Giorno per giorno – 02 Novembre 2010

Carissimi,

”Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno” (Gv  6, 39). In un’altra occasione Gesù aveva affermato categoricamente: “Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio” (Lc 10, 22). Dunque non può esserci nulla che vada perduto, nessuna delle nostre vite, quand’anche sbagliate. E proprio per questo, salvate. Se, infatti, non ci fosse errore e perdizione, da che cosa ci salverebbe Dio, di chi sarebbe Gesù il salvatore. Già, siamo troppo preziosi ai suoi occhi da permettergli di lasciarci perdere, come invece, qualche volta almeno, capita di fare a noi con gli altri. Così Lui se ne sta lì, ci osserva, qualche volta sorridendo, altre volte forse no, nei nostri tentativi sbagliati (il peccato consiste in questo) alla ricerca della felicità, cioè del bene, cioè di Lui. Questa festa di due giorni, come si merita una festa grande, non contrappone i santi agli altri defunti. Nel primo giorno ci fa guardare a quanti ci hanno preceduto con gli occhi di Dio. Egli ci ha fatto tutti belli, anzi molto belli (Gen 1, 31), e perciò, sempre e comunque,  “capolavori-in-formazione” finché siamo qui. Poi, al momento giusto, esaurita la nostra fantasia, creatività e forza, interviene Lui con il suo ultimo tocco, a rimediare quello che ancora non va. E spesso è molto, ma non per Lui. È ciò che la tradizione chiama il purgatorio, che poi corrisponde al bagno, fresco e riposante, del figlio prodigo, di ritorno a casa, prima di indossare la veste dell’eternità in Dio. Oggi, invece, è la festa, o, meglio la memoria che facciamo dei nostri defunti, nella prospettiva dei nostri occhi mortali. È lo spazio che concediamo ai sentimenti, alla nostalgia, qualche volta, al rimorso, alla compassione, al perdono, alla riconciliazione. È Lui che ci educa sul valore della vita, su ciò che davvero conta in essa, a partire da uno sguardo pacificato sulla morte. Spesso proprio delle persone più care che ci sono venute a mancare. Scoprendo, magari, come quegli ultimi momenti, a cui ci sia stato dato di assistere e accompagnare, erano ancora e più di altri, momenti di grazia e di incontro con un mistero che non ha nulla di pauroso, perché è l’abbraccio tenero del Padre. Che, anche  attraverso loro, raggiunge tutti noi.       

 

02 fedeli defunti.jpgLa Memoria di Tutti i [fedeli e infedeli] Defunti è nata come memoria monastica  dei fratelli defunti dell’abbazia di Cluny. Voluta dall’abate Odone, nel 998.  Che poi, col tempo, i semplici cristiani si devono esser detti: perché ricordare solo i monaci? Noi siamo cristiani di serie B? E la Chiesa latina l’ha così estesa a tutti quanti. Magari calcando un po’ troppo la mano sulla faccenda delle indulgenze, che l’avrebbe resa invisa ai fratelli riformati. Ma, oggi, sono cose superate. Noi celebriamo la comunione di amore e di preghiera che lo Spirito tesse tra noi tutti, vivi e defunti, superando ogni barriera di tempo, di spazio, di religione, di cultura. 

 

Il calendario ecumenico ci trae oggi la memoria di Mor Gregorius Gheevarghese, pastore della Chiesa Ortodossa Siriaca Malankarese.

 

02 Parumala_MarGregorios.jpgGheeevarghe era nato il 15 giugno 1848 a Mulanthuruthy (India), da Mariam e Mathai Pallithatta Thanagattu, una famiglia di ecclesiastici della locale Chiesa ortodossa siriaca. Fin da bambino si distinse per la vita disciplinata, l’amore alla preghiera e la pratica del digiuno. A dieci anni fu ordinato diacono, e, negli anni seguenti, in rapida successione, ricevette l’ordinazione ai differenti gradi dello stato presbiterale. Il 7 aprile 1872 divenne monaco, assumendo il nome di Gregorius, e nel 1876, ventottenne,  fu consacrato vescovo della diocesi di Niranam e Thumpamon dal Patriarca Pietro IV, in conformità alla decisione presa dal sinodo di Mulanthuruthy. Mor Gregorius visse gli anni del suo ministero pastorale, dedito alla preghiera, alla meditazione e alla cura sollecita del gregge affidatogli. Morì in fama di santità il 2 Novembre 1902, a soli cinquantaquattro anni. Nel 1947, il sinodo della Chiesa ortodossa malankarese, in risposta alla pressione popolare, decise di procedere alla sua canonizzazione. I suoi resti mortali sono sepolti nella chiesa di San Pietro, a Parumala, nello Stato del Kerala (India).

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della Memoria dei Defunti e sono tratti da:

Libro di Giobbe, cap. 19 1.23-27; Salmo 27; Lettera ai Romani, cap. 5, 5-11; Vangelo di Giovanni, cap.6, 37-40.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

 

Un certo numero di persone del circondario ci ha lasciato in questi ultimi giorni. Ha cominciato seu Armando, che avevamo conosciuto anni fa nella Chiesa Avventista del Settimo Giorno, da cui, in seguito,  si era un po’ allontanato a causa, diceva, del suo rigore. Però aveva mantenuto il gusto per la parola di Dio ed ogni tanto ci cercava per parlarne insieme. Da un paio d’anni stava trattando un’hanseniasi piuttosto avanzata, poi nell’ultimo mese l’avevamo perso di vista. Ci hanno detto che gli era apparso un nodulo in gola e che era andato a Goiânia per farsi vedere. Ma non c’è stato niente da fare. Se n’è andato in fretta. Poi è stata la volta di Maria Dália, di novantuno anni, da tempo immobilizzata, curata amorevolmente dalla sorella, da cui Dulcy ci aveva portato qualche volta a pregare. Infine, sabato, è morto seu Dito, lo sposo di dona Cecilia e il padre di Divino, nostro amico di Fé e Luz, che avevamo incontrato a messa domenica mattina e ci fa: il papà è morto. E aveva riso, come ride sempre per ogni cosa, lieta o triste. Ed è il suo modo di affrontare la vita  e di dare coraggio anche agli altri.  Li ricordiamo, oggi,  insieme a tutti coloro che ci hanno lasciato da più  tempo. Perché continuino in nostra compagnia.

 

Ed ora ci congediamo, offrendovi in lettura un testo di Frère Christophe Lebreton, uno dei monaci martiri di Tibhirine. È una sua omelia proprio per questo giorno. La troviamo nel suo libro “Adorateurs dans le souffle. Homélies pour les fêtes et solennités (1989-1996)” (Éditions de Bellefontaine).  Ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Fratelli e sorelle, chi ci riunisce, chi ci attira qui, ai piedi di una croce elevata? Se è la morte, se non c’è risurrezione dei morti, se Cristo non è risorto, la nostra predicazione, il nostro annuncio del Vangelo è vuoto, e vuota è anche la nostra fede…. illusoria. Colui che ci ama non è morto. Cristo è Risorto. Sulla Croce è lui che ci attrira. Oh!, la nostra fede non è ad un tratto definitivamente riempita di un atteggiamento astratto, irrisorio, davanti alla morte, reale, che ci circonda, ci raggiunge, ci fa piangere. La fede presso la Croce si svuota di ogni contenuto. La fede di Maria, la fede della Chiesa, la fede cristica è qui riempita di Lui: non un’idea di Lui, ma riempita del suo Io sono. Io sono la Risurrezione e la Vita. Credi tu questo? (Gv 11,25). La fede di Maria è qui ridotta a nulla per essere riempita solo di grazia e di verità (Gv 1, 17), riempita del Soffio donato: soffio del Prediletto, vita del Risorto. Qui la nostra predicazione, il nostro annuncio del Vangelo riceve la testimonianza più grande, quella che Dio ha reso a suo Figlio. Il Padre ama il Figlio. Lasciamo che l’uomo della Croce ci introduca in questo luogo ormai accessibile dell’Amore eterno. Lasciamo che l’uomo forte ci mantenga in questo vincolo di Pace vivente: il Padre ed io siamo una cosa sola (Gv 10, 30), affinché il mondo possa sapere che tutti siamo amati da questo amore crocifisso. Fratelli e sorelle, guardiamo con fiducia a Colui che abbiamo trapassato (Gv 19, 37). La sua casa di preghiera, è qui tra le sue braccia aperte. C’è posto per tutti. Qui, l’ultimo nemico, la morte, sempre presente, lo sappiamo, è vinto (1Cor 15, 26.54). Solidali con i nostri fratelli e sorelle defunti, lasciamo che Gesù vinca in noi la morte, presso la Croce, con il Discepolo presente in casa nostra. Impariamo questo catechismo elementare, essenziale e sufficiente. Impariamo a dire: grazie, per favore, scusa, ti voglio bene. Sì, per favore, scusa, ti voglio bene…. (Frère Christophe Lebreton, Adorateurs dans le souffle).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 02 Novembre 2010ultima modifica: 2010-11-02T23:09:00+01:00da fraternidade
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