Giorno per giorno – 18 Giugno 2009

Carissimi,

“Voi dunque pregate così: Padre nostro” (Mt 6,9). Il nome nuovo di Dio è questo: “Abba”, Babbo, Papà. Se per l’antico nome, Jhwh, era valido il divieto di pronunciarlo, per il nuovo, ci è invece fatto obbligo di ripeterlo: pregate così! E la preghiera potrebbe anche finire lì, tanto questo nome, se lo si prende sul serio, è capace di includere le sette richieste che gli tengono dietro. Che vengono, comunque, rimandate a noi, affidandocene la responsabulità della testimonianza. Resta il fatto che Dio, l’Assoluto, ha voluto dirsi nella forma della relazione, cioè nella forma dell’umiltà dell’amore. Sicché noi, si può dire che siamo condizione dell’esserci di Dio. Perché se Dio è Padre, quando non ci fossero figli non sarebbe più padre, e perciò non sarebbe più neanche Dio.  Ma qui sta anche tutto il peso della nostra responsabilità, nella storia e e nella natura. Che egli sia, e sia così, qualcuno/qualcosa deve continuamente testimoniarlo. Se no, semplicemente, Lui non c’è. Ecco perché lo preghiamo di farci testimoni/strumenti della santificazione, cioè della verità, del suo nome, del fatto che Lui regna davvero in noi e tra di noi, del compimento della sua volonta, che è pane, cioè vita per tutti i suoi figli, perdono e riconciliazione, vittoria sulla tentazione del potere, liberazione da ogni male. E la parola conclusiva di Gesù: “Se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Mv 6, 15), non è una sorta di minaccioso ricatto, ma un richiamo alla coerenza della fede. Se io non perdono al mio fratello, alla mia sorella, se, cioè, non vivo relazioni riconciliate nella/con la natura, nella/con la storia, significa che non mi riconosco figlio/a del Padre comune, che è Vita, dono, perdono, pace e riconciliazione per tutti, per tutto. Mi scelgo, cioè, fuori della verità dell’essere. Nego, perciò,  Dio, profano la storia, la natura e io stesso in qualche modo non sono più. Almeno fino a quando.

 

Il nostro calendario ecumenico ci porta oggi la memoria Bernardo Mizeki, martire nel Mashonaland, e di P. Giovanni Vannucci, maestro spirituale del nostro tempo.

 

18_BERNARD_MIZEKI.JPGNato nel 1861 nella regione dell’attuale Mozambico, Bernardo Mizeki si trasferì, a dodici anni, a Città del Capo (Africa del Sud), dove per dieci anni lavorò come operaio, abitando in una baraccopoli. Divenuto cristiano, quando completò gli studi, fu inviato a lavorare come agente di pastorale laico nel Mashonaland, nell’attuale Zimbabwe.  Ogni giorno, pregava l’Ufficio Divino, coltivava il suo orticello, per trarne i mezzi di sussistenza, studiava la lingua locale e creava relazioni d’amicizia con la gente del villaggio. Attento alle caratteristiche  della religione dei Shona, seppe inculturare l’annuncio cristiano nella fede monoteistica nel Dio unico, Mwari, e nella sensibilità alla vita dello spirito. Minacciato più volte e poi rapito da un gruppo di estremisti, fu ucciso per la sua fedeltà a Cristo, il 18 giugno 1896. Il luogo della sua morte divenne centro di grande devozione per gli anglicani e altri cristiani.

 

18 GIOVANNI VANNUCCI.jpgNato a Pistoia il 26 dicembre 1913, Giovanni Vannucci fece la sua professione religiosa nell’ordine dei Servi di santa Maria.  Nei primi mesi del 1951, con alcuni confratelli si associò per qualche mese alla nascente e allora contestata comunità cristiana creata a Nomadelfia (Grosseto) da don Zeno Saltini. Aveva affermato in quei mesi: “C’è troppa separazione tra monaci e popolo, non ci sono ponti di comunicazione, siamo nettamente separati, non c’è comunione. Noi portiamo l’eredità di un inquinamento del quale dobbiamo cercare generosamente, con una decisione coraggiosa e ferma, di liberarci […] perché possiamo tradire il Vangelo anche non ascoltando la voce della storia”.  I provvedimenti disciplinari che, nel clima dell’epoca, seguirono, trovarono il frate consenziente e docile, convinto che una tale prova rappresentasse la necessaria potatura operata da Dio in vista di un suo cambiamento radicale. Restò per una anno nel convento di Sansepolcro, interessandosi vivamente ai problemi dei più poveri ed emarginati e, successivamente a Firenze, dove, negli anni che seguirono, fu l’animatore di iniziative culturali e caritative, che suscitarono un forte risveglio religioso della città. Nel 1967, potè finalmente dar vita a un suo antico sogno: quello di avviare una comunità dedita alla preghiera, al lavoro e all’accoglienza, nella povertà e nell’allegria, dove a tutti “fosse concesso di portare a maturazione i propri doni e servire l’uomo con essi”. Fu ciò che egli fece fino alla morte, avvenuta il 18 giugno 1984,  nell’Eremo di san Pietro a Le Stinche, nel Chianti.      

 

I testi che la liturgia odierna propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:

2ª Lettera ai Corinzi, 11, 1-11; Salmo 111; Vangelo di Matteo, cap.6, 7-15.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

Si diceva più sopra del perdono. Che è, se capiamo bene, più che la semplice remissione di torti o debiti reciproci. È assumerci, noi stessi per primi, nel nostro limite e nella nostra comune relazione a Lui, per poi cogliere le nostre reciproche presenze, come dono (per-dono) che, di volta in volta, aderendo a, ma anche distanziandosi dal progetto di Dio, continuamente interpella, sfida, completa, arricchisce il grande fiume della nostra storia. Che risulterà comunque, alla fine, storia di Dio. Come è successo al popolo della Bibbia. Noi ci si congeda qui. Lasciandovi al brano di un’omelia di Giovanni Vannucci, tratta dal suo libro “Nel cuore dell’essere” (Romena). Che è, per oggi, il nostro    

 

PENSIERO DEL GIORNO

Se io parlando a voi, dicessi: io sono nella verità e voi nell’errore, commetterei peccati terribili e comunicherei anche a voi questa idea di divisione, perché io so di possedere un frammento di verità e so che ciascuno di voi possiede un frammento di verità. Allora guardiamoci negli occhi e cominciamo a dire: mettiamo insieme questi piccoli frammenti e avremo una visione della verità molto più vasta, più ampia, più estesa. Se riuscissimo a liberarci da quella malefica erba che è il giudicare, noi saremmo in pace con gli uomini. Questo non vuol dire che non dobbiamo perseguire le cose nelle quali crediamo seriamente e coscientemente, ma, perseguendo queste cose, dobbiamo avere anche quella incertezza che ci fa dire: io posseggo la verità, ma non tutta la verità. E devo essere attento anche agli altri, se voglio che la mia verità non sia un segmento, ma sia a forma di circonferenza, abbracciando tutte le altre. […] Allora non giudicheremo, avremo un atteggiamento positivo e sereno e pieno di pace anche nei momenti di dolore, nei momenti di sofferenza, nei momenti travagliati come il nostro presente, perché avremo una visione chiara, anche se non la potremo raffigurare, di quello che un giorno l’uomo raggiungerà. E sapremo anche che tutti gli uomini di buona volontà collaborano all’apparizione dell’uomo vero, che è l’uomo risorto da tutti i sepolcri, che ha superato tutti gli egoismi, che ha rotto tutti i gusci che lo imprigionano e si è reso universale. Sia questo il nostro perdono del peccato: il non giudicare e l’essere attenti a tutte le manifestazioni che nascono in seno all’umanità per poter estendere la nostra coscienza, dilatare il nostro cuore, vedere una verità più completa perché integrata dalle verità che ci vengono portate non soltanto dagli uomini ma anche da tutte le altre creature. (Giovanni Vannucci, Nel cuore dell’essere).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 18 Giugno 2009ultima modifica: 2009-06-18T23:17:00+02:00da fraternidade
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