Giorno per giorno – 20 Giugno 2009

Carissimi,

“Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e a mammóna” (Mt 6, 24). Gesù è categorico, conosce la radicale inconciliabilità che esiste tra il significato del Dio che egli annuncia e quello dell’idolo che gli si contrappone, offrendosi all’umanitá come fondamento della sua fiducia: denaro, ricchezza, potere. Per la cui affermazione e salvaguardia, diventa legittimo sacrificare ogni altro valore, cosa o persona. Mentre il Dio di Gesù Cristo è l’esatto contrario: per l’affermazione di ogni altro valore, cosa o persona, è disposto Lui a sacrificarsi. Noi, ad essere sinceri, preferiremmo fosse possibile amare sì Dio, ma anche un po’ mammona. Spesso, in pratica, più questa, che quello. E la storia della cosiddetta cristianità si è giocata lungo i secoli su questo impossibile connubio: la pretesa di custodire e annunciare il Vangelo della liberazione, della cura, dell’amore di Dio, e, contemporaneamente, per aumentare le proprie ricchezze e il proprio potere, massacrare i Suoi poveri. Lo si fa ancora oggi, anche lì da voi. Ma molti di voi, neanche se n’accorgono più. Poveretti! Vanno a cibarsi (quando ancora ci vanno) di Gesù Cristo in chiesa, e non si accorgono (o fingono di non accorgersene) che lo bestemmiano, lo disprezzano, lo irridono, lo emarginano, lo uccidono, per strada. Nella persona dei suoi preferiti, i piccoli, gli ultimi. O delegano ad altri lo “sporco lavoro”. Per esempio, come accade in questi giorni, nel segreto delle urne. Per evitarsi in tal modo inutili e fastidiosi sentimenti di colpa. Ma, noi. Cosa fare, noi, per non prostituirci all’idolo?         

 

Il nostro calendario ecumenico ci porta oggi la memoria di Padre Rafael Palacios, martire per amore della sua gente in El Salvador, di Nicola Cabàsilas, teologo laico, e di Abu Yazid al Bistami, mistico musulmano.

 

20 Rafael Palacios.jpgRafael Palacios era nato il 16 ottobre 1938 a Talcualuya de San Luis Talpa, figlio di don Rafael e doña Concepción. Dopo il trasferimento della famiglia a Suchitoto, era entrato in seminario e al termine degli studi era stato ordinato sacerdote, svolgendo il suo ministero nelle parrocchie di Tecoluca e della Cattedrale, nella diocesi di San Vicente e, in seguito, nell’archidiocesi di San Salvador, nella parrocchia di Santa Tecla, a Ilopango, e in quella di San Francisco Mexicanos, a San Salvador, dove fu inviato in sostituzione di padre Octavio Ortiz, assassinato nel gennaio 1979. Prete totalmente consacrato alla causa del Vangelo, visse poveramente, collocandosi al servizio dei più poveri, senza paura di denunciare apertamente tutto ciò che vedeva violare le regole elementari della verità e della giustizia. Ripetutamente minacciato dalla formazione Unión Guerrera Blanca, fu ucciso il 20 giugno 1979. Mons. Romero celebrò i suoi funerali il giorno successivo e, al termine dei nove giorni di lutto, volle che un’unica messa fosse celebrata in tutto il Paese, da lui stesso presieduta, in onore di padre Rafael, degli altri sacerdoti assassinati, ma anche come protesta per il sangue di tanti fratelli cristiani e non cristiani.  

 

20 NICOLAS CABASILAS.jpgNicola Cabàsilas nacque a Salonicco nel 132o in una famiglia aristocratica. Ricevuta la sua prima formazione umana e spirituale presso suo zio, Nilos Cabasilas, arcivescovo di Salonicco e discepolo di san Gregorio Palamas, fu inviato alla scuola filosofica di Costantinopoli, dove ricevette un’ottima formazione giuridica e letteraria.  Questo fece sì che Nicola diventasse un giurista di fama, esperto in diritto civile e canonico, e fosse chiamato come consulente alla corte dell’imperatore Giovanni VI Cantacuzenes. Scrisse importanti trattati sulla giustizia sociale e contro l’usura e fu spesso invitato a mediare nelle controversie politiche e teologiche che insorgevano periodicamente nella vita di corte e nell’istituzione ecclesiale. Alla nomina di Callisto I a patriarca di Costantinopoli, Cabasilas ritenne giunto il tempo di ritirarsi da ogni impegno pubblico, dedicandosi da allora a rendere accessibile ai semplici fedeli le ricchezze della vita spirituale, in qualche modo fino ad allora  monopolio delle comunità monastiche. Di questo periodo ci restano due grandi opere: la Vita in Cristo e L’interpretazione della santa liturgia.  Nulla sappiamo dei suoi ultimi anni, salvo il fatto che morì probabilmente verso il 1390.  Fu canonizzato dal Patriarcato di Costantinopoli nel 1983.

 

20 Mausuleu de al Bistami.jpgConosciamo poco della vita di Abu Yazid al Bistami, nato a Bistam (nel Khorasan, regione dell’attuale Iran) verso l’801 (187 dell’era islamica).  Ma quel che ci è noto, ce lo mostrano disposto a lasciarsi sbalzare più di una volta dal cavallo delle sicurezze via via acquisite. Le massime che di lui ci sono state tramandate fanno pensare si sia trattato di un uomo dalla profonda cultura religiosa, scrupolosamente ancorato all’osservanza della legge. Per molto tempo si dedicó ad un’ascesi rigorosa, e tuttavia si accorse che tutto ciò contribuiva a rafforzare l’io invece di portarlo a centrarsi solo su Dio. Confesserà allora che “quelli il cui velo tra essi e Dio è più spesso sono tre categorie di persone: l’asceta per la sua ascesi, il devoto per la sua devozione, il colto per la sua cultura”. Per trovare Dio, l’unico mezzo a disposizione e spogliarsi dell’io. Disse: “Mi sono squamato del mio io come il serpente si squama della sua pelle. Poi mi sono riguardato  e ho trovato che ero Lui”.  Morí nell’857 ( 234 dell’era islamica).

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

2ª Lettera ai Corinzi, cap.12, 1-10; Salmo 34; Vangelo di Matteo, cap.6, 24-34.

 

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

20 Giornata del rifugiato.jpgSi celebra  oggi la Giornata Mondiale del Rifugiato (istituita dall’ONU nel 2001). Il tema scelto dall’UNHCR per il 2009 – “Rifugiati non solo numeri. Persone reali. Necessità reali” – vuole ricordarci che i rifugiati non sono semplici numeri da utilizzare per statistiche e ricerche, ma individui e famiglie in fuga da guerre e persecuzioni, che intendono ricominciare a vivere in condizioni di dignità e di sicurezza. Non vengono a mani vuote (come nessuno mai è a mani vuote), mettono infatti a disposizione dei Paesi che li accolgono il bagaglio delle loro culture d’origine, le esperienze e le competenze acquisite, la loro forza-lavoro. Siamo, solo a volerlo, una ricchezza reale, gli uni per gli altri.

 

Chiesa profetica e martire quella del Salvador di Mons. Romero, dei suoi semplici laici, dei suoi religiosi e religiose, dei suoi preti (certo, accanto, purtroppo, ad una sua porzione, silenziosa e connivente con chi massacrava i poveri). È ciò che, in modi e situazioni diverse, è chiesto anche a noi di essere, oggi, come in ogni tempo. Sfidando le correnti contrarie, quand’anche maggioritarie. Senza cedere alla tentazione di edulcorare il Vangelo  e svuotare di significato la Croce, per inseguire i numeri. Congedandoci, vi proponiamo un brano dell’omelia pronunciata da Mons. Romero, il 30 giugno 1979, nell’Eucaristia che chiuse i nove giorni di lutto per la morte di p. Rafael Palacios. È, per oggi, il nostro     

 

PENSIERO DEL GIORNO

Fratelli, voglio farvi presente che la morte di questi sacerdoti – sacerdoti solidali con il loro popolo – si unisce alle molteplici morti di altre categorie di persone. Assieme al sangue di maestri, di operai, di contadini, possiamo presentare il sangue dei nostri sacerdoti. Questo è una comunione d’amore. Sarebbe triste se, in una patria dove si continua ad uccidere così orribilmente, non contassimo tra le vittime anche dei sacerdoti. Essi sono la testimonianza di una Chiesa incarnata nei problemi della sua gente e possiamo dire che quest’unica Messa [celebrata oggi in tutto il Paese] non è solo in onore di padre Rafael Palacios e neppure ricorda soltanto i cinque sacerdoti assassinati, ma vuole essere la protesta di un popolo per il sangue di tutti i fratelli, cristiani e non cristiani. […] Fratelli, stiamo lottando nella stessa arena, viviamo la stessa storia, corriamo gli stessi pericoli; ci viene imposta oggi la stessa sfida, la stessa sfida che Dio ha fatto a padre Palacios e a cui egli seppe rispondere così eroicamente, viene fatta oggi a noi tutti: vescovi e sacerdoti, fedeli, religiose, comunità qui presenti, tutti noi viviamo muovendoci nella stessa arena e corriamo sotto il comando della stessa sfida del Signore. L’ora è pericolosa per tutti; lasciamo, dunque, ogni preoccupazione vana e superficiale e veniamo alla gloriosa e venerata regola della nostra tradizione. Vediamo come, allo sguardo del Creatore,  è bello e gradito e accetto questo sangue versato che si unisce al sangue di Gesù Cristo. Riconosciamo quanto è prezioso per Dio questo sangue che ha ottenuto per il mondo la grazia della penitenza perché è stato versato per la nostra liberazione. (Mons.Oscar Arnulfo Romero, Homilía del fin de novenario del padre Rafael Palacios).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

 

 

 

 

Giorno per giorno – 20 Giugno 2009ultima modifica: 2009-06-20T23:35:00+02:00da fraternidade
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