Giorno per giorno – 19 Giugno 2009

Carissimi,

“A Èfraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare. Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione” (Os 11, 3-4.8). Confessiamo che per dire o anche solo pensare l’amore di Dio, di cui il cuore (cioè l’essere e l’agire) di Gesù è il simbolo, queste parole della profezia di Osea ci aiutano assai più della tradizionale iconografia che negli ultimi secoli ha preteso di tradurne in immagine il mistero. Anche in questo, Dio, possiamo dire così, ci sorprende: per dirsi usa riferimenti del tutto famigliari, che tutti, sperabilmente, possono, una volta o l’altra, aver sperimentato. Come il gesto tenero di un padre (o, più facilmente, di una madre). Ciò che non a tutti e non sempre è dato sperimentare è l’incondizionatezza, l’universalità, e la totalità dell’amore di cui Dio è insieme dono e donatore. Di cui ci dice il Vangelo di oggi: “Venuti da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua” (Gv 19, 33-34).  Perché non si potesse dire che aveva tenuto qualcosa per sé, ha commentato dona Dominga. E poi ha continuato, come stesse vedendo la scena: è poca cosa, poche gocce, eppure hanno attraversato il tempo, raggiungendo anche noi. E racconta dell’ultima crisi di Maria José, la notte appena trascorsa, di come, caduta dal letto, si trascinasse supina sul pavimento, con la forza di sempre in questi casi, mentre lei cercava inutilmente di trattenerla. Ma, poi, tutto è passato, e ora eccoci qui. Il brano della Lettera agli Efesini che la liturgia ci ha fatto leggere oggi si chiude così: “Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Ef 3, 17-19). Che questo possa essere vero anche per noi. Presto.

 

L'amore del Padre.jpgOggi, la Chiesa cattolica celebra la Festa del Sacro Cuore di Gesù, che, istituita su base locale nel 1765 da Clemente XIII, fu estesa da Pio IX, nel 1856, a tutta la Chiesa. Scrive Karl Rahner nel suo saggio dal titolo “Ecco quel cuore”:  “Il termine cuore non significa già amore. Questo centro intimo e corporeo dell’essere umano personale, che confina col mistero assoluto, secondo la sacra Scrittura può essere anche perverso e costituire l’abisso insondabile, nel quale sprofonda il peccatore, che si rifiuta d’amare. Il cuore può restare vuoto di amore e può essere molto periferico ciò che si potrebbe chiamare ancora amore. L’uomo apprende per la prima volta che il più intimo della realtà umana è l’amore […] soltanto quando egli arriva a conoscere il Cuore del Signore. ‘Ecco quel cuore che ha tanto amato gli uomini’: questa non è un proposizione analitica derivata dal concetto di cuore, ma la conseguenza sconvolgente della esperienza della storia della salvezza”.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri di questa Festa e sono tratti da:

Profezia di Osea, cap.11, 1.3–4, 8c-9; Salmo (Isaia 12, 2-6); Lettera agli Efesini, cap.3, 8-12. 14-19; Vangelo di Giovanni, cap.19. 31-37.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

 

Il nostro calendario ci porta la memoria di Romualdo, fondatore dei Camaldolesi, e di Sebastian Newdigate e compagni, monaci e martiri in Inghilterra.

 

19 ROMUALDO bis.jpgNato a Ravenna intorno al 952, Romualdo scelse la vita monastica dopo un tragico avvenimento che aveva colpito la sua famiglia: il padre, Sergio, duca di Ravenna,  aveva ucciso un parente nel corso di un duello. Fu dapprima monaco nel monastero benedettino di S. Apollinare in Classe, nella città natale. Ma dovette stancarsene presto, distante come vedeva la vita di quei monaci dal rigore e dalla radicalitá testimoniata dagli antichi padri del deserto. Trascorsi dieci anni nel monastero di San Michele di Cuxa, sui Pirenei, Romualdo tornò in Italia e si  trasferì in Toscana, dove, a Campo Maldoli, fondò un monastero in cui i monaci potessero tradurre l’opzione monastica in una vita basata sul lavoro manuale, la preghiera, le veglie e il digiuno, e dove, dopo un periodo di tempo vissuto in comunità, potessero ritirarsi nella solitudine di un eremo. Nacque così, entro la famiglia benedettina, l’ordine Camoldolese, che nel 1113 vedrà riconosciuta la sua autonomia. Romualdo fu un uomo calato nei problemi del suo tempo, preoccupato per l’evangelizzazione della gente e per la riforma del clero. Presentendo la morte, si congedò da ciascuno dei suoi monaci e volle morire da solo, senza  che nessuno fosse presente, nel monastero di Val di Castro, il 19 giugno 1027.

 

19 Sebastian Newdigate.jpg19 Umfrido Middlemore.jpg19 Guglielmo Exmew.jpgDopo la rottura di Enrico VIII con Roma, era stata imposta ai sudditi l’approvazione del ripudio, da parte del re, della regina Caterina d’Aragona e quindi l’accettazione come sovrana di Anna Bolena. Pur con qualche incertezza i monaci della Certosa di Londra, nel 1534,  sottoscrissero il documento, convinti che questo non pregiudicasse la loro fede. Quando però, qualche mese più tardi, un nuovo decreto stabilì che tutti riconoscessero la supremazia del re sulla chiesa d’Inghilterra, il loro priore,  John Houghton, riunì la comunità per decidere il da farsi e unanime fu la scelta dei monaci di non aderire a tale ingiunzione. Questo segnò però il destino loro e di altri religiosi che ad essi si erano nel frattempo aggiunti. Arrestati, rinchiusi nella Torre di Londra, e torturati a più riprese, i primi di loro furono impiccati il 4 maggio 1535. Sebastian Newdigate era stato confessore del re e Enrico VIII nutriva per lui sufficiente affetto da spingerlo a visitarlo personalmente in carcere, al fine di convincerlo a sottoscrivere il documento. Fu tutto inutile. Rifiutate le offerte e sottoposto a torture, egli e altri due compagni, Humphrey Middlemore e William Exmew, furono, il 19 giugno 1535, impiccati, sventrati e squartati nella piazza del Tyburn. Altre morti sarebbero seguite nei mesi successivi.

 

È tutto per stasera. Noi ci si congeda qui lasciandovi a un brano di Hans Urs Von Balthasar, “Il cuore del mondo” (Jaca Book). Che parla di “quel” cuore ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Tu senti il tempo, e questo cuore non senti? Percepisci la corrente di grazia che ti compenetra col suo rosso colore e calore, e non ti accorgi quanto sei amato? Cerchi una prova, e sei tu stesso la prova. Tu cerchi di prenderlo, lo sconosciuto, nelle maglie della tua conoscenza, e sei tu stesso preso nell’indistricabile rete del suo potere. Vorresti afferrare, comprendere, e già sei afferrato. Vorresti dominare, e sei sopraffatto. Ti spingi avanti a cercare, e sei già da lungo tempo e da sempre trovato. Ti apri brancicando la strada attraverso mille vestiti verso un corpo vivente, ed affermi di non sentire la mano che tocca la tua anima nuda e senza veli? Ti agiti cercando tutt’attorno nella furia del cuore inquieto, e chiami tutto ciò religione, ma si tratta in realtà degli scossoni del pesce già finito nella barca da pesca. Vorresti trovare Dio, pur fra mille dolori: ma che umiliazione venir a sapere che il tuo agire non era che un vuoto rito, perché Dio ti tiene da lungo tempo in sua mano. Metti il tuo dito sul polso vivente dell’essere. Avverti quel battito che nell’unico atto della sua creazione a un tempo ti sfida e ti libera. Nell’immenso sgorgare dell’esistenza esso definisce l’esatta misura che ti distanzia: lo devi amare come il più prossimo dei prossimi e insieme davanti a lui cadere come davanti all’altissimo. Come egli con lo stesso atto per amore ti veste e per amore ti spoglia. Come egli, con l’esistenza, ti mette in mano tutti i tesori e il più prezioso gioiello: poterlo riamare, ridonare, e subito ti toglie ogni cosa donata (subito e non dopo, in un secondo atto, un passo più avanti), affinché possa amare non il dono ma il donatore, e possa sapere che anche donando sei solo un’onda del suo comunicare. Nell’identico istante dell’esistenza tu sei vicino e lontano, hai avuto alla pari un amico e un maestro. Sei alla pari un bambino, un figlio, un servo. Non andrai oltre questo tuo stato primario. Vivrai nell’eternità come ciò che sei allora diventato: giacché dovesse pure la tua virtù, sapienza, amore innalzarsi oltre ogni misura, e tu sorpassare uomini e angeli in alto attraverso tutti i cieli, dal punto di partenza non ti allontani mai. Ma niente è migliore di questo punto primo; lungo il pur lunghissimo arco del tuo sviluppo tu ti pieghi sempre all’indietro verso questa meraviglia dell’origine; perché inconcepibilmente meraviglioso è l’essere dell’amore. (Hans Urs Von Balthasar, Il cuore del mondo).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

 

 

Giorno per giorno – 19 Giugno 2009ultima modifica: 2009-06-19T23:10:00+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo