Giorno per giorno – 10 Giugno 2010

Carissimi,

“Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono” (Mt 5, 23-24). Stamattina, ci dicevamo che, se Gesù ci chiede di far questo, è perché, per primo lo fa Lui, cioè, in definitiva, lo fa Dio. L’avventura di Gesù è mossa propriamente da questa ansia che Dio ha di riconciliarsi con il mondo, con i suoi figli e figlie. Si fosse noi Dio, diceva Valdecí, hai voglia! Si resterebbe là seduti in trono ad aspettare che tutti venissero ai nostri piedi a fare atto di contrizione e a chiedere perdono. Del resto, chi ha torto sono sempre gli altri. Noi, al massimo, si arriva a un gesto di paternalistica condiscendenza: va bene, per questa volta, ma non farlo più! E, invece, Dio fa il contrario: lascia il suo paradiso e ci viene a cercare. Perché senza noi, senza il nostro amore, pur così povero, gretto e interessato, il paradiso non è più tale. E, allora, al diavolo l’orgoglio (che con Lui proprio non c’azzecca), e Dio se ne viene a Canossa, dall’ultimo dei peccatori: Dai, facciamo pace! Non riesco a dormire la notte con questo pensiero di te  in lite con me! La comunità dei discepoli di Gesù non può essere diversa dal suo Maestro e la Buona Notizia del Regno (l’amore reciproco, la vita come dono, la pratica del perdono) deve viverla, lei per prima, al suo interno. Se no, nessuno ci crede più. Già, all’epoca di Matteo, c’era chi nella comunità voleva disfarsi degli antichi insegnamenti: basta volersi bene, non servono tante regole! Che potrebbe anche essere vero, se questo non diventasse poi, troppo spesso, l’etichetta di un contenitore vuoto, o la foglia di fico, che nasconde un amore che non c’è già più. Già, l’amore è soprattutto responsabilità dell’altro, letteralmente, risposta all’altro, alle sue attese più profonde. E allora, per chi ama davvero, le leggi sono nel caso persino troppo poche. Quando si é innamorati, ci si sente in obbligo di fare tutto, e più di tutto, per andare incontro alla persona amata. È per questo che Gesù può dire: è stato detto agli antichi: non uccidere; ma io vi dico: non arrabbiatevi mai, non dite stupido, né idiota a qualcuno, perché questo è già un po’ uccidere. E, se è vero che appartenete al Dio della Vita, se fate parte della banda del suo Figlio, non potete proprio farlo.  Se, vi capita poi di litigare, di offendervi, di dividervi, fate subito pace. Perché Dio possa tornare a regnare tra di voi e  in voi.  È una parola!     

 

Il nostro calendario ecumenico ci porta oggi la memoria di Abraam di al-Fayyoum, pastore, amico e padre dei poveri, e il ricordo dei Martiri ebrei delle milizie cosacche.

 

A10 Abraam di al-Fayyoum.jpgbraam, il cui nome era Boulos (Paolo), nacque a Gilda, nel distretto di Mallawi (governatorato di al-Minya, Egitto), nel 1829 (1545 dell’Era dei Martiri), da genitori cristiani.  Ordinato diacono da Anba Yousab, vescovo di Sunabbo, a diciannove anni entrò nel monastero di al-Muharrak, e subito si distinse per la grande umiltà, la purezza e l’amore alla  preghiera. Quando Anba Yakoubos, vescovo di al-Meniah, ne udì parlare, lo volle alla sua residenza, e dopo qualche tempo lo ordinò prete, rimandandolo poi in monastero. Lì, nel 1866, i monaci lo elessero quale loro abate. Durante i cinque anni che mantenne questo incarico, fece di tutto per incrementare la vita spirituale dei monaci, migliorare la produzione dei loro terreni agricoli, ma soprattutto per andare incontro alle necessità dei poveri della regione, che, a migliaia, presero a bussare alle porte del monastero. Ma fu proprio questo suo atteggiamento che suscitò l’ira di un gruppo di monaci, che lo accusarono presso Anba Morcos, vescovo di al-Behira, facente le funzioni del patriarca dopo la morte di papa Demetrius II. Questi accolse le proteste dei monaci e depose l’abate. Dal monastero di al-Muharrak, con altri monaci, più vicini alla sua spiritualità, Boulos si trasferì al monastero di al-Baramous, dove era abate Youhanna lo Scrivano, che nel 1874 sarebbe diventato il 112º papa di Alessandria, col nome di Kyrillos V. Nel 1881 Kyrillos consacrò Boulos vescovo di al-Fayyoum e di al-Giza. Il monaco, assunse allora il nome di Abraam e, nel suo servizio episcopale, continuò con lo stile di sempre, semplice e povero, facendo della sua residenza il rifugio dei poveri, alimentandosi alla loro stessa mensa, rifiutando ogni segno di distinzione esteriore. Abba Abraam morì il 10 giugno 1914 (corrispondente al 3 Baouna 1630 dell’era dei martiri). Oltre diecimila persone, cristiane e musulmane, accompagnarono i suoi funerali. La sua tomba, nel monastero della Vergine Maria a al-Elzab, è ancora oggi meta di continui pellegrinaggi. 

 

10 Menorah.jpgIl 10 giugno 1648 le milizie dei cosacchi di Bodan Chmielnicki, sotto la guida del comandante Ganja, assediarono la città fortificata di Nemirov, in Polonia, dove avevano trovato rifugio seimila ebrei. Spazzata via ogni resistenza, i cosacchi entrano in città, sterminando tutta la popolazione ebraica. Nemirov rappresenta solo una delle centinaia di comunità ebraiche annientate dalle orde cosacche. Anche se resta difficile avere un quadro preciso sul numero delle vittime, le statistiche oscillano da un minimo di centomila a oltre seicentomila morti. Il tutto nel quadro di una rivolta dei cosacchi (di fede ortodossa), contro il dominio dei polacchi (cattolici), al fine di unificare l’Ucraina con la Russia. 

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

1° Libro dei Re, cap.18, 41-46; Salmo 64; Vangelo di Matteo, cap.5, 20-26.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

Non abbiamo testi di Abraam di al-Fayyoum, ma possiamo offrirvi a distanza di soli due giorni un’altra citazione di Matta el Meskin, che rappresenta una delle voci più ricche e significative del monachesimo copto. Dice della ricerca dell’unità nella chiesa, tra le chiese. La prendiamo dal suo libro “Comunione nell’amore” Qiqajon), ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

L’unità al di fuori della presenza divina non è che un’idea, un argomento di discussione, un vano desiderio. Ma in presenza di Dio l’unità si fa reale e visibile, traboccante e vitale, così che molti ne vivono. Quando Cristo si presenta in mezzo a una comunità in conflitto, la controversia deve scomparire e ciascuno deve cominciare a riempirsi della vera unità gli occhi e il cuore, e a disporre tutto il proprio essere a riceverla e a donarla. Tutti i problemi che vengono posti a proposito dell’unità sul piano teologico, e che non riescono a trovare soluzione, dimostrano per l’appunto che il Signore non è presente in mezzo allassemblea. Ora la sua assenza ci obbliga necessariamente a rimettere in questione il fine della riunione, il metodo della ricerca e le intenzioni dei membri riuniti. Certo è che se noi ci liberiamo dell’ “io” individuale e dell’ “io” ecclesiale, si a livello cosciente che subcosciente, l’unità si realizzaerà incontestabilmente. Non riusciamo a liberarci dell’ “io” carico di tutte le sue particolarità “tradizionali”, ideologiche, “canoniche” e “sacre”; l’individuo, qualunque sia il potere che ha su di sé, è incapace di distaccarsi dall’io: rappresentasse perfino la chiesa alla quale appartiene, sarebbe ancora incapace di disfarsi dell’ “io” della sua chiesa. Ma quando il Signore sarà veramente ed efficacemente presente, allora si dissiperà ogni umana autonomia e Cristo diventerà l’ “io di tutti”. Così l’uomo non avrà fatto concessioni al fratello, né si saranno scambiate vicendevolmente concessioni le chiese, ma tutti si saranno arresi a Dio: nello stesso modo che tutte le cose dovranno necessariamente sottomettersi a lui alla fine dei tempi. […] Il problema dell’unità è in modo netto e decisivo il problema stesso della presenza del Signore; è mediante questa presenza che troverà compimento l’unità a livello divino e le separazioni scompariranno. Solo il Signore può “fare dei due un solo popolo e abbattere il muro che li separa” (Ef 2,14). (Matta El Meskin, Comunione nell’amore).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Giugno 2010ultima modifica: 2010-06-10T23:32:00+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo