Giorno per giorno – 24 Marzo 2010

Carissimi,

“In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi” (Gv 8, 34-37). Curiosamente questo brano di Vangelo si apre con la notazione che Gesù disse queste cose “ai giudei che avevano creduto in lui” (v.31). Che sia stata o meno una svista del redattore finale, noi la prendiamo così com’è e ne facciamo, a maggior ragione, una parola rivolta a noi, che diciamo di credere in Lui. Se Gesù è il Figlio di Dio, cioè la Sua Parola che si fa presente nella storia umana, chi parla qui è la Parola di Dio, pronta, a nostro beneficio, a prenderci in castagna. Ricordandoci alcune cose, valide per noi come per i contemporanei di Gesù e per la comunità di Giovanni alla fine del primo secolo. Essere liberi è non essere schiavi del peccato, sottrarsi quindi alla logica del mondo, del potere. È la fedeltà alla Parola di Dio che ci rende davvero liberi e ci ci fa abitare come figli nella casa del Padre. Se invece siamo succubi del sistema, è pura illusione credere e rivendicare di essere figli di Dio. Siamo semplicemente altro. Gesù potrebbe dire a noi: “So che siete cristiani. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi”. Che, detto così, è per noi molto più scomodo della polemica messa in scena da Giovanni tra Gesù e quel gruppo di giudei contemporanei suoi o dell’evangelista. Alla fine, comunque, come ci dicevamo stamattina, commentando questo Vangelo, si potrà trovare tra gli ebrei, come tra i seguaci di altre religioni, o di nessuna religione, chi avrà accolto e fatta sua la Parola significata da Gesù, pur senza riconoscere questi come figlio di Dio, ed anche, tra quanti si dicono cristiani, chi, invece, avrà ucciso la Parola di Dio (cioè Gesù), rifiutandosi di porla in pratica. Facendo anzi il suo esatto contrario. Noi ci si immagina il riso amaro del buon Dio sulle tante malefatte delle cosiddette civiltà cristiane. E dei loro poteri. Sedicenti cristiani, anzi, cristianissimi. Persino lì, nei vostri paraggi. In tempi anche recenti e magari prossimi futuri. E, comunque, noi come siamo messi in proposito?

 

Oggi facciamo memoria di San Romero d’America, vescovo e martire in El Salvador, e di Paul-Iréné Couturier, testimone di ecumenismo.

 

24 Martírio Romero.jpgOscar Arnulfo Romero Galdamez era nato il 15 agosto 1917, in una famiglia modesta di sette figli,  a Ciudad Barros (El Salvador). Entrato in seminario a tredici anni, fu inviato a Roma nel 1937, per studiare all’Università Gregoriana, dove si licenziò in teologia nel 1943. Nel frattempo, il 24 aprile 1942, era stato ordinato sacerdote.  Rientrato in patria, per oltre ventanni si dedicò soprattutto all’attività pastorale come parroco. Il 24 maggio 1967 fu consacrato vescovo e, tre anni più tardi, lo troviamo vescovo ausiliare di mons. Luis Chávez y Gonzales, testimone coraggioso di una Chiesa schierata in difesa dei poveri e degli oppressi. Sarà chiamato a succedergli il 22 febbraio 1977. Era un momento drammatico per la situazione sociale, politica ed economica di El Salvador, ma il Palazzo guardava senza troppa preoccupazione al nuovo arcivescovo, sapendolo uomo di studi, di una religiosità tradizionale e tendenzialmente conservatore. Tuttavia, a pochi giorni dopo il suo insediamento, di fronte al cadavere di Rutilio Grande, un suo prete assassinato per l’impegno profuso a favore dei poveri, Romero  sentì chiaramente la chiamata di Cristo a prestare la sua voce ai senza-voce della storia, denunciando il clima di sopraffazione e di violenza che regnava nel Paese e segnalando le responsabilità dei potenti; sapendo essere nel contempo una presenza amica e solidale in mezzo alla gente sofferente e strumento di dialogo e di riconciliazione tra le parti in lotta. Fu ciò che fece instancabilmente durante gli anni del suo ministero episcopale. Finché glielo lasciarono fare. Ripetutamente minacciato di morte, Romero, la domenica 23 marzo 1980, pronunciò la sua ultima omelia in cattedrale, durante la quale, rivolgendosi agli uomini dell’esercito, disse: “Fratelli, siete del nostro stesso popolo, perché uccidete i vostri fratelli campesinos? Davanti all’ordine di uccidere deve prevalere la legge di Dio che dice: non uccidere. Nessun soldato è obbligato a obbedire a un ordine che va contro la legge di Dio. […] In nome di Dio, dunque, e in nome di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono fino al cielo ogni giorno più clamorosi, vi supplico, vi scongiuro, vi ordino in nome di Dio: cessi la repressione!”. Furono queste parole che probabilmente decisero la sua condanna a morte. Il giorno seguente Oscar Romero venne assassinato al termine dell’omelia, durante la celebrazione della messa nella piccola cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza, a San Salvador. Era il 24 marzo 1980.

 

24 Paul Couturier.jpgPaul-Iréné Couturier era nato a Lione, in Francia, nel 1881. Ordinato prete nel 1906 nella Società dei Preti di S. Ireneo, dopo la laurea in Fisica, divenne professore nel Collegio retto dalla Congregazione, restandovi fino al 1946. Dopo un ritiro ignaziano, nel 1923, decise di dedicare parte del suo tempo ad alleviare le sofferenze dei numerosi rifugiati russi che vivevano a Lione. Questa missione lo mise a contatto con le ricchezze spirituali dell’Oriente ortodosso.  Nacque così la sua vocazione ecumenica. Più tardi, nel 1932, un soggiorno nel monastero benedettino di Amay sur Meuse (oggi Chevetogne), in Belgio, lo portò a istituire l’Ottavario di preghiera per l’Unità dei cristiani. Nel 1936 organizzò a Erlenbach, in Svizzera, il primo incontro interconfessionale tra cattolici e protestanti, che darà origine al Gruppo di Dombes. Negli anni seguenti i suoi contatti si estesero alla Chiesa anglicana e a Roger Schutz, fondatore di Taizé. Nel 1944 completò il testo “Preghiera e Unità cristiana”, che diventerà il suo testamento spirituale. Padre Couturier morì la mattina del 24 marzo 1953, in seguito ad una crisi cardiaca. Qualche anno prima aveva scritto: “Se ogni giovedì sera, commemorazione settimanale del Grande Giovedì, una moltitudine sempre più grande di cristiani di ogni confessione formasse una rete immensa che avvolgesse la terra, come un vasto monastero invisibile dove tutti fossero assorti nella preghiera di Cristo per l’Unità, non sarebbe forse l’alba dell’Unità cristiana che si leva sul mondo? Non è questo atteggiamento di emulazione spirituale sincera, profonda, ardente, che il Padre aspetta per realizzare l’Unità visibile?”.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Daniele, cap.3, 14-20. 91-92. 95; Salmo (Dn 3, 52-56; Vangelo di Giovanni, cap.8, 31-42.

 

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza  per la pace, la fraternità e la giustizia. 

 

Noi, San Romero d’America, l’abbiamo celebrato, stasera, con un’Eucaristia, presieduta dal nostro Vescovo, dom Eugênio, nella chiesetta dell’Aeroporto. E non c’era mai stata tanta gente! Abbiamo ricordato come in tutto il mondo, comunità cattoliche, ma anche anglicane, luterane e di altre confessioni cristiane, facciano ormai memoria del suo martirio ed insieme del suo magistero, che rappresentano una delle pagine più gloriose della storia della chiesa del nostro tempo. Possa l’esempio di Romero contagiare noi e i nostri vescovi, affinché possiamo, per dirla con le parole di dom Pedro Casaldáliga, “vivere una spiritualità integrale, una santità tanto mistica come politica, nella vita quotidiana e nei processi maggiori della giustizia e della pace, ‘con i poveri della terra’, in famiglia, per strada, al lavoro, nei movimenti popolari e nella pastorale incarnata”. 

 

Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura il passaggio conclusivo del discorso pronunciato da Mons. Romero, in occasione del conferimento della Laurea Honoris Causa, conferitagli dall’Università di Lovanio, il 2 febbraio 1980. Lo troviamo nel sito del Sicsal Italia. Ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO       

A seconda dell’atteggiamento che assume nei confronti del mondo dei poveri, nei confronti del popolo povero, la Chiesa, pur a partire dalla propria specificità, finisce col sostenere o l’uno o l’altro progetto politico. Crediamo che questo sia il modo col quale conservare l’identità e la stessa trascendenza della Chiesa. Inserirci nel concreto processo socio-politico del nostro popolo, giudicarlo a partire dal popolo povero, e promuovere tutti i movimenti di liberazione che conducano realmente a che le maggioranze godano della giustizia e della pace. E crediamo che questo sia il modo col quale conservare la trascendenza e l’identità della Chiesa, perché è in questo modo che conserviamo la fede in Dio. I cristiani del tempo antico dicevano: “Gloria Dei, vivens homo” (“La gloria di Dio è l’uomo vivente”). Noi potremmo riformulare in termini più concreti questo concetto, affermando: “Gloria Dei vivens pauper” (“La gloria di Dio è il povero che vive”).  Crediamo che, a partire dalla trascendenza del Vangelo, noi possiamo giudicare in che cosa consista veramente la vita dei poveri, e crediamo pure che, mettendoci dalla parte del povero e cercando dì dargli vita, giungeremo a sapere in che cosa davvero consiste l’eterna verità del Vangelo. (Mons. Oscar Romero, Discorso in occasione del conferimento della Laurea Honoris Causa, conferitagli dall’Università di Lovanio il 2 febbraio 1980).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 24 Marzo 2010ultima modifica: 2010-03-24T23:33:00+01:00da fraternidade
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