Giorno per giorno – 17 Giugno 2009

Carissimi,

A proposito delle parole del salmo: Apritemi le porte della giustizia, Rabbi Bunam disse: ‘La via del retto servizio è che l’uomo si senta sempre ancora fuori e preghi Dio di aprirgli l’accesso al vero servizio. È anche ciò di cui Davide dice: Questa è la porta del Signore, i giusti vi entreranno. Non vi è altra porta per arrivare al Signore che questa preghiera’.”.  Lo riporta Martin Buber nel suo “I racconti dei Chassidim” (Garzanti). E, stamattina, dopo aver ascoltato il brano del Vangelo che si apre con l’ammonizione di Gesù: “Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati” (Mt 6, 1), ci dicevamo che quel “davanti agli uomini” include anche noi. L’esibizionismo religioso ha spesso come primi spettatori noi stessi. Così capita, sì, capita, di fare le cose, sempre che succeda di farne di buone e di farle, pensiamo noi, bene, con la segreta speranza di essere ammirati. Almeno da noi stessi, se non da altri. Ma, se dobbiamo prestar fede a Rabbi Bunam, e, prima ancora a Gesù Cristo, è proprio allora che si rovina tutto. Per cui: Signore, aprici le porte della giustizia! A gratis, possibilmente.      

 

Oggi facciamo memoria di Marie-Joseph Cassant, monaco trappista della “piccola via”.

 

17 Joseph Cassant bis.jpgJoseph Cassant era nato da una famiglia contadina il 6 marzo 1878, a Casseneuil (Francia). Fin da bambino sentì forte il fascino della liturgia e il desiderio di essere un giorno sacerdote. Purtroppo non l’aiutava in ciò la scarsa propensione agli studi, così, su consiglio del suo parroco, prese  a frequentare l’abbazia trappista di Nostra Signora del Deserto, nella diocesi di Tolosa, dove chiese di entrare come novizio nel  dicembre 1894. Di costituzione debole e inadatto ai lavori pesanti, riuscì, con l’aiuto di padre André Malet, suo maestro di noviziato, a fuggire la tentazione della tristezza e dello scoraggiamento, accettando i suoi limiti con pazienza e con gioia. Pronunciò i suoi voti definitivi il 24 maggio 1900, nella festa dell’Ascensione. Venendo incontro al suo desiderio di essere sacerdote, i superiori affidarono ad un suo confratello il compito della sua preparazione teologica, che, nonostante l’impegno profuso, fu seminata di difficoltà e umiliazioni. Il rapido peggioramento della tubercolosi che nel frattempo aveva contratto convinse i superiori ad accelerare i tempi dell’ordinazione, che avvenne il 12 ottobre 1902. Subito dopo di essa il giovane monaco fu inviato per qualche tempo in famiglia nella speranza che potesse recuperarsi. Ma nel dicembre successivo, senza che nulla fosse cambiato, chiese ed ottenne di fare ritorno in monastero. Trasferito in infermeria, visse gli ultimi mesi della malattia, in pieno e sereno abbandono alla volontà di Dio, apprendendo in prima persona la verità delle parole che Paolo udì da Cristo: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Cor 12, 9). Padre Cassant celebrò la sua ultima Eucaristia il 31 maggio 1903. Il giorno dopo ricevette l’unzione degli infermi. Morì all’alba del 17 giugno, subito dopo la comunione durante la messa che padre André stava celebrando nella sua cella. Thomas Merton, quasi cinquant’anni dopo, scrisse di lui in termini ammirati nel suo “Le acque di Siloe”.

 

I testi che la liturgia odierna propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:

2ª Lettera ai Corinzi, cap. 0, 5-11; Salmo 112; Vangelo di Matteo, cap.6, 1-6.16-18.

 

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita, nella testimonianza  per la pace, la fraternità e la giustizia.

 

Non abbiamo sottomano scritti di o testimonianze dirette su Marie-Joseph Cassant. Scegliamo allora di proporvi, nel congedarci, questo brano tratto dal libro “Sotto la guida dello Spirito” (Edizioni Qiqajon) del monaco trappista André Louf,  che ci pare, tutto sommato, abbia a che vedere. E che è comunque, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La maggior parte di noi è inquieta, se non addirittura smarrita, quando ci appare, in modo più o meno brutale, la nostra debolezza. Alcuni arrivano perfino a fuggire: bisogna aver già una certa esperienza dell’amore di Dio per osare permanere nella debolezza e riconciliarsi con il proprio peccato. Alcuni non riusciranno mai a riconoscere la minima traccia di debolezza in se stessi, il che è molto grave. La vita di costoro può sembrare molto generosa, perché fanno degli autentici sforzi, ma nel contempo sarà sempre un po’ rigida e forzata: una vita in cui l’amore autentico non può sgorgare; sono persone alla soglia dell’indurimento, prossime all’accecamento spirituale. Grazie a Dio, molto più spesso non è così: è più frequente che noi conosciamo bene la nostra debolezza ma senza sapere come gestirla. Essa ferisce inconsciamente l’immagine ideale di noi stessi che portiamo sempre con noi. Spontaneamente pensiamo che la santità va ricercata nella direzione opposta al peccato e contiamo su Dio perché il suo amore ci liberi dalla debolezza e dal male e ci permetta così di raggiungere la santità. Ma non è così che Dio agisce con noi. La santità non si trova all’opposto bensì al cuore stesso della tentazione, non ci aspetta al di là della nostra debolezza ma al suo interno. Sfuggire alla debolezza significherebbe sfuggire alla potenza di Dio che è all’opera solo in essa. Dobbiamo dunque imparare a dimorare nella nostra debolezza, ma armati di una fede profonda, accettare di essere esposti alla nostra debolezza e nello stesso tempo abbandonati alla misericordia di Dio. Solo nella nostra debolezza siamo vulnerabili all’amore di Dio e alla sua potenza. Dimorare nella tentazione e nella debolezza: ecco l’unica via per entrare in contatto con la grazia e per diventare un miracolo della misericordia di Dio. (André Louf, Sotto la guida dello Spirito).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

 

Giorno per giorno – 17 Giugno 2009ultima modifica: 2009-06-17T23:42:00+02:00da fraternidade
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