Giorno per giorno – 20 Novembre 2009

Carissimi,

“Gesù, entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, dicendo loro: Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri” (Lc 19, 45-46). E ora che quel Tempio non c’è più, ma ce n’è sempre un’infinità di altri, cosa ne facciamo noi? Già, cos’è per noi la religione, i suoi simboli, i suoi riti, le sue preghiere? Un mercato al ribasso o al rialzo, poco importa, ma sempre mercato? E del suo tempio che è il mondo, e del Luogo della sua presenza che sono i poveri, o del nostro corpo, cioè, concretamente, della nostra storia, che cosa ne è? A noi, ci fanno abbastanza ridere (o piangere) tutte quelle interpretazioni che fanno di questo passo evangelico il giudizio di condanna pronunciato da Gesù sul Tempio di Gerusalemme. O sul tempio, tout court. È un’interpretazione interessata. Non ci chiama in causa.  Gesù non ce l’aveva con il tempio, anzi è indignato per coloro che lo profanano e per questo li caccia. Né ce l’ha con nessuna sinagoga, o chiesa, o moschea, o con qualunque edificio o spazio che veda riuniti dei fedeli a celebrare la loro fede. Ce l’ha con l’uso mercantilistico della religione, o con la sua riduzione a strumento di potere, del potere civile e, più pericoloso ancora, del potere religioso. Ce l’ha con l’utilizzo della religione “contro” l’altro, che pensa, crede, prega, parla, vive, diversamente da noi. Tutto questo fa della dimensione religiosa, qualunque sia la fede che essa esprime, una “spelonca di ladri”, la casa di quanti rapinano agli altri il diritto alla vita. Che è il dono di Dio a tutti. Dio stesso che si dona a tutti.         

 

Il 20 novembre, qui in Brasile, si celebra la Giornata Nazionale della Consapevolezza Negra. Che coincide con la memoria del martirio di Zumbi di Palmares e di tutti coloro che caddero per rivendicare il diritto della popolazione negra (ma non solo) di questo e di ogni altro continente a vivere in libertà una vita che si dispieghi in pienezza, bellezza e abbondanza. Che è poi il progetto del Regno. 

 

20 ZUMBI.jpgZumbi era nato nel 1655. Come molti altri negri nati in Brasile, aveva avuto una formazione cristiana. Educato da un sacerdote portoghese, che svolgeva il suo ministero a Porto Calvo, in Alagoas, a 15 anni era fuggito verso un quilombo, uno dei tanti villaggi, dove, lontani dai centri abitati, vivevano comunitariamente i negri (ma anche alcuni bianchi e indios) che erano riusciti a sottrarsi alla schiavitù. Nel quilombo di Palmares, Zumbi e i suoi compagni si educavano a convivere e a costruire relazioni basate sulla libertà, la giustizia, la collaborazione fraterna. I portoghesi si resero presto conto che Palmares stava diventando “pericolosa”, dato che molti, troppi africani, prendendolo  ad esempio, costruivano sempre nuovi quilombos. Quando le incursioni dei portoghesi cominciarono ad intensificarsi, Zumbi organizzò la difesa di Palmares e ne guidò la resistenza. Dopo una resistenza durata oltre  vent’anni, nel 1693 la repubblica di Palmares fu distrutta e i suoi villaggi rasi al suolo: migliaia di persone furono catturate e uccise. Zumbi scampò al massacro. Fuggito nella foresta, con pochi sopravvissuti, fece perdere le proprie tracce, rifugiandosi in un posto sicuro. Poco tempo dopo, uno dei suoi compagni catturato dai portoghesi svelò il luogo del suo rifugio. Gli fu tesa un’imboscata e Zumbi fu ucciso. La sua testa venne esposta nella piazza centrale di Macaco quello stesso giorno: il 20 novembre del 1695.

 

Il nostro calendario ci porta anche la memoria di Lev Tolstoj, profeta della nonviolenza.

 

20 LEV TOLSTOJ.jpgLev Nicolaevic Tolstoj nacque a Jasnaja Poljana, in Russia, il 9 settembre 1828 (28 agosto secondo il calendario giuliano), quarto figlio del conte Nikolaj Ilic  e dalla principessa Marija Nikolaevna. Dopo anni di vita dissipata, inquietudini, viaggi, ma anche di  molte letture che lo spinsero ad esordire nel mondo della letteratura, nell’autunno 1862 sposò Sof’ja Andreevna Bers, che gli darà 14 figli (di cui cinque morti in tenera età). Seguì la stagione la stagione dei grandi romanzi (Guerra e Pace, Anna Karenina). Nel 1879 cominciò a scrivere Confessione, storia della sua conversione ad un cristianesimo rigorosamente fedele al Vangelo e sempre più diffidente nei confronti delle chiese istituzionali. Tale posizione lo rese inviso alla gerarchia ortodossa, che nel 1901 lo scomunicò, ma richiamò l’attenzione di scrittori, scienziati, politici, religiosi, uomini comuni, di ogni parte del mondo, attratti dalla predicazione e dalla testimonianza del suo cristianesimo anarchico e radicale e dalla sua teoria della “non resistenza al male mediante la violenza”, che ispirerà in seguito il giovane Mohandas Gandhi.  La crescente incomprensione e i dissidi con la moglie, a causa delle sue scelte esistenziali, lo portarono, il 10 novembre 1910, a fuggire di casa. Tre giorni dopo, febbricitante, dovette ricoverarsi nella casa del capostazione di Astapovo, dove morì assistito dalla figlia Alessandra, alle sei del mattino del 20 novembre 1910 (7 novembre del calendario giuliano). Una folla immensa, nonostante i tentativi messi in atto dalle autorità per contenerla, partecipò ai funerali.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

1° Libro dei Maccabei, cap. 4, 36-37.52-59; Salmo (1Cr 29, 10-12); Vangelo di Luca, cap. 19,45-48.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

 

È tutto. Noi ci si congeda qui, lasciandovi a una citazione di Lev Tolstoj, tratta dal suo “Amatevi gli uni gli altri”, che troviamo nella “Home Page degli Amici di Tolstoi  (http://www.gondrano.it/tolstoi/indice.htm). E che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Il principio dell’amore deve esser posto a fondamento della vita di tutti e questo principio, infallibilmente senza sforzo, cambierà l’estremo male nel bene supremo. Riporta la tradizione che l’apostolo Giovanni, nei suoi ultimi giorni, era tutto penetrato da un unico sentimento e non cessava di esprimerlo con la stessa frase: “Figliolini miei, amatevi gli uni gli altri”. Così parlava un uomo giunto al limite estremo della vita. Pari sentimenti dovranno manifestarsi nell’umanità giunta ad una maturità più avanzata. È così semplice e chiaro. Tu vivi, cioè nasci, cresci, divieni adulto, invecchi e ti approssimi alla morte. È mai possibile che lo scopo della tua vita possa trovarsi esclusivamente in te stesso? Probabilmente no! Se l’uomo chiede a se stesso: chi sono io?,  la risposta è una sola: io sono un essere che ama. In un primo momento mi sembra di poter amare solo me stesso, ma mi basta vivere un certo tempo, riflettere un poco per capire che amare quel me stesso che nella vita è solo di passaggio e che deve morire, non mi è possibile, non ha senso. Sento che io devo amare ed amo me stesso, ma amando me stesso, non posso non avvertire che l’oggetto del mio amore non è degno; eppure non posso non amare – la vita è nell’amore -. Che fare allora? Amare il prossimo, gli amici, coloro che mi amano? Dapprima sembra che questo possa soddisfare il mio bisogno di amare, ma poi mi accorgo che, innanzitutto, queste persone sono imperfette e poi che esse cambiano di continuo e soprattutto muoiono. Che cosa posso amare allora? La risposta è una sola: amare il Tutto, amare la Fonte dell’amore, amare l’Amore, cioè Dio. L’Amore non per noi stessi, non per chi ci ama, ma amore per l’Amore. Basta capirlo e subito scompare tutto il male della vita umana ed il suo significato diviene chiaro e gioioso.  (Leone Tolstoj, Amatevi gli uni gli altri).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 20 Novembre 2009ultima modifica: 2009-11-20T23:23:00+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo