Giorno per giorno – 14 Febbraio 2009

Carissimi,
“In quei giorni, essendoci di nuovo molta folla che non aveva da mangiare, chiamò a sé i discepoli e disse loro: Sento compassione di questa folla, perché già da tre giorni mi stanno dietro e non hanno da mangiare. Se li rimando digiuni alle proprie case, verranno meno per via; e alcuni di loro vengono di lontano” (Mc 8, 1-3). Forse Gesù era ancora in territorio pagano, nella regione della Decapoli, dove l’abbiamo visto ieri curare il sordomuto. E deve avere un senso se l’evangelista si sente in dovere di proporre qui quello che sembra essere un semplice doppione della prima moltiplicazione dei pani (Mc 6, 35-44). Forse i numeri che ricorrono tanto nel primo, come in questo secondo racconto, parlavano più chiaramente a chi li ascoltava allora. Cinque pani, due pesci, dodici ceste di avanzi là, sette pani, alcuni pesci, sette ceste di avanzi, qui. Noi, oggi, possiano tutt’al più avanzare qualche supposizione. Dodici e sette richiamano entrambi l’idea di totalità, il primo riferito a Israele (le dodici tribù), il secondo riferito alle nazioni (i sette popoli preisraeliti di Canaan, o i 70 popoli della terra). Forse l’evangelista intende sottolineare che il pane che Gesù dona, così come la sua misericordia, così come la missione sua e della Chiesa si destinano indistintamente a Israele e alle nazioni. E allora forse dovremmo domandarci se, come Chiesa, abbiamo davvero la stessa compassione, la stessa attenzione, la stessa premura di Gesù nei confronti della fame, delle fami, del mondo. “Presi allora quei sette pani, rese grazie, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero; ed essi li distribuirono alla folla” (Mc 8, 6). L’Eucaristia che celebriamo ogni domenica è per noi questo ascolto della Parola che si e ci trasforma in alimento per le moltitudini? Ci accorgiamo dei drammi che spesso si vivono dall’altra parte delle pareti di casa? Abbiamo occhi, orecchie e cuore per accorgerci che il latte di Divina non sta nutrendo Letícia, prima che lei sia costretta a bussare alla nostra porta e chiederci ad occhi bassi se possiamo aiutarla a comprarne, che poi Divino, quando troverà un servizio, ci rimborserà? E, più a monte, siamo consapevoli di quanto pesino le nostre scelte in campo economico, politico, sociale perché la vita di cui è simbolo il pane di Gesù raggiunga davvero la sua destinazione universale?

Oggi è memoria dei due fratelli Cirillo e Metodio, evangelizzatori degli Slavi e patroni d’Europa.

14 Cirillo e Metodio 3.jpgCirillo e Metodio si chiamavano in realtà Costantino e Michele ed erano nati a Tessalonica (l’attuale Salonicco, in Grecia) nel IX secolo, figli di un magistrato imperiale. Michele, il maggiore, intrapprese dapprima la carriera politica, divenendo arconte di una provincia slava dell’impero. Nell’ 840 decise tuttavia di lasciare la carica e di farsi monaco e fu eletto, in seguito egumeno del convento Polychron sul monte Olimpo di Bitinia. Costantino, nato verso l’827, alla morte del padre, si recò a Costantinopoli per completare gli studi alla corte imperiale. Ordinato sacerdote, si dedicò all’insegnamento. Nell’860 i due fratelli ebbero l’incarico dall’imperatore di evangelizzare i Kazari; tre anni dopo, richiesti dal principe Rastislao, raggiunsero la Moravia. Qui essi elaborarono il loro alfabeto (non il cirillico, inventato solo due secoli più tardi, ma il glagolitico), realizzando la prima versione in lingua slava della Bibbia e della liturgia. Accusati di scisma e di eresia, i due furono chiamati a Roma dal papa Nicola I. Quando vi giunsero, vennero accolti con tutti gli onori dal suo successore, Adriano II, che, contro ogni aspettativa e suscitando l’ira e lo sgomento del clero conservatore, volle che celebrassero i santi misteri alla presenza sua e della folta comunità cristiana di Roma, nella lingua parlata dagli slavi, introducendo così una riforma che l’occidente avrebbe conosciuto solo undici secoli più tardi, con il Concilio Vaticano II: quella di celebrare nella lingua viva parlata dalla gente e non nelle lingue “sacre” del passato: aramaico, greco e latino. Nel dicembre dell’868 Costantino cadde malato. Prevedendo imminente la morte, volle rivestire l’abito monastico, prendendo il nome di Cirillo e dopo 50 giorni morì, il 14 febbraio 869, all’età di 42 anni. Fu sepolto con grande solennità nella basilica di S. Clemente. Dopo la morte del fratello, Metodio fu dal papa ordinato prete, nominato legato apostolico, consacrato vescovo e stabilito arcivescovo per la Pannonia e la Moravia. Una lettera, che lo accreditava presso i principi Rastislao, Sventopulk e Kocel, conteneva l’approvazione senza riserve della liturgia slava. Il che, il clero latino non riuscì proprio a digerirlo. Sicché ci fu chi, passato un po’ di tempo, tentò il colpo mancino: l’arcivescovo Aldewinus (una sorta di Lefèbvre ante litteram) denunciò Metodio a Ludovico il Germanico. Metodio fu imprigionato, giudicato e condannato all’esilio. Nell’ 878, papa Giovanni VIII chiese ed ottenne la sua liberazione, ma, subendo le pressioni dei conservatori, rinnegò le concessioni del predecessore in materia liturgica. Metodio, dal canto suo, seppe con la dovuta prudenza e discrezione tirar dritto per la sua strada, riuscendo in seguito a convincere il papa della bontà di quella scelta. Morì il 6 aprile 885 e fu sepolto nella sua chiesa cattedrale in Velehrad.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.3, 9-24; Salmo 90; Vangelo di Marco, cap.8, 1-10.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Ed è tutto. Noi ci congediamo qui, lasciandovi alla lettura dell’invocazione finale rivolta a Dio Padre da Giovanni Paolo II nella sua enciclica “Slavorum Apostoli”, dedicata alla figura di Cirillo e Metodio. È, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
O Dio grande, uno nella Trinità, io ti affido il retaggio della fede delle nazioni slave: conserva e benedici questa tua opera! Ricorda, o Padre onnipotente, il momento nel quale, secondo la tua volontà, giunse per questi popoli e per queste nazioni la “pienezza dei tempi” e i santi missionari di Salonicco adempirono fedelmente il comando che il tuo Figlio Gesù Cristo aveva rivolto ai suoi discepoli; seguendo le loro orme e quelle dei loro successori, essi recarono nelle terre abitate dagli slavi la luce del Vangelo, la buona novella della salvezza […]. Esaudisci, o Padre, ciò che da te implora oggi tutta la Chiesa e fa’ che gli uomini e le nazioni che, grazie alla missione apostolica dei santi fratelli di Salonicco, conobbero e accolsero te, Dio vero, e mediante il Battesimo entrarono nella santa comunità dei tuoi figli, possano continuare ancora, senza ostacoli, ad accogliere con entusiasmo e con fiducia questo programma evangelico e a realizzare tutte le proprie possibilità umane sul fondamento dei loro insegnamenti. Possano essi seguire, in conformità alla propria coscienza, la voce della tua chiamata, lungo le vie indicate per la prima volta undici secoli or sono! La loro appartenenza al regno del tuo Figlio non possa esser considerata da nessuno in contrasto col bene della patria terrena! Possano rendere a te la lode dovuta nella vita privata e in quella pubblica! Possano vivere nella verità, nella carità, nella giustizia e nel godimento della pace messianica, che abbraccia i cuori umani, le comunità, la terra e l’intero cosmo! Consci della loro dignità di uomini e di figli di Dio, possano avere la forza di superare ogni odio e di vincere il male col bene!” (Giovanni Paolo II, Slavorum Apostoli, 30).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Febbraio 2009ultima modifica: 2009-02-14T23:45:00+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo