi, razzismi e prevenzioni, cui capita, una volta o l’altra, a quasi tutti di attingere. Abbiamo bisogno che Gesù, pazientemente, ci “imponga di nuovo le mani sugli occhi” (Mc 8,25), affinché anche noi si possa, come quel cieco, ormai definitivamente guarito, vedere chiaramente. Ed essere così, suoi discepoli, finalmente.

 

Oggi è memoria di Janani Jakaliya Luwum, pastore e martire in Uganda, e dello starec Isidoro, asceta ed eremita.

 

16_JANANI_LUWUM.JPGJanani Jakaliya Luwum era nato nel 1922 a Mucwini, in Uganda. Da ragazzo era stato pastore del gregge di suo padre, un contadino di recente convertito al cristianesimo. Solo all’età di dieci anni aveva potuto cominciare a frequentare la scuola e lo fece con impegno e profitto, fino a conseguire il diploma di insegnante. Il 6 gennaio 1948, Janani ricevette il battesimo. L’esigenza che sentiva sempre più pressante di evangelizzare, lo portò, dapprima, ad essere catechista e, poi, a decidere di mettersi a tempo pieno al servizio della Chiesa. Ordinato sacerdote nel 1956, alternò soggiorni di studio in Inghilterra al lavoro pastorale e all’insegnamento nell’ Istituto teologico di Bulawasi, finché il 25 gennaio 1956 fu consacrato vescovo dell’Uganda settentrionale. Alla cerimonia erano presenti il presidente della repubblica, Milton Obote, e l’allora Capo di stato maggiore dell’esercito, Idi Amin. Nel 1974, Janani Luwum fu eletto Arcivescovo di Uganda, Rwanda, Burundi and Boga-Zaire. Nel frattempo, nel 1971 il Colonnello Idi Amin aveva rovesciato con un cruento colpo di stato il governo in carica e aveva instaurato una crudele dittatura militare. Migliaia di persone erano state arrestate, imprigionate senza alcun processo e giustiziate. L’arcivescovo Luwum non se ne stette zitto, né allora, né negli anni successivi.  L’8 febbraio 1977, lui e quasi tutti i vescovi ugandesi si riunirono e stilarono una dura nota di protesta, in cui si denunciavano gli atti di violenza compiuti dai servizi di sicurezza del regime e si chiedeva un incontro urgente con il dittatore. Il 16 febbraio, gli ecclesiastici furono convocati nella capitale Kampala. Dopo un confronto farsa, che si risolse in una sorta di processo per tradimento ai vescovi presenti, ad uno ad uno,  fu ordinato loro di andarsente. Fu trattenuto solo Luwum, che volgendosi al vescovo Festo Kivengere, disse: “Mi uccideranno, ma non ho paura”. Il giorno dopo fu diffusa la notizia che l’arcivescovo con due ministri del governo, cristiani impegnati, erano morti in un incidente d’auto. In seguito si seppe che lo stesso Amin, infuriato per il rifiuto di Luwum a sottoscrivere una confessione, gli aveva sparato a bruciapelo in volto.  Era il 16 febbraio 1977.

 

16 STAREC ISIDORO.jpgIoann (tale il nome alla nascita) era nato,  nel 1824 (o, secondo un’altra versione, nel 1833), nel villaggio di Lyskovo, nel distretto di Makar’evo, nel governatorato di Nižegorod (Russia), nella famiglia di Andrey e Paraskeva Kozin, servi della gleba addetti ai servizi domestici alle dipendenze dei principi Gruzinskij.  Quando era incinta di lui, la madre si era recata a Sarov, dallo starec Serafim e il santo l’aveva chiamata a sé e le si era prostrato davanti, predicendole che sarebbe nato da lei un grande asceta. Poco o nulla si sa degli anni giovanili di Ioann, salvo il fatto che, assieme ai divertimenti propri dell’età, egli dava spazio a momenti di preghiera e di meditazione. Nel 1852, avendo ormai chiara dentro di sé la vocazione allo stato monastico, chiese e ottenne di entrare nell’eremo del Getsemani, eretto dal metropolita di Mosca, Filarete.  Nel 1860  Ioann fu ordinato monaco e prese il nome di Isidoro. Si trasferì allora nell’eremo del Paraclito, destinato agli amanti della solitudine più austera, dove ricevette l’ordinazione a ieromonaco. Lì restò cinque anni, fino a quando, cioè, gli si offrì la possibilità di recarsi nella repubblica monastica del Monte Athos, dove però potè trattenersi solo un anno. Tornato in patria, dopo un breve periodo al Paraclito, fece ritorno all’antico eremiterio, dove visse senza interruzioni, fino alla morte avvenuta alle undici di sera del 16 febbraio (3 febbraio per il calendario giuliano) del 1908. Pavel Florenskij, che fu suo figlio spirituale, nella biografia che gli dedicò, scrisse di lui: “Povertà, salute precaria, sprezzante trascuratezza, ingiurie, persecuzioni: ecco di quali spine si era ricoperto il sentiero della vita dello starec. E tuttavia, pur tra queste spine, egli era riuscito a serbare una tale serenità, una tale gioia, una tale pienezza di vita, quale noi non abbiamo né siamo in grado di conseguire  nemmeno nelle condizioni in assoluto più favorevoli”. 

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro di Genesi, cap.8, 6-13. 20-22; Salmo 116; Vangelo di Marco, cap.8, 22-26.

 

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale che ne sia il cammino spirituale o la filosofia di vita.

 

L’ultimo capitolo della biografia che Pavel A. Florenskij dedicò allo starec Isidoro si apre con una profezia di san Nifonte di Caregrad (sec. XVI), che parla di santi, di miracoli, di fede, di costumi dei tempi che verranno. Che qualcosa, forse, ha da dire anche ai nostri, di tempi. Nel congedarci, ve la proponiamo come nostro     

 

PENSIERO DEL GIORNO

Un giorno un fratello pose a san Nifonte di Caregrad la seguente domanda: “Come oggi i santi si sono moltiplicati in tutto il mondo, sarà così, forse, anche alla fine dei tempi?”. A tale quesito il beato Nifonte rispose: “Figlio mio, fino alla fine dei tempi non mancheranno i profeti del Signore Dio, così come non mancheranno nemmeno i servitori di Satana. Ad ogni modo, nei tempi della fine, coloro che serviranno in verità Dio, si terranno felicemente nascosti dalla vista degli uomini, non lanceranno segni premonitori né compiranno miracoli tra la gente, come nella nostra epoca, ma opereranno in umiltà e nel regno dei cieli saranno più grandi dei padri che si sono resi celebri con le loro pubbliche profezie. Poiché allora nessuno compirà innanzi agli occhi della gente miracoli, atti a infervorare gli uomini e a incitarli a tendere con zelo verso grandi azioni ascetiche. Coloro che occuperanno alte cariche ecclesiastiche, in tutto il mondo, si dimostreranno degli incapaci e non conosceranno l’arte della virtù. E tali risulteranno anche i rappresentanti dei monaci, giacché tutti saranno degradati dal peccato della gola e della vanagloria, sicché serviranno più da tentazione che da esempio per gli uomini. Per questo la virtù sarà ancora più disdegnata; allora regnerà l’aviditá di denaro e i monaci sguazzanti nell’oro cadranno in disgrazia, perché saranno un affronto al Signore Dio e non vedranno il volto del Dio vivente… Per questo, figlio mio, come ho detto in precedenza, molti, posseduti dallo spirito dell’ignoranza, cadranno nell’abisso, smarrendosi nell’immensità di un ampio, vasto camino”.  (Pavel A. Florenskij, Il sale della terra. Vita dello starec Isidoro).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 16 Febbraio 2011ultima modifica: 2011-02-16T16:50:00+01:00da fraternidade
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