Giorno per giorno – 19 Ottobre 2009

Carissimi,

“Rabbi Moshe Löb diceva: Com’è facile per un uomo povero confidare in Dio; e in che altro potrebbe confidare? E com’è difficile per un uomo ricco confidare in Dio. Tutti i suoi beni gli gridano: Confida in me!”. Lo scriveva Martin Buber nel suo “I racconti dei Chassidim”. Gesù nel Vangelo di oggi ci avverte: “Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede” (Lc  12, 15). diceva stamattina: io, c’è stato un tempo in cui speravo che avremmo avuto qualcosa in più. Oggi so che le cose in più non arriveranno, ma a me  basta che ci siano le cose che servono per ogni giorno, che ci vogliamo bene e che ci sia Dio con noi. Già, Dio. È proprio Lui che manca all’uomo della parabola. Il quale dice “tra sé e sé” (quando non c’è Dio, neppure c’è nessun altro. E viceversa): “Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia” (v.19). E morirà quella stessa notte. Del resto, anche se non morisse, sarà già come morto. Come il Nord del mondo è morto [per buona parte: ma ci siete voi e alcuni altri!].    

 

Il calendario ci porta oggi la memoria di Daudi Okelo e Jildo Irwa, catechisti e martiri in Uganda, e quella di Aldo Capitini, maestro di nonviolenza.

 

19 OKELO E IRWA.jpgDaudi Okelo e Jildo Irwa appartenevano entrambi alla tribù Acholi, stanziata ancor oggi nel Nord dell’Uganda. Daudi era nato nel 1902 da genitori pagani e a 14 anni aveva chiesto di ricevere i sacramenti dell’iniziazione cristiana nella missione aperta dai missionari comboniani a Kitgum. Assieme a lui, ricevette il battesimo, l’Eucaristia e la Cresima, anche Jildo Irwa di quattro anni più giovane. Dopo la somministrazione della Cresima, Daudi aveva ottenuto l’iscrizione nell’elenco dei catechisti. Alla morte del catechista di Paimol, un villaggio a 80 chilometri da Kitgum, Daudi chiese di essere inviato al suo posto. I missionari gli fecero presente la pericolosità di tale missione, ma il giovane insistette. Così, a fine novembre 1917, Daudi si trasferì a Paimol, accompagnato dal giovanissimo Jildo, che era stato deciso di affiancargli. I due cominciarono la loro missione, riunendo ogni giorno all’alba i catecumeni per le preghiere del mattino e l’insegnamento dei primi rudimenti di catechesi. Durante il giorno visitavano i villaggi vicini, dove altri catecumeni erano impegnati nella guardia del bestiame o nei lavori dei campi. Poi, al tramonto, ancora un tempo dedicato alla preghiera in comune. Le minacce di quanti non gradivano tali pratiche non tardarono tuttavia a manifestarsi.  La mattina del 19 ottobre 1918, prima dell’alba, un gruppo di cinque persone raggiunse la capanna dove abitavano Daudi e Jildo,  per indurli a lasciare la zona o concretizzare le minacce. Davanti al sereno rifiuto opposto, presero Daudi, lo trascinarono fuori dal recinto e lo uccisero a colpi di lancia. Poi tornarono da Jildo che protestò: “Non abbiamo fatto niente di male, ma se avete ucciso Daudi, dovete uccidere anche me, perché insieme abbiamo insegnato la parola di Dio”. Lo portarono fuori, lo trafissero con una lancia e lo finirono con una coltellatata alla testa.

 

19 ALDO CAPITINI.jpgAldo Capitini era nato a Perugia il 23 dicembre 1899 e la sua avventura esistenziale fu segnata dall’incontro con la Bibbia, la figura di Cristo, Francesco d’Assisi, Mazzini, Tolstoj e Gandhi. Nel 1924, ottenne una borsa di studio alla Normale di Pisa per la facoltà di Lettere e Filosofia, dove si laureò nel 1928. Seguì la vicenda politica di quegli anni con un crescente distacco critico nei confronti del fascismo. Rifiutata la tessera del Partito Nazionale Fascista, fu allontanato, nel 1933,  dal posto di segretario della Scuola Normale, dove nel frattempo si era impiegato. Risale a quegli anni la scoperta del pensiero di Gandhi che portò Capitini a cogliere nella non-collaborazione la via della resistenza nonviolenta alla guerra, la sola forza capace di sconfiggere l’oppressione. Scelta che esige necessariamente una buona dose di amore per la persona che compie il male. Del resto, la lotta violenta alle strutture ingiuste e violente  presenta “un difetto molto grave, che per guarire il male uccide spesso il malato, e allora il male risorge in noi”. E, in ogni caso, “dove si semina morte, non può nascere vita”. La critica severa dell’istituzione ecclesiastica, di cui Capitini denunciava la perdita della carica profetica ed evangelica,  e il rifiuto, sul piano civile, della forma partito, cui imputava l’obiettivo della ricerca del potere, spiegano l’isolamento, il disinteresse e l’ignoranza in cui Capitini fu volutamente lasciato per molti anni. Nel giugno del 1944 fondò a Perugia il primo C.O.S. Centro d’Orientramento Sociale) e, successivamente, il C.O.R. (Centro d’Orientamento Religioso). Soprattutto il primo rappresentò un’esperienza fondamentale di democrazia dal basso, per la discussione dei problemi amministrativi e sociali. Dove dal basso “vuol dire esattamente di muovere dai singoli esseri, nella loro esistenza e molteplicità”. Per dare spazio a quella che lui chiamò l’omnicrazia, l’unica forma di potere in cui tutti abbiano davvero la parola e vivano in solidarietà.  Importante fu la sua attuazione sul fronte della pace. Presidente della Consulta per la pace, fondatore del Movimento Nonviolento per la Pace e del suo mensile Azione nonviolenta, nel 1961, organizzò la prima Perugia-Assisi, la marcia per la Pace e la fratellanza dei popoli.  Nel 1965  ottenne la cattedra di Pedagogia all’Università di Perugia. E, nella sua città, Aldo Capitini morì il 10 ottobre 1968, per complicazioni insorte a seguito di un intervento chirurgico.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Lettera ai Romani, cap.4, 20-25; Salmo (da Lc 1, 69-75); Vangelo di Luca, cap.12, 13-21.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni  dell’India: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

 

È tutto anche per stasera. Noi ci congediamo lasciandovi ad una citazione di Aldo Capitini, tratta dal suo “Aspetti dell’educazione alla nonviolenza” (Pacini Mariotti). Che ci pare molto, molto, attuale. Ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Possiamo esplicitamente definire la nonviolenza come unità-amore verso tutte le persone nella loro individualità singola e distinta, persona da persona, con vivo interesse anche alla loro esistenza, in un atto di rispetto ed affetto senza interruzione, con la persuasione che nessuna persona è chiusa nel suo passato, e che è possibile dire un tu più affettuoso e stabilire un’unità più concreta con tutti. Come tale dunque, la nonviolenza è tutt’altro che passiva, anzi è attiva e inventiva, aperta ad una trasformazione della realtà e della società, in ciò che esse sono violenza, oppressione, morte, e pesce grande che mangia il pesce piccolo. La nonviolenza è perciò, iniziativa di qualche cosa di diverso, auspicante una trasformazione. Sarebbe un errore educare i fanciulli alla conoscenza della realtà e della società attuali come perfette, e non avvisare – corrispondendo del resto, ad una intima loro esigenza – che esse possano trasformarsi in meglio, ad un migliore servizio versa la realtà di tutti. La categoria della trasformabilità della realtà e della società va coltivata attivamente e ricondotta sempre ad esigenze etico-sociali, non individualistiche e fantastiche. La pedagogia della nonviolenza, ha, dunque, una forma indiretta ed una forma diretta: l’indiretta che consiste nell’esercizio dello sviluppo individuale e del dialogo democratico, la diretta che è nella esplicita fede in un atto di unità-amore verso tutti, che si aggiunge, come da un centro di vita religiosa, alla creatività circostante. (Aldo Capitini, Aspetti dell’educazione alla nonviolenza).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 19 Ottobre 2009ultima modifica: 2009-10-19T23:22:00+02:00da fraternidade
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