Giorno per giorno – 16 Febbraio 2009

Carissimi,
“Gesù, con un profondo sospiro, disse: “Perché questa generazione chiede un segno? In verità vi dico: non sarà dato alcun segno a questa generazione”. Inutile dire che la richiesta di segni è espressione di una mancanza di fede. Forse, diceva stamattina dona Dominga, quando si chiedono o si danno troppi regali, è perché si è perduto di vista il dono maggiore, quello della stessa persona che si dà, del suo tempo, della sua attenzione, del suo amore. Così, per la piccola Mariana, che domani farà un anno, il dono maggiore dev’essere questo suo starsene in braccio alla nonna o, alternativamente, alla mamma, e riceverne le coccole e apprenderne il sorriso. I farisei del Vangelo di oggi (Mc 8, 11) rappresentano allora i religiosi che non hanno capito niente di Dio (e siamo tanti!), dato che ad ogni pié sospinto, gli chiediamo una prova del suo potere reale, traducibile sempre e soltanto nel nostro personale successo o in quello del nostro gruppo, chiesa, partito, paese che sia. E dona Dominga aggiunge ancora: eppure per scoprire l’amore di Dio, che si dona davvero a tutti come una madre, basta anche solo entrare in un bosco e mettersi a guardare la vita che gemma dalle piante e il brulichio di esseri vivi e lo scorrere delle acque e i giochi di luce. Già, la nostra fede è tale solo se è un atto della nostra libertà, capace di superare ogni segno. Come dire: qualunque cosa mi succeda, io so che Lui mi ama. E questo mi basta.

Oggi è memoria di Janani Jakaliya Luwum, pastore e martire in Uganda, e dello starec Isidoro, asceta ed eremita.

16_JANANI_LUWUM.JPGJanani Jakaliya Luwum era nato nel 1922 a Mucwini, in Uganda. Da ragazzo era stato pastore del gregge di suo padre, un contadino di recente convertito al cristianesimo. Solo all’età di dieci anni aveva potuto cominciare a frequentare la scuola e lo fece con impegno e profitto, fino a conseguire il diploma di insegnante. Il 6 gennaio 1948, Janani ricevette il battesimo. L’esigenza che sentiva sempre più pressante di evangelizzare, lo portò, dapprima, ad essere catechista e, poi, a decidere di mettersi a tempo pieno al servizio della Chiesa. Ordinato sacerdote nel 1956, alternò soggiorni di studio in Inghilterra al lavoro pastorale e all’insegnamento nell’ Istituto teologico di Bulawasi, finché il 25 gennaio 1956 fu consacrato vescovo dell’Uganda settentrionale. Alla cerimonia erano presenti il presidente della repubblica, Milton Obote, e l’allora Capo di stato maggiore dell’esercito, Idi Amin. Nel 1974, Janani Luwum fu eletto Arcivescovo di Uganda, Rwanda, Burundi and Boga-Zaire. Nel frattempo, nel 1971 il Colonnello Idi Amin aveva rovesciato con un cruento colpo di stato il governo in carica e aveva instaurato una crudele dittatura militare. Migliaia di persone erano state arrestate, imprigionate senza alcun processo e giustiziate. L’arcivescovo Luwum non se ne stette zitto, né allora, né negli anni successivi. L’8 febbraio 1977, lui e quasi tutti i vescovi ugandesi si riunirono e stilarono una dura nota di protesta, in cui si denunciavano gli atti di violenza compiuti dai servizi di sicurezza del regime e si chiedeva un incontro urgente con il dittatore. Il 16 febbraio, gli ecclesiastici furono convocati nella capitale Kampala. Dopo un confronto farsa, che si risolse in una sorta di processo per tradimento ai vescovi presenti, ad uno ad uno, fu ordinato loro di andarsente. Fu trattenuto solo Luwum, che volgendosi al vescovo Festo Kivengere, disse: “Mi uccideranno, ma non ho paura”. Il giorno dopo fu diffusa la notizia che l’arcivescovo con due ministri del governo, cristiani impegnati, erano morti in un incidente d’auto. In seguito si seppe che lo stesso Amin, infuriato per il rifiuto di Luwum a sottoscrivere una confessione, gli aveva sparato a bruciapelo in volto. Era il 16 febbraio 1977.

16 STAREC ISIDORO.jpgIoann (tale il nome alla nascita) era nato, nel 1824 (o, secondo un’altra versione, nel 1833), nel villaggio di Lyskovo, nel distretto di Makar’evo, nel governatorato di Nižegorod (Russia), nella famiglia di Andrey e Paraskeva Kozin, servi della gleba addetti ai servizi domestici alle dipendenze dei principi Gruzinskij. Quando era incinta di lui, la madre si era recata a Sarov, dallo starec Serafim e il santo l’aveva chiamata a sé e le si era prostrato davanti, predicendole che sarebbe nato da lei un grande asceta. Poco o nulla si sa degli anni giovanili di Ioann, salvo il fatto che, assieme ai divertimenti propri dell’età, egli dava spazio a momenti di preghiera e di meditazione. Nel 1852, avendo ormai chiara dentro di sé la vocazione allo stato monastico, chiese e ottenne di entrare nell’eremo del Getsemani, eretto dal metropolita di Mosca, Filarete. Nel 1860 Ioann fu ordinato monaco e prese il nome di Isidoro. Si trasferì allora nell’eremo del Paraclito, destinato agli amanti della solitudine più austera, dove ricevette l’ordinazione a ieromonaco. Lì restò cinque anni, fino a quando, cioè, gli si offrì la possibilità di recarsi nella repubblica monastica del Monte Athos, dove però potè trattenersi solo un anno. Tornato in patria, dopo un breve periodo al Paraclito, fece ritorno all’antico eremiterio, dove visse senza interruzioni, fino alla morte avvenuta alle undici di sera del 16 febbraio (3 febbraio per il calendario giuliano) del 1908. Pavel Florenskij, che fu suo figlio spirituale, nella biografia che gli dedicò, scrisse di lui: “Povertà, salute precaria, sprezzante trascuratezza, ingiurie, persecuzioni: ecco di quali spine si era ricoperto il sentiero della vita dello starec. E tuttavia, pur tra queste spine, egli era riuscito a serbare una tale serenità, una tale gioia, una tale pienezza di vita, quale noi non abbiamo né siamo in grado di conseguire nemmeno nelle condizioni in assoluto più favorevoli”.

I testi che la liturgia propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.4, 1-15.25; Salmo 50; Vangelo di Marco, cap.8, 11-13.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

Della biografia che Pavel A. Florenskij scrisse del suo padre spirituale, apparsa anche in Italia con il titolo “Il sale della terra. Vita dello starec Isidoro” ( Qiqajon), vogliamo, nel congedarci, offrirvi una delle pagine conclusive, che riassume il segno e il senso della sua vicenda umana e spirituale. E che è per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
L’abba Isidoro era un autentico portatore dello Spirito di Dio. Ecco perché quanto di eccezionale è in lui era e continua a restare inefferrabile per il nostro linguaggio, impercettibile per il nostro intelletto. Di per sé tutto d’un pezzo, unitario, l’abba diventa interamente contraddittorio nel momento in cui si tenta di caratterizzarlo a parole, dicendo: “Ecco, era questo e quest’altro”. È vero, sottostava ai digiuni, ma al contempo li violava. È vero, era dotato dello spirito di sottomissione, ma anche di indipendenza. È vero, viveva relegato dal mondo, ma amava tutta la crazione come nessuno mai. È vero, viveva tutto assorto in Dio, ma non trascurava di leggere i giornali e di dilettarsi di poesia. È vero, era di carattere mite, ma sapeva essere anche severo. In una parola, al nostro intelletto egli si presenta come un’insanabile contraddizione. Ma alla ragione purificata egli appare come un tutto coerente come nessuno mai. Anche la sua unità spirituale sembra costituire una contraddizione sul piano razionale. Viveva nel mondo, e al contempo non era di questo mondo. Non disdegnava nulla, eppure si manteneva sempre al di sopra, in una dimensione celeste. Era spirituale, pneumatoforo, e nella sua persona era possibile comprendere che cosa significhi la spiritualità cristiana, che cosa significhi essere cristiani “non di questo mondo”. (Pavel A. Florenskij, Il sale della terra. Vita dello starec Isidoro).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 16 Febbraio 2009ultima modifica: 2009-02-16T23:35:00+01:00da fraternidade
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