Giorno per giorno – 17 Novembre 2009

Carissimi,

“Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua. Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: È entrato in casa di un peccatore! Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto” (Lc 19, 5-8). E noi, che non si ha neppure di che restituire di quanto abbiamo rubato, cosa potremo promettergli? Se è il nostro tempo l’unico bene di cui disponiamo, diamone metà agli altri e, di quello che ci avanza, restituiamo quattro volte tanto quello che abbiamo loro sottratto fino ad oggi. Se sono, invece, parole – di solidarietà, di affetto, di perdono – che abbiamo taciuto, negandole a chi le aspettava da noi, per una qualche forma di sospetto, sfiducia, risentimento, antipatia, diamogliene, anche in questo caso, moltiplicate. Saremo noi, in realtà, a trovarci più ricchi. E saremo come Zaccheo per Lui. Cioè, puri.  Che è ciò che questo nome significa.  

 

Oggi è memoria del martirio di Roque  González de Santa Cruz, Alfonso Rodrígues e Juan de Castillo, gesuiti, vittime innocenti della reazione indigena alla brutalità della violenza coloniale. Ricordiamo anche Jacob Böhme, mistico della Chiesa della Riforma, e Grace Akullo e compagne/i, martiri della carità, durante l’epidemia di ebola, in Uganda.   

 

17_ROQUE_GONZALEZ E COMPANHEIROS.JPGFiglio di genitori spagnoli, Roque González nacque nell’anno 1576 a Asunción, che in quel tempo era capitale di tutta la immensa provincia del Rio de la Plata. Ordinato sacerdote a ventidue anni, dopo circa dieci anni entrò nella Compagnia di Gesù, affascinato dal lavoro missionario che i gesuiti svolgevano tra gli indios. Il suo contatto e il suo inserimento tra le popolazioni indigene furono  facilitati per il fatto di aver studiato, da bambino, una lingua difficile come il guaranì.  Fu lui che praticamente organizzò le celebri reducciones del Paraguay, una proposta originale di evangelizzazione, basata sul tentativo di conciliare cultura indigena e cultura cristiana in un lento processo di acculturazione. Questo sistema, di cui oggi siamo in grado di cogliere i limiti, mirava comunque a proteggere gli indios dalle conseguenze funeste della conquista e dell’occupazione di quei territori da parte di colonizzatori avidi di ricchezze e di guadagno facili. Odiati da questi, i gesuiti dovettero affrontare anche l’ostilità di alcuni capi indigeni che vedevano in loro gli alleati dei crudeli sfruttatori della loro gente. Fu così che Roque cadde vittima di una violenza da cui aveva salvato molti indios indifesi. Con lui, ucciso il 15 novembre, furono martirizzati altri due giovani gesuiti, Alfonso Rodríguez (1598-1628), spagnolo di Samora e, due giorni più tardi, il 17 novembre, Juan de Castillo (1596-1628), anche lui spagnolo di Belmonte, Cuenca.

 

17 Jakob_Boehme.jpgJacob Böhme nacque il 24 aprile 1575 ad Altseidenberg,  nella Lusazia, regione della Sassonia orientale al confine con la Slesia. Appartenente ad una famiglia di contadini relativamente agiata, ricevette una rigida educazione protestante. Curò lui stesso, da autodidatta, la sua formazione culturale, aiutandosi soprattutto con la lettura di testi della tradizione mistica tedesca. A quattordici anni, fu avviato al mestiere di ciabattino e in seguito impiantò la sua attività nella cittadina di di Görlitz, dove, nel 1594, sposò Catharina Kunschmanns, con cui visse fino alla morte  e che gli generò figli e figlie. Nel 1600, Böhme ebbe un’intensa esperienza mistica, che si ripeterà nel 1610 e un’ultima volta sette anni più tardi. Tali esperienze furono da lui vissute come rivelazione dell’essenza divina. Nel 1612 scrisse la sua prima e importante opera, Morgenröte im Aufgang , l’Aurora Nascente. La diffusione del manoscritto provocò le ire di Gregorius Richter, pastore protestante di Görlitz, che l’accusò di eresia, facendolo arrestare. Rimesso in libertà, Böhme visse gli anni successivi, subendo di volta in volta l’ostracismo dei suoi oppositori o le pressioni dei suoi sostenitori, che insistevano perché riprendesse a scrivere. Cosa che egli fece negli ultimi anni della sua vita. Jacob Böhme morì il 17 novembre del 1624. La chiesa luterana, superate le antiche diffidenze, ne fa oggi memoria come di un suo figlio devoto.

 

17 GRACE AKULLO.jpgGrace Akullo era nata nel 1973 in Uganda da una famiglia lango, profondamente cristiana ed anche lei, diplomatasi infermiera professionale nell’ottobre del 1999 e prestando servizio al St. Mary Hospital di Lachor, nel distretto di Gulu (Uganda settentrionale), viveva con giovanile entusiasmo la sua fede, partecipando attivamente all’azione missionaria nell’ambiente ospedaliero e animando la liturgia, soprattutto con il canto.  Sposata e madre di due figli, alla fine d’agosto del 2000, al rientro da un ritiro spirituale di tre giorni confessò di aver scoperto la sua vocazione: essere evangelizzatrice nel mondo della sofferenza, per mostrare agli ammalati l’amore e la compassione del Padre. Gliene fu data ben presto l’occasione. A fine settembre di quello stesso anno scoppiò infatti l’epidemia di ebola e Grace, con alcune altre infermiere e infermieri, si offrì come volontaria per lavorare nel reparto infettivi, consapevole lei e gli altri di mettere così a repentaglio la loro vita. Caddero in tal modo, sul fronte della carità: Christine Ajok, 20 anni; Daniel Ayella Oboke, 24 anni; Monica Aol, 20 anni, Margaret Adata, 42 anni, madre di dieci figli, Florence, madre di una bambina, suor Pierina Asienzo, 45 anni, delle Little Sosters of Mary Immaculate, e Simon Ajok. I cui nomi e la cui testimonianza uniamo idealmente a quella  di Grace Akullo, morta come oggi, il 17 novembre del 2000. Come scriverà in  seguito, mons. John Baptist Odama, arcivescovo di Gulu: “La loro testimonianza di amore e di servizio fino all’estremo sacrificio e la loro fede in Cristo è una sfida per tutti noi. Come Dio ha rivelato la sua potenza che ha trasformato la debolezza umana dei nostri fratelli, lo può fare anche in tutti noi. Tocca a ciascuno di noi, nella sua libertà, accettare la sfida. Così possiamo cambiare il mondo”.    

 

I testi che la liturgia del giorno propone alla nostra riflessione sono tratti da:

2° Libro dei Maccabei, cap. 6,18-31; Salmo 3; Vangelo di Luca, cap.19, 1-10.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali africane.

 

Noi ci congediamo qui, lasciandovi alla testimonianza sulle ore finali di Grace Akullo, consegnataci da suor Dorina Tadiello, medico e missionaria comboniana, attraverso le pagine del suo diario, pubblicate col titolo “Mistero di Luce  (Suore Missionarie Comboniane). È, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Alle 23,30 il dottor Matthew fa ancora un giro. Ormai si capisce che non esiste nessuna speranza di miglioramento, allora parla a Grace rassicurandola che si sarebbe preso cura dei suoi bambini e aggiunge: “Grace, tu hai fatto del tuo meglio, e anche noi, per combattere la malattia, ora non ci resta che mettere la nostra vita nelle mani del Signore e accettare la Sua volontà, per quanto ci sia incomprensibile l’abbandonarci pienamente in Lui… Ora c’è solo la Sua volontà…”. Grace ascolta in silenzio con gli occhi chiusi… Il dottore chiede: “Mi hai capito, Grace?”. Risponde con un gesto del capo e un sorriso per esprimere la sua gratitudine. È da poco passata l’una del sabato mattina quanto, improvvisamente, la paziente riapre gli occhi, sembra voglia dire qualcosa. Mi avvicino, le tolgo la mascherina dell’ossigeno, lei ci fissa tutti e, raccogliendo le sue ultime forze, intona un canto: “Abba, Abba Padre,  Tu sei il vasaio e noi la creta, il capolavoro delle tue mani. Trasformaci e modellaci a immagine del tuo Figlio. Padre, fa’ che possiamo essere un’unica realtà in Te, come il Figlio è in Te e Tu sei in Lui”. Le parole escono a fatica dalle sue labbra, spesso sono quasi incomprensibili, ma continua con un secondo canto: “Signore Gesù, posa gentilmente le tue mani su di me, possa il tuo tocco darmi pace, perdono e guarigione. Posa gentilmente la tua mano su di me. Signore, noi veniamo a Te attraverso i nostri fratelli. Veniamo a Te per tutti i nostri bisogni, veniamo a Te chiedendo pienezza di vita. Posa gentilmente la tua mano su di me”. […] Appena un canto finisce ne inizia un altro, quasi a portare a termine un repertorio prefissato. […] Grace sta pronunciando le prime parole di un altro canto che parlano di “segno di donazione totale”, quando spira. Il viso si compone in una straordinaria bellezza e luminosità. Nelle lunghe e sofferte ore di agonia, Grace ha preparato con meticolosità il suo ultimo canto di lode a Dio e a noi il suo messaggio. (Sr. Dorina Tadiello, Mistero di luce).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.     

Giorno per giorno – 17 Novembre 2009ultima modifica: 2009-11-17T23:27:00+01:00da fraternidade
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