Giorno per giorno – 14 Luglio 2009

Carissimi,

“Allora si mise a rimproverare le città nelle quali aveva compiuto il maggior numero di miracoli, perché non si erano convertite: “Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsaida. […] Tiro e Sidóne nel giorno del giudizio avranno una sorte meno dura della vostra. E tu, Cafarnao, ‘‘sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai!’’. Perché, se in Sodoma fossero avvenuti i miracoli compiuti in te, oggi ancora essa esisterebbe! Ebbene io vi dico: Nel giorno del giudizio avrà una sorte meno dura della tua!” (Mt 11, 23-24). Durce, che è tra le più recenti presenze alla nostra preghiera del mattino, non nasconde un certo entusiasmo per l’ascolto della Parola e per ciò che, giorno per giorno, viene, su di essa, scoprendo. Che, dice, quasi sempre, non è mai quello che appare a prima vista. Oggi, quando Bruno ha finito di leggere il Vangelo del giorno, lei fa sorridendo: Va giù pesante, eh? Anche se non avrebbe saputo dire esattamente cosa era accaduto a Tiro, Sidone e Sòdoma. Ma non doveva essere niente di piacevole.  Certo, chi allora ascoltava Gesù, doveva avere maggior dimistichezza con la Bibbia e sapeva cosa aveva predicato contro Tiro e tutta la Fenicia il profeta Amos: “Hanno deportato popolazioni intere a Edom, senza ricordare l’alleanza fraterna; appiccherò il fuoco alle mura di Tiro e divorerá i suoi palazzi” (Am 1, 9-10). E, quanto a Sòdoma, ciò che aveva detto il profeta Ezechiele: “Ecco, questa fu l’iniquità di tua sorella Sòdoma: essa e le sue figlie avevano superbia, ingordigia, ozio indolente, ma non stesero la mano al povero e all’indigente: insuperbirono e commisero ciò che è abominevole dinanzi a me: io le vidi e le eliminai” (Ez 16, 49-50). Che, a dire il vero, non è Dio che distrugge ed elimina, sono loro stesse, le cittá dell’inospitalità, dell’altera chiusura in sé, dell’intolleranza, dell’odio, che finiscono per soffocare e morire. E la parola di Gesù non è una minaccia. È solo uno struggente lamento. Cafarnao, del resto, era la città che Lui aveva scelto come sua e dove operava i suoi segni. Come anche in ogni paese, città, villaggio, tali segni si fanno ancora oggi presenti  e non cessano di chiamarci a conversione. Già, ma noi?        

 

Il nostro calendario ecumenico ci propone oggi le memorie di Nersēs di Lambron, pastore e testimone di ecumenismo, e di Ahmad al-Alawi, mistico islamico.

 

14 NERSES DI LAMBRON.JPGBattezzato con il nome di Smbat, Nersēs era nato nel 1153 a Lambron in Cilicia, figlio di Oshin II, signore del luogo, e di Shahandukht, discendente di Gregorio l’Illuminatore. Adolescente, fu dai genitori inviato presso lo zio Nersēs Šnorhali, catholicos degli Armeni, che lo ordinò sacerdote. Il giovane si dimostrò presto versato nelle scienze sacre e profane e acquisì una profonda conoscenza di greco, latino, siriaco e copto, al punto che il nuovo catholicos armeno, Grigori Tlay, decise di nominarlo e consacrarlo vescovo di Tarso, quando era solo ventitreenne. Da allora e fino alla morte si dedicò con passione alla causa dell’unità tra la chiesa greca e quella armena, separate dall’epoca del Concilio di Calcedonia, scontando opposizioni, calunnie e umiliazioni da parte di entrambe le chiese. Morì il 14 luglio 1198 ed è dottore della Chiesa armena.  

 

14AL_ALAWII.JPGAbul Abbas Ahmad ibn Mustafa al-Alawi al-Mostaganimi, questo il suo nome completo, nacque a Mostaganem, nell’estremo nord dell’Algeria, vicino alla frontiera col Marocco, nel 1869. Di famiglia umile e rispettata, apprese il mestiere di calzolaio e visse per molti anni esercitando questa professione. Già da ragazzo manifestava un grande interesse per la vita dei mistici, ma la sua vita mutò radicalmente quando incontrò colui che sarebbe diventato il suo maestro, lo sceicco al-Buzidi, della Tariqah Darqawiya. A partire da allora il suo negozio venne trasformandosi in un vero e proprio centro di spiritualità, in cui era più il tempo dedicato alla preghiera che alla riparazione delle scarpe. Quando nel 1909 al-Buzidi morì, al-Alawi fu scelto come suo successore alla guida della Confraternita. Si dedicò allora a tempo pieno alla Tariqah, cominciando a percorrere la regione del Magreb e altri paesi per insegnare la sua dottrina  e soprattutto la pratica del dhikr (l’invocazione dei nomi di Dio). Nel 1914 diede vita ad una Tariqah indipendente. Conoscitore degli altri cammini religiosi, lettore appassionato degli evangeli, soprattutto di quello giovanneo, visse e annunciò il cammino della contemplazione, in modo da affascinare poveri contadini, pastori, artigiani, guardato invece con sospetto da teologi, eruditi e giuristi islamici del suo tempo. Gli ultimi anni della sua vita videro al-Alawi consumarsi lentamente; le condizioni di salute precipitarono,  l’alimento quotidiano si ridusse a un po’ di latte e a qualche dattero e lo sceicco, sempre più immerso nel nome di Dio, dedicava i momenti in cui gli era consentito a istruire i discepoli, nella sua zawia, nella città natale. La mattina del 14 luglio 1934, mandò a chiamare il medico e gli disse: “È per oggi. Promettetemi di non far nulla e di lasciare che le cose accadano”. Il dottore gli rispose che non vedeva peggioramenti nel suo stato di salute. Ma egli insistette: “So che è per oggi. Bisogna lasciarmi tornare nel grembo di Dio”. Due ore dopo si spense.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro dell’Esodo, cap.2, 1-15a; Salmo 69; Vangelo di Matteo, cap.11, 20-24.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

 

È tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano del discorso tenuto da Nersēs di Lambron, al Sinodo di Hromklay nel 1179, volto a favorire la ricerca dell’unità tra armeni e ortodossi. È tratto da “Il primato della carità” (Qiqajon). Ed è, per oggi,  il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

L’autore del male, come in origine, in una battaglia destinata a dividere, grazie a un raggiro menzognero e mediante un amo ingannevole scacciò dal paradiso gli uomini che aveva diviso, cosi anche ora, con la stessa arma, entrava in lotta contro i nostri guerrieri dell’armatura impenetrabile. “Che mi giova – diceva – colpirvi con frecce individuali e restare poi frustrato delle vittoria? Ho bisogno di una macchina che abbatta tutti; ho bisogno di un’arma capace di smantellare i vostri potenti baluardi. Orbene o voi avete ricevuto la carità come legge e con essa risanate vicendevolmente le vostre ferite: io la sostituirò con l’odio, e sarà la rovina universale. Voi avete accolto come comandamento la pace e siete uniti in un sol corpo: io la cambio in inimicizia e cosi divido in più parti la vostra unità”. Vedi cosa diceva nella sua impenitente invidia colui che è tutto malvagità? “Io preparo – diceva – per questa battaglia un’arma inimmaginabile, non di quelle mie solite che voi con la vostra prudenza avete già scoperto: non il peccato, che voi distruggete con la penitenza, non l’odio che voi soggiogate con la carità; non la costrizione, che voi superate correndo volontariamente; non l’ingiustizia o l’omicidio che voi disprezzate con la speranza nelle promesse. Che cosa, dunque? Gli occhi di tutti voi sono fissi sulla vostra speranza e sul vostro capo, il Cristo: io non ho altro mezzo per dividervi se non quello di insegnarvi a guardarlo in maniere diverse. Ecco, questo è davvero il peccato a me più caro: lo spirito di opposizione, in cui non c’è posto per il pentimento”. (Nersēs di Lambron, Il primato della carità).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Luglio 2009ultima modifica: 2009-07-14T23:45:00+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo