Giorno per giorno – 18 Ottobre 2009

Carissimi,

“Gesù disse loro: Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?” (Mc 10, 38). È spietato Marco nel mostrarci l’insipienza di Giacomo e Giovanni. Coloro che, con Pietro, secondo la testimonianza di Paolo, saranno in seguito ritenuti le colonne della chiesa (Gal 2, 9). Gesù aveva appena finito di preannunciare “quanto gli sarebbe accaduto” – e non era uno scherzo, si trattava della sua morte – ma loro non l’ascoltavano. Come noi del resto non l’ascoltiamo. A noi, Lui piace di più formato immaginetta. Non vogliamo sentire parlare della sua morte. E rispetto ai due malcapitati discepoli, abbiamo oltretutto il vantaggio di sapere già come va a finire. O almeno così crediamo, avendo ridotto la sua passione e morte ad una favoletta da bambini, con l’immancabile lieto fine della risurrezione. Dunque, Lui gli parla della morte, e loro gli chiedono del potere. E Lui, paziente o impaziente, non lo sappiamo bene, gli dice: non avete capito niente. Neppure quando loro gli rispondono che, sì, diamine!, sapranno bere del suo calice ed essere battezzati del suo battesimo. No, sono lontano mille miglia dal capire cosa significhi davvero questo benedetto figlio di Dio, che avevano deciso di seguire, generosamente, sì, ma anche, in vista di qualche sostanzioso tornaconto. Gesù non se la prende più di tanto, sa che finiranno per farsi le ossa e avranno modo di riscattarsi. Ma noi? Così ottusamente legati alle categorie del mondo? Noi siamo casi perduti. Non tutti, è chiaro. C’è tra noi chi vive la lezione di Cristo. Lo sperimentiamo ogni giorno. I più poveri tra noi  sono poveri al punto che non hanno neanche le parole per dirsi e per dire le cose che vorrebbero, ma si fanno riconoscere da come sono: i più laboriosi, dedicati, costanti, silenziosi, pazienti, pronti a servire, ad occuparsi degli altri con cura materna, a spendersi per intero, anche solo per la riuscita di una festa. In quello che sanno fare, naturalmente. “Gli risposero: Lo possiamo”.  I poveri sanno ciò che rispondono, sono della Sua razza. Per gli altri, quelli che forse lo sono stati, poveri, tanto tempo fa, o chi non lo è mai stato, è un po’ più difficile capire la domanda di Gesù e dare la risposta giusta. Cadranno, ricadranno. Forse, un giorno, impareranno. “Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc  10, 45).

 

I testi che la liturgia di questa XXIX Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Isaia, cap.53, 10-11; Salmo 33; Lettera agli Ebrei, cap.4, 14-16;Vaneglo di Marco, cap.10, 35-45.

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

 

Anche se la celebrazione della Domenica mette un po’ la sordina alle memorie del giorno, noi ricordiamo Luca evangelista e il vescovo Giacomo Lercaro, profeta di una Chiesa povera con i poveri.

 

18_lucas.jpgSecondo la tradizione, Luca era medico, originario di Antiochia, che all’epoca, era  per importanza la terza città dell’impero romano. Dopo l’incontro con Paolo, si convertì al cristianesimo e accompagnò l’apostolo nei suoi viaggi missionari, diventando così un testimone prezioso della comunità cristiana delle origini. La tradizione gli attribuisce la redazione del terzo vangelo e gli Atti degli Apostoli, ma sono le lettere di Paolo a menzionarlo. È l’evangelista che dedica maggior spazio ai racconti d’infanzia di Gesù e alla madre di Gesù ed è il più sensibile ai temi della misericordia, del perdono e dell’amore preferenziale che Dio ha per i poveri e per gli ultimi.

 

18 card lercaro.jpgGiacomo Lercaro nacque a Genova il 28 ottobre 1891. Entrato in seminario, fu ordinato presbitero nel 1914. Al termine del conflitto mondiale, si dedicò dapprima all’insegnamento nel seminario arcivescovile, e poi, dal 1937, fu prevosto della parrocchia di Maria Immacolata. Durante l’occupazione tedesca della città, a causa della sua azione a favore dei perseguitati, dovette rifugiarsi, sotto uno pseudonimo, in una casa religiosa. Nel 1947 fu nominato arcivescovo di Ravenna. Nel maggio 1948, aprì la casa ai primi ragazzi di quella che sarebbe stata la sua Famiglia.  Trasferito nel 1952 alla sede metropolitana di Bologna e creato cardinale l’anno successivo, venne moltiplicando iniziative religiose volte in diverso modo a risaltare la centralità dell’Eucaristia e a valorizzare la dimensione liturgica nella vita della Chiesa. Clamorosa fu la sua protesta, nell’autunno 1956, per l’invasione dell’Ungheria da parte dell’esercito sovietico.  Durante il Concilio Vaticano II,  anche per la preziosa consulenza di don Dossetti, fu indiscusso protagonista sui temi della riforma liturgica, della pace, e della povertà della Chiesa. Nel 1966 l’amministrazione comunale di Bologna gli conferì la cittadinanza ordinaria. La ferma condanna dei bombardamenti americani in Vietnam, in occasione della 1ª Giornata mondiale per la pace, il 1° Gennaio 1968,  fornì, incredibilmente,  agli ambienti a lui ostili della Curia romana il pretesto per esigerne le dimissioni. Il 12 febbraio 1968, lasciata la cattedra di S.Petronio, si ritirò a Villa san Giacomo, continuando tuttavia a svolgere un’intensa opera evangelizzatrice in Italia e all’estero, finché la salute glielo permise. Si spense il 18 ottobre 1976.

 

Noi ci congediamo qui. “La Chiesa e la Pace” è il titolo di un discorso pronunciato dal Card. Giacomo Lercaro  all’Archiginnasio di Bologna il 26 aprile 1967, nel quadro di una serie di conferenze illustrative della Costituzione conciliare “La Chiesa nel mondo contemporaneo” (Gaudium et Spes). Pubblicato nella rivista Testimonianze n.94, del maggio 1967, è stato incluso nel libro “Discorsi sulla Pace” (Edizioni San Lorenzo), edito in occasione del centenario della nascita. Noi ve ne proponiamo il brano conclusivo come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Nella Genesi la violenza appare come conseguenza prima e il procedere stesso del peccato, cioè l’effetto dell’ingresso di Satana nella storia degli uomini. Pertanto nel mondo, violato da Satana, ogni atto nuovo di violenza immette energia satanica nella storia: energia che l’uomo non può più dominare. Ed è per questo che la violenza, la guerra – anche quando apparisse motivata, per così dire, secondo ragione – sempre genera nuova violenza e guerra: in crescendo. La storia dell’umanità dell’ultimno secolo lo comprova in modo impressionante. Essa è una verifica, a contrario, del Nuovo Testamento: secondo il quale l’unico modo per vincere la violenza non è rispondere con un’altra violenza “difensiva”, ma uscire dal sistema della violenza inserendosi nell’economia della grazia, nell’ordine dello Spirito che solo può dissolvere l’energia demoniaca e arrestare il mistero di iniquità, che è all’opera nel profondo della storia umana (2Ts 2, 7). Chi alla violenza subito contrappone un’iniziativa di pace, affida a Dio la risoluzione del problema e lo provoca ad agire: immette cioè nella storia un’energia divina che, sola, sarà capace di ristabilire la giustizia “vincendo il male con il bene” (Rm 12, 14-21). Certo questo non è buon senso; non è neppure realismo. In verità non è di quel cattivo buon senso che continua nella più tragica impotenza a mantenere l’umanità nell’estremo rischio dell’autodistruzione. Non è quel crackpot realism, quel “realismo rompitutto”, che chiude gli occhi non solo di fronte alla fede, ma anche di fronte alla storia del passato e del presente. Ma è l’unico realismo che, nella luce della fede in Cristo Dio, illumina, libera, e salva anche la storia degli uomini. (Card. Giacomo Lercaro, Discorsi sulla Pace).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 18 Ottobre 2009ultima modifica: 2009-10-18T23:40:00+02:00da fraternidade
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Un pensiero su “Giorno per giorno – 18 Ottobre 2009

  1. Questa mattina ho letto una interessante meditazione (naturalmente sull’ agenda di Romena) riguardo il Vangelo romano di oggi (Mc 10, 35-45), è della Lidia Maggi, pastora della chiesa battista qui a milano.

    Ve la trascrivo:
    “noi non aspiriamo a sedere alla destra e alla sinistra nella gloria, non tanto perché abbiamo compreso che l’ identità ultima della Chiesa è servire nella logica paradossale del Regno. La nostra fede è lontana da quella dei figli di Zebedeo perché noi, in un Regno di pace e giustizia, non ci crediamo più. Siamo convinti, in fondo, che Gesù è un perdente: ci ha commosso il suo idealismo, ci inquietano le sue parole, ma non riusciamo a prenderle sul serio. E’ un nostalgico utopista, sia pure Dio incarnato. Nonostante questo cinismo ci sentiamo Chiesa. Lo siamo, ma senza visione. Critici verso il potere, ma incapaci di sognare e di credere fino in fondo a un cambiamento. Il Regno è sempre più lontano. Invidio la fede irruente e passionale di questi due discepoli che desiderano essere dalla parte della vittoria di Dio.
    Noi non ci crediamo più. E allora stiamo almeno zitti, smettiamo di rimproverare questi due che ancora osano, nella loro semplicità, immaginare la vittoria finale: abbiamo almeno la decenza di non rimproverarli.

    Che ve ne pare?
    Ciao e buona domenica
    Giusi

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