Giorno per giorno – 19 Novembre 2009

Carissimi,

“Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa dicendo: Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi” (Lc 19, 41-42). Così è Gesù. Così è anche Dio. Preoccupato della pace e, perciò, della vita del suo popolo. Di ogni popolo. Questo è tutto ciò che egli significa. Prima e oltre ogni contenuto, linguaggio, simbolismo religioso. Altro che minacce e castighi o la vendetta di un dio risentito per essere stato rifiutato. Gerusalemme, “quella” Gerusalemme,  è immagine di ogni nostra e vostra  città (anche quelle piccole, piccolissime, meschine come Coccaglio, per fare un nome salito alla ribalta delle vostre cronache in questi giorni), di ogni città che rifiuta il cammino della pace, scegliendo quello dell’idolo, che genera rifiuto, sospetto, odio, intolleranza. È quest’idolo che semina distruzione e morte – compresa quella del significato di Dio, nella forma della Crocifissione del Figlio.  Il pianto di Gesù, quello di Dio, quello della gente. Un unico pianto.      

 

Il nostro calendario riunisce oggi le memorie  di tre grandi mistiche accomunate da una spiritualità che vede nel cuore di Gesù la metafora dell’amore infinito di Dio per le sue creature. Si tratta di Matilde di Magdeburgo, Matilde di Hackeborn e Gertrude la Grande, che ebbero la sorte di vivere come consorelle nello stesso Monastero di Helfta, in Sassonia, nella seconda metà del sec. XIII.   

 

19 Matilde di Magdeburgo.jpg19 GERTRUDE.jpg19 Matilde di Hackeborn.jpgMatilde di Magdeburgo (1208-1282), benché fosse la più anziana delle tre, fu tuttavia l’ultima a giungere al monastero, nel 1270. Era nata da una famiglia nobile e ricca, che le aveva fornito una buona educazione. A dodici anni, in seguito ad una straordinaria esperienza dello Spirito, cominciò a scorgere Dio in tutte le cose e tutte le cose in Dio. Ancor giovane,  lasciò la casa paterna e scelse di vivere in una delle molte comunità di beghine, allora fiorenti, dedicandosi al servizio degli ammalati e dei poveri e vivendo un’intensa vita di contemplazione. Raccolse le sue esperienze mistiche in un libro con il titolo “La luce fluente della divinità”. Visse i suoi ultimi anni nel monastero di Helfta, ove morì probabilmente nel 1282. Matilde di Hackeborn, (1241 – 19 novembre 1298) nata da una delle più nobili famiglie della Turingia, imparentata con lo stesso imperatore Federico II, fu inviata nel monastero di Rodersdorf per esservi educata. Nel monastero, di cui la sorella maggiore Gertrude, a soli diciannove anni, sarebbe, da lì a poco, divenuta abbadessa, scoprì la vocazione e decise di prendere anch’essa il velo. Quando la sorella, nel 1258,  ottenne dai fratelli il castello di  Helfta, per trasformarlo in Monastero, Matilde la seguì.  Qui, nel 1261, sarebbe giunta dalla citta di Eisleben, un’altra  Gertrude, che in seguito sarebbe stata chiamata la Grande (6 gennaio 1256 – 17 novembre 1302). Aveva solo cinque anni e venne affidata alle cure della ventenne maestra delle novizie, Matilde. In seguito le due monache avrebbero sviluppato una spiritualità molto simile, che sottolinea molto la devozione all’umanità di Cristo e una forte concentrazione sul mistero eucaristico. Le revelazioni di Gertrude furono raccolte da lei stessa nel libro: “Il messaggero dell’amore divino”. La stessa Gertrude annotò con cura anche gli insegnamenti e le visioni di Matilde di Hackeborn nel “Libro della Grazia Speciale”. 

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

1° Libro dei Maccabei, cap. 2,15-29; Salmo 50; Vangelo di Luca, cap. 19,41-44.

 

La preghiera del giovedì è in  comunione con  le religioni tradizionali indigene.

 

Giusto quattro mesi fa, il 20 luglio, vi avevamo parlato di seu Leonídio e dei suoi acciacchi, del tutto giustificati considerati i suoi 102 anni. Beh, oggi, il vecchio patriarca se n’è andato. Negli ultimi tempi, si lamentava: “Ma Dio si è dimenticato di me?”. È ciò che dicono sempre i vecchi quando, ormai stanchi di qui, pur con tutto l’amore che hanno per figli, nipoti, bisnipoti, trisnipoti e i figli di questi (qui si chiamano “tataranetos”, ma non sappiamo se in italiano hanno un equivalente), sentono più forte la nostalgia di Lui e si abbandonano ad essa, fino a che Lui cede e se li viene a prendere. Così è avvenuto, oggi all’una. E, a partire da oggi, ciascuno dei suoi discendenti e di quanti con essi hanno incrociato i loro destini, ne coltiverà, ciascuno a modo suo, il ricordo. E ci saranno, certo, le doti umane, da ricordare: l’onestà, il lavoro, la dignità, la perseveranza, ma, per noi, anche di più, quelle cristiane: la dedizione, il servizio, l’umiltà, il silenzio, la pazienza, l’allegria. “Lui – diceva una nipote durante il velorio – voleva bene a tutti, indifferentemente, e non giudicava mai nessuno, non conosceva invidia né gelosia. Più di tutto aveva a cuore l’armonia e l’unità tra di noi”. Già, un’eredità difficile, la sua. Che va ben oltre l’affermazione e il successo di questo o di quello, o anche, chissà, di tutta la famiglia. Per conseguire i quali non c’è bisogno di essere cristiani. Diverso, e ben più esigente,  è “conoscere Lui” e, con Lui,  farsi tutto a tutti.         

 

Noi ci congediamo qui, con un brano tratto da “Il libro della Grazia speciale di Gertrude di Hefta, che dice di Matilde di Hackeborn.  Ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Un’altra volta, poiché ella, sotto l’effetto della grazia, meditava sulla potenza dell’amore divino, il Signore le parlò: “Vedi, io mi do in balìa della tua anima, cosicché sono tuo prigioniero e tu mi comandi quello che vuoi: e sono come un prigioniero che nulla può se non ciò che gli ordina il suo padrone, prono ai suoi voleri”. Ma ella, udendo parole di siffatta benevolenza, con strabiliata gratitudine rifletté dentro di sé che cosa avesse a desiderare più ardentemente dell’amore di Dio. Nel suo cuore trovò che nulla le era più caro della salute, poiché già si avvicinava la Pasqua ed ella, dall’Avvento fino a quest’epoca, non aveva messo piede nel coro, fatta eccezione per il Natale, a causa della sua persistente infermità. Tuttavia, raccolta in se stessa, poiché a ciò la costringeva la fedeltà del Signore, così gli disse: “O dolcissimo e amatissimo dell’anima mia, anche se potessi riacquistare tutte le forze e la salute ch’io abbia mai avuto, in nessun modo vorrei che questo accadesse. Ma un’ultima cosa io voglio da te: ch’io non sia mai in disaccordo con la tua volontà, ma possa sempre volere insieme a te tutto ciò che, a me gradito o molesto, tu vuoi e operi in me”. Immediatamente le sembrò che il Signore la cingesse con la sinistra e le facesse chinare la testa sul proprio petto, e intanto le dicesse: “Finché tu vorrai tutto ciò che io voglio, la tua anima sarà sempre nel mio abbraccio e io sono disposto a immolarmi assumendo su di me, insieme con le mie sofferenze, i tuoi dolori di capo”. (Gertrude di Hefta, Libro della grazia speciale, Rivelazioni di Santa Matilde, XIX).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 19 Novembre 2009ultima modifica: 2009-11-19T23:44:00+01:00da fraternidade
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