Giorno per giorno – 15 Febbraio 2009

Carissimi,
“Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: Impuro! Impuro! Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento” (Lv 13, 45-46). La lebbra (zaraat), di cui si parla nella Bibbia, non era il morbo di Hansen che conosciamo noi. E nelle provvidenze che venivano assunte al suo manifestarsi, non era in gioco tanto la malattia, quanto, secondo la mentalità dell’epoca, ciò che l’aveva provocata. La tradizione orale, che intendeva darsi e dar conto delle prescrizioni divine, giustificava la severità delle misure prescritte in questo caso, non tanto per esigenze igieniche o per evitare il diffondersi della malattia, ma in vista del problema spirituale che l’aveva determinata. Così, ciò che richiedeva l’isolamento del lebbroso non era la malattia in sé, ma ciò di cui essa era segno. I Maestri del Talmud affermavano che la parola che designa il lebbroso, “mezorà” è contrazione di “mozì ra”, “colui che tira fuori il male” ai danni del suo prossimo (TB, Arachin 15b), chi, insomma, lo pregiudica, in parole, opere e omissioni, come si diceva una volta, o, ancora, chi è incapace di prendere in considerazione l’altrui sofferenza. È per questo che il processo di purificazione richiedeva l’isolamento e la segregazione dal resto della comunità. Perché il colpevole si rendesse conto dell’importanza che ha per ognuno di noi il nostro prossimo, doveva sperimentare la sua lontananza e la sua assenza. Se è così, il lebbroso del racconto evangelico non è semplicemente un malato, ma siamo noi malati, siamo noi impuri, ogni volta che ci tagliamo fuori dalle relazioni di fraternità – le uniche vere – con gli altri. Anche se nessuno esteriormente arrivasse a notarlo. Il lebbroso è dunque, anche qui, come spesso nel Vangelo, specchio della malattia spirituale di noi che condanniamo gli altri all’emarginazione e all’esclusione, più di quanto non lo sia di loro, emarginati e esclusi. Siamo noi che dobbiamo prendere coscienza di questo nostro stato, noi che dobbiamo dirigerci al Signore, pregandolo: “Se vuoi, puoi purificarmi” (Mc 1, 40). E, guariti, metterci “a proclamare e divulgare il fatto” (v.45), decidendo di agire come forza di dialogo, accoglienza, inclusione.

Le letture che la liturgia di questa 6ª Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratte da:
Libro del Levitico, cap. 13,1-2.45-46; Salmo 32; 1ª Lettera ai Corinzi, 10,31- 11,1; Vangelo di Marco, cap.1,40-45.

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Oggi il nostro calendario ci porta la memoria di Benjamin J. Salmon, profeta di pace e di nonviolenza negli Stati Uniti, e Maria Elena Moyano, martire per la giustizia, la pace e la fraternità in Perù.

15 BEN SALMON.jpgBen Salmon era nato nel 1889, a Denver, nel Colorado (Usa), da una modesta famiglia cattolica di lavoratori. Impegnato nel sociale fin da giovane, fu subito attratto dal messaggio evangelico della nonviolenza che, all’epoca, lungi dall’essere patrimonio comune, era anzi avversato e guardato con sospetto persino da parte delle chiese. Cattolico praticante, nel 1917 si sposò, proprio nei giorni in cui gli fu notificata la chiamata alla leva. Coerente con i suoi ideali, Ben si dichiarò obiettore di coscienza, scontrandosi in questo, oltre che con il potere civile, con la dottrina e la gerarchia della sua stessa chiesa, che da secoli aveva inventato la teoria della “guerra giusta”. Arrestato nel 1918, processato e condannato a morte, Salmon si vide commutata la pena a venticinue anni di prigione. Dopo due anni trascorsi in carcere duro, in regime di isolamento e in condizioni abominevoli, torturato e irriso, intraprese uno sciopero della fame ad oltranza. Giudicato malato di mente, a causa della sua profezia e testimonianza, fu ricoverato nel manicomio di S. Elisabetta a Washington, da cui tuttavia fu dimesso poco dopo. Dopo la sua liberazione condusse una tranquilla vita in seno alla sua famiglia, continuando nella sua pratica di vita cattolica nonostante l’incomprensione della sua Chiesa. Benché i suoi studi non fossero andati oltre l’ottavo grado, redasse allora un manoscritto di duecento pagine, criticando la dottrina della guerra giusta. Il trattamento riservatogli negli anni di prigione aveva minato in maniera irreparabile la sua salute. Fu così che Ben Salmon morì a soli quarantatre anni, il 15 febbraio 1932. Dei suoi figli, uno divenne prete e un’altra suora nella Congregazione di Maryknoll.

15 moyano.gifMaria Elena Moyano era nata il 29 novembre 1958, nel distretto di Barranco a Lima, in una famiglia di sette figli. La sua storia s’intrecciò ben presto con la nascita e la crescita di Villa El Salvador, uno dei municipi più recenti dell’area metropolitana della capitale peruviana, sorto, in pieno deserto, il 1° maggio del 1971 da un’invasione di terreni demaniali. Lì, Maria Elena, fu animatrice instancabile di tutte le iniziative che potessero rendere la vita più umana e dignitosa: strade, scuole, acqua, luce, posti di lavoro, cibo. Fondò, per la prima volta in Perù, la Federazione delle Donne, impegnandosi a organizzare i Club delle Madri, i Comitati per il Bicchiere di Latte, le Mense Popolari, i Centri di Raccolta, organizzando marce e mobilitazioni. Sempre all’ insegna del dialogo, della chiarezza e della non-violenza. Il 15 febbraio 1992, mentre assisteva a un’iniziativa di un Comitato del Bicchiere di Latte a Villa El Salvador, in compagnia dei suoi figli, Gustavo e David Pineki, Maria Elena fu fatta saltare con la dinamite da elementi dell’organizzazione terroristica Sendero Luminoso. Il suo funerale vide la presenza di oltre trecentomila persone e rappresentò una delle più imponenti manifestazioni che il Perù ricordi. Gustavo Gutiérrez, il padre della teologia della liberazione, pregando alle sue esequie, disse: “Ti rendiamo grazie, o Padre, per la vita che hai donato a Maria Elena. Grazie, Padre, per averci insegnato, attraverso lei, qual è il cammino per vincere la fame che uccide e le pallottole assassine, per averci insegnato la solidarietà, la speranza, l’allegria, l’offerta spontanea di se stessi. […] Coloro i quali l’hanno fatta saltare in aria, pensando di farla così scomparire, altro non hanno fatto se non spargere i semi di questa amica nei nostri cuori, semi di vita”.

Ed è sempre di Gustavo Gutiérrez il testo, dedicato alla memoria di Maria Elena Moyano, che, nel congedarci, vi offriamo come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La solidarietà è stato il marchio dell’avventura personale di questa donna nobile e amica. L’insieme degli individui che, ripiegati su se stessi, camminano su strade parallele senza contatto tra loro non costituisce un popolo, forma soltanto una massa senza energia né progetto, alla mercé della manipolazione e dei messianismi politici. Maria Elena fu cosciente di ciò, il suo rifiuto dell’individualismo prepotente che cerca di infiltrarsi nelle fasce popolari era l’altra faccia del suo senso di solidarietà umana. Coincideva anche con la sua convinzione che la società peruviana deve essere costruita a partire dalle necessità dei più poveri ed emarginati. E a loro apparteneva, per molte ragioni, Maria Elena. Ha tentato differenti cammini – sempre secondo le circostanze – per rendere efficace questo impegno solidale, ma l’essenziale è che fece di questo il significato della sua vita. Ciò che è accaduto a lei non ci rinvia a un momento eccezionale, a un episodio drammatico ma temporaneo di una persona. Una vita intera sostiene infatti la sua dedizione. Non è la sua morte che illumina la sua esistenza, è questa semmai che ci fa cogliere il significato del gesto assassino […]. La sua lotta per la giustizia e contro questa terribile violenza che è la povertà, il suo confronto con la violenza terrorista, il suo rifiuto di ogni violazione dei diritti raggiunsero una intensità tale da dare un valore universale alla sua testimonianza. Maria Elena, scomoda invaditrice delle nostre vite, pensieri e sentimenti, ci sfida, ci stimola a difendere la vita e ci convoca a fare del nostro Paese una nazione per tutti. (Gustavo Gutiérrez, Maria Elena, la Invasora).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 15 Febbraio 2009ultima modifica: 2009-02-15T23:31:00+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo