Giorno per giorno – 23 Marzo 2010

Carissimi,

“Disse allora Gesù: Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite” (Gv 8, 28-29). La cosa più facile, ma, perciò, anche la più sospetta e discutibile, è confinare queste diatribe che, nel Vangelo di Giovanni, oppongono Gesù alle autorità religiose del suo tempo, nel quadro “storico” di un dissidio tra Gesù (con la sua comunità) e il giudaismo. Perché, in questo caso, sarebbero solo affari loro, non Vangelo, cioè, Buona Notizia, per noi. Gesù chiede invece ai suoi interlocutori (ossia, anche a noi, oggi) di richiamare il significato più vero dell’immagine di Dio  (l’Io-sono della rivelazione biblica) che, per molti segnali, sembra essersi perso per strada. Gesù non è impaziente di essere riconosciuto Dio o quasi (in queste frenesie vanesie è più facile cada un qualche premier di vostra conoscenza) e di aggiungere magari una nuova religione nella vetrina di quelle esistenti. Chiede invece di guardare al suo agire come al cuore più vero e profondo della sua religione. E forse anche di ogni altra. Allora “morire nel nostro peccato” (v. 21) non dipenderà tanto dal rifiutarsi di dire che Gesù è Dio, quanto dal negarsi ad assumere l’Amore (che si é manifestato in Gesù) come ragione e fine del proprio esistere. Quell’amore che fa dell’evento della Croce, per noi cristiani, l’epifania più alta della divinità. Già, ma qual è allora l’immagine di Dio che la nostra vita emana e che le nostre chiese trasmettono?

 

Oggi, il nostro calendario ci consegna le memorie di Turibio di Mongrovejo, pastore e difensore degli indios, e di Nikolai Berdyaev, filosofo e pensatore religioso.

 

23 TURIBIO di MONGHROVEJO.jpgTuribio Alfonso di Mongrovejo era nato nel 1538 da una nobile famiglia a Leon, in Spagna. Da giovane aveva studiato Diritto canonico all’Università di Salamanca. Quando nel 1580 papa Gregorio XIII lo volle vescovo di Ciudad de los Reyes (l’attuale Lima), Turibio non era neppure prete. Ricevette quindi tutti assieme gli ordini previsti per essere consacrato. In quel tempo la diocesi di Lima era assai grande e importante e la sua giurisdizione si estendeva su gran parte del territorio dell’America Latina. La situazione del Paese che incontrò al suo arrivo gli mostrò in tutta la sua gravità i danni arrecati dalla conquista, soprattutto per quanto riguardava i rapporti instaurati dai coloni bianchi con le popolazioni indigene e con gli schiavi africani. Sicché Turibio ritenne doveroso denunciare tale stato di cose e favorire una migliore qualità del clero, richiamando con severità e durezza quei preti che, per ignoranza o opportunismo, avevano preferito porsi al servizio dei conquistadores piuttosto che testimoniare con coraggio la Parola di Dio. Si premurò di imparare le lingue locali, per comunicare direttamente con la sua gente, ascoltarne le richieste ed i bisogni, e poi evangelizzarla nelle forme ritenute più rispettose della sua dignità. Alieno alle cerimonie di corte  e ai rituali sontuosi, che gli sottraevano tempo prezioso al contatto diretto con i  fedeli, compì  tre lunghissime visite pastorali in tutto il territorio della diocesi. Fu proprio durante il terzo di questi viaggi che Turibio cadde ammalato nel nord del Perù, incontrando la morte a Saña, il 23 marzo 1606,  Giovedì santo.

 

23 Nikolai Alexandrovich Berdyaev.jpgNikolai Alexandrovich Berdyaev era nato in una famiglia aristocratica il 6 marzo 1874 a Kiev (Ucraina). Educato in un collegio militare, era passato successivamente all’Università di Kiev, dove prese progressivamente coscienza dell’ingiustizia che regnava nella società. Aderì al marxismo, impegnandosi nelle attività dei movimenti clandestini rivoluzionari. Condannato a tre anni di esilio, li scontò nella provincia di Vologda, dove potè comunque proseguire i suoi studi. Aiutato dalla lettura di Dostoevsky, scoprì i limiti della filosofia materialista, e al suo ritorno a Kiev abbracciò il cristianesimo ortodosso. Ma non ebbe vita tranquilla. Animato com’era dall’esigenza di un radicale cambiamento sociale e profondamente deluso dall’identificazione della gerarchia ortodossa con il potere zarista, nel 1913 scrisse un articolo in cui denunciava apertamente tale atteggiamento del Santo Sinodo. Questo gli valse l’arresto, per essere incorso nel reato di bestemmia. Solo lo scoppio della guerra e il suo esito rivoluzionario gli evitarono la condanna all’esilio perpetuo in Siberia che tale accusa prevedeva. Il regime bolscevico gli offrì una cattedra di filosofia all’Università di Mosca, ma, conoscendo il nostro, la cosa non poteva durare. Dopo essere stato imprigionato due volte,  nel 1922  fu arrestato e bandito dall’Unione Sovietica, sotto pena di morte. Si stabilì prima a Berlino, dove fondò un’Accademia Russa di Filosofia e Religione, e, successivamente a Clamart, nei pressi di Parigi, dove insegnò in un’istituzione analoga, partecipando a dibattiti ecumenici e offrendo preziosi contributi sulle tematiche filosofiche e religiose. Berdyaev seppe guardare con lucidità al processo di disumanizzazione che il materialismo, nelle sue varianti capitalista e collettivista, aveva innestato. Tuttavia,  il peggio era per lui rappresentato dalla resa del cristianesimo allo spirito “borghese”, che si dà là dove le chiese sostituiscono la sicurezza dell’istituzione alla proposta sovversiva del “regno di Dio”, con cui Cristo sfida la storia di ogni tempo.  Berdyaev morì il 23 marzo 1948.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro dei Numeri, cap.21, 4-9; Salmo 102; Vangelo di Giovanni, cap.8, 21-30.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

 

Noi avevamo suggerito che la camera ardente fosse su alla chiesetta dell’Aeroporto, ma Benedito, il figlio di dona Geralda è stato deciso: lei si era raccomandata che la veglia funebre fosse a casa sua. E così è stato. Non importa che si sia dovuto mettere la bara di traverso, perché non ci stava per il lungo, per come è piccola la sala. D’altra parte, come succede spesso, almeno da questa parti, per la gente che si trascina dietro il peso di antiche discriminazioni, la casa è sempre stata anche la chiesa, di una religione di cui i poveri sono insieme ministri e fruitori, con i loro canti, preghiere e devozioni. E i sacramenti dell’amicizia, dell’allegria e del pasto condiviso.   

 

Per stasera è tutto. Noi ci si congeda con una citazione di Nikolai Berdyaev, tratta dal suo libro “The Beginning and the End” (Harper), che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La verità non è tanto liberazione e salvezza in questo mondo, quanto liberazione e salvezza da questo mondo. La piena accettazione della verità del Vangelo, l’assenso alla sua effettiva realizzzione, porterebbe alla distruzione degli stati, delle civiltà, delle società organizzate secondo le leggi di questo mondo – alla fine di questo mondo che in tutti i modi si oppone alla Verità del Vangelo: così gli uomini e le nazioni hanno corretto il Vangelo, l’hanno riempito con “verità” di questo mondo che erano realmente pragmatiche, perché erano false e adatte alla menzogna. Il riconoscimento e la confessione della verità è connesso non con la utilità e il profitto, ma con il rischio e il pericolo. (Nicholai Berdyaev, The Beginning and the End).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Marzo 2010ultima modifica: 2010-03-23T23:58:00+01:00da fraternidade
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