Giorno per giorno – 18 Novembre 2009

Carissimi,

“Gesù disse ancora una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro. Disse dunque: Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d’oro, dicendo: Fatele fruttare fino al mio ritorno. Ma i suoi cittadini lo odiavano e mandarono dietro di lui una delegazione a dire: Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi” (Lc 19, 11-14). Le parabole, a dire il vero, sono due, che Luca fonde in una. E, se ne prendiamo la conclusione così com’è, senza starci nemmeno un po’ male, ci dev’essere qualcosa di sbagliato. In almeno una delle due parabole. O in noi, o in tutto il resto del Vangelo, o nello stesso Gesù che le racconta. O in Luca che gliele fa raccontare. Certo è che Aparecida, stamattina, sostanzialmente concordava con il fatto che il Tale (allusivamente Gesù) che se ne parte per un paese lontano, per farsi incoronare re di un paese, i cui cittadini lo odiano, quando tornerà, li farà uccidedere tutti. Perché, diceva, “a justiça de Deus tarda, mas não falha”, ovvero, “la giustizia di Dio tarda, ma non sbaglia”. E le religioni, da sempre, forse opportunamente, dal loro punto di vista, per mantenerci buoni!, ragionano e ci insegnano così. E Gesù (o Luca) non si preoccupa del fatto che, uccidendoli tutti, regnerebbe su un regno senza cittadini e finirebbe così per morire di solitudine. Ora, noi non non sappiamo perché Gesù, o Luca, abbia raccontato questa parabola, prendendo, tra l’altro, spunto dalla vicenda di Archeleo, figlio di Erode, che una trentina di anni prima si era recato a Roma per farsi, appunto, incoronare re di Giudea, Samaria e Idumea, mentre alcuni cittadini (non tutti) avevano mandato una delegazione dall’imperatore per dissuaderlo. L’imperatore non ratificò il titolo di re, si limitò a dargli quello di etnarca. Ragion per cui, al suo ritorno in patria, Archelao diede sfogo alla sua sete di vendetta. Dunque, Gesù peggiore del peggiore tra noi? Gesù come Archelao (una specie di Pinochet di quei tempi)? Ma come, dice Valdecí, non era lui che allertava i suoi discepoli dicendo: “Voi sapete come la fanno da padroni i re delle nazioni. Tra voi non dev’essere così”? E anche: “Se voi amate soltanto quelli che vi amano,  che merito ne avete? Anche i peccatori  fanno così”? E brava la nostra Valdecí che ha trovato un argomento convincente per coprire con un velo pietoso questa sparata. Che, poi, a dire il vero, sarà Gesù stesso, sul Calvario, a offrirci la smentita decisiva. Con quel suo “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Ed erano appunto coloro che non volevano accettarlo come re. Ma, allora, cosa può voler dire questo Vangelo per noi, oggi? Forse solo questo: che se non lasciamo regnare tra noi, nelle nostre relazioni, Gesù, cioè il suo significato, il principio di amore, dedizione, cura, perdono, finiremo per ammazzarci tutti tra di noi. In nome del principio a Lui contrario. Cosa che, di fatto, regolarmente, avviene. Basta dare uno sguardo in giro. Quanto ai servi, al denaro che hanno ricevuto da far fruttare, esso, crediamo noi, rappresenta la capacità di amare, che noi dobbiamo testimoniare. E noi sapremo testimoniarla credibilmente solo se Dio, l’assoluto della nostra vita, è quell’amore. Se è altro, per esempio, l’arbitrario, esigente, crudele detentore dei nostri destini, ci farà al massimo custodi della lettera di una legge (religiosa o profana, non fa differenza) che uccide l’umanità che è in noi e negli altri. E meno male che, in questo caso, nel regno, noi non avremo nessun potere. Né su dieci, né su cinque e neppure su una sola città. Faremmo disastri. Lui ci lascerà quieti, tranquilli, all’ultimo banco, finché avremo imparato. “Dette queste cose, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme” (Lc 19, 28). Davanti a tutti. Verso la croce. Fatto una sola cosa con essa.  Con Dio.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

2° Libro dei Maccabei, cap. 7,1.20-31;  Salmo 17; Vangelo di Luca, cap. 19,11-28.

 

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale ne sia la religione, la cultura o la filosofia di vita.

 

La nostra amica Arcelina ha conosciuto nei giorni scorsi l’ “Arsenal da Esperança” fondato, nel 1996, a São Paulo, da Ernesto Olivero e da Dom Luciano Mendes de Almeida. Oltre a parlarcene in termini visibilmente entusiasti, ha voluto anche farci dono di un libro che ne illustra lo spirito, “Sogno che fra cent’anni. La regola del Sermig” (Effatà Editrice), dello stesso Ernesto Olivero. Nel congedarci, scegliamo di proporvene un brano come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

I doni di Dio si possono vivere solo rinnovando la sua grazia in noi. Altrimenti si perdono. L’abitudine, la legge al posto dello Spirito, hanno ucciso tante vocazioni, spento tanti sogni. La durezza spesso è diventata struttura e questa è diventata scandalo. Anche noi, chiamati dal Signore, se non Lo amiamo con tutto il cuore e non ci amiamo tra noi con amore paterno e materno, possiamo entrare in questa abitudine: avere semplicemente un’etichetta e non più un cuore. La storia ci mette in guardia da questi rischi. Maria, con la sua maternità, non si arrenderà, perché i doni di Dio siano sempre vivi in noi secondo la parola di Gesù. Lo Spirito Santo, che è amore, e ricrea e fa nuove tutte le cose, ci guiderà ad essere in ogni momento ciò che Dio vuole. Il sì totale senza condizioni può portare frutto ogni giorno, può portare a fare cose più grandi di Lui, non perché noi siamo buoni, ma perché la nostra povertà incontra ogni momento la grazia. Amati, amiamo, perdonati, perdoniamo, compresi, comprendiamo, consolati, consoliamo, perché la tenerezza di Dio è in noi. Con la stessa tenerezza di cui Dio ci avvolge, noi avvolgiamo i nostri fratelli, per aiutarli a incontrare Dio, cosicché nessuno, avvicinandoci, si senta perso. (Ernesto Olivero, Sogno che fra cent’anni. La regola del Sermig). 

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 18 Novembre 2009ultima modifica: 2009-11-18T23:07:00+01:00da fraternidade
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