Giorno per giorno – 09 Marzo 2024

Carissimi,
“Gesù disse questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano” (Lc 18, 9-10). Ovvero, uno religioso – oggi potremmo dire cristiano tutto di un pezzo -, l’altro, peccatore dei peggiori. E qui potremmo immaginare le possibili variazioni della parabola, che dice la preghiera piena di orgoglio del primo, e di sofferta umiliazione del secodo. Per esempio. il pubblicano ascolta le parole del fariseo e si mette a pregare: ti ringrazio, mo Dio perché, pur con tutti i miei peccati, non sono come quello lì, che si crede chissà chi. Oppure, il religioso si coglie nella sua nullità e invoca: Vieni in mio soccorso, Signore, perché, senza di te, sono perduto. Sono stato sempre troppo preso dalla ricerca della mia perfezione, che non mi sono accorto delle necessità di chi pure mi stava vicino. Avremo così il peccatore che vantando un merito che squalifica l’altro, aggiunge un peccato ai suoi molti peccati, e il religioso che finalmente si coglie nella sua verità. Ora, come si caratterizza la nostra preghiera? Ma, più in generale, dato che la preghiera è espressione del nostro stare nel mondo, qual é il nostro sguardo sugli altri? È uno sguardo giudicante o uno sguardo solidale, attento a cogliere i bisogni altrui, intervenendo poi a soddisfarli a misura delle nostre possibilità?

Oggi il nostro calendario ci porta le memorie di Francesca Romana, sposa, madre di famiglia e religiosa, e di Swami Sri Yukteswar Giri, mistico indiano.

Francesca Bussa de’ Buxis de’ Leoni, nacque a Roma nel 1384 in una famiglia che (come lascia arguire la sfilza di cognomi) era nobile e ricca. Il che deve suonare di qualche consolazione per i cammelli che disperano di poter attraversare la cruna dell’ago. Desiderosa di abbracciare la vita religiosa, fu però obbligata dal padre a sposare, appena dodicenne, Lorenzo de’ Ponziani, la cui famiglia, lungo gli anni, si era fatta ricca e aveva comprato la nobiltà, con i proventi del mestiere di macellai. A 16 anni ebbe il primo dei tre figli, due dei quali avrebbe perduto a causa di un’epidemia di peste. Da subito, la giovane sposa, prese a dedicare il suo tempo libero dagli impegni familiari, a soccorrere poveri ed ammalati, in una situazione generalizzata di degrado economico e sociale. Nel 1425 lei e altre amiche, che aveva coinvolto nelle sue attività caritative, si costituirono in associazione, le “Oblate Olivetane di Maria”, che, nel 1433, papa Eugenio IV eresse in congregazione, con il titolo di “Oblate della Santissima Vergine”. Rimasta vedova, poco più che cinquantenne, si unì alle sue compagne, lasciando l’amministrazione della casa al figlio Battista e alla consorte di questi. Trascorse gli ultimi quattro anni della sua vita in convento, istruendo ed edificando le consorelle nell’amore e nella dedizione ai poveri. Morì il 9 marzo 1440.

Priya Nath Karar (questo il suo nome alla nascita) era nato il 10 maggio 1855 a Serampore (India), nella famiglia di un benestante uomo d’affari. Divenuto adulto, il giovane si sposò e passò ad amministrare la sua eredità, vivendo responsabilmente i suoi doveri e obblighi sociali. In età matura incontrò il suo guru, Sri Lahiri Mahasaya, e si dedicò alla pratica del Kriya Yoga. Rimasto vedovo, fu iniziato nell’ordine degli Swami, a Bodh Gaya, e assunse il nome di Sri Yukteswar Giri. Ebbe, assieme a molti altri doni, quello della guarigione spirituale, anche se lo esercitò sempre in maniera estremamente discreta. Studioso della Bhagavadgītā e della Bibbia, insegnò l’unità essenziale delle religioni, anche se queste fanno spesso di tutto per fomentare divisioni che nulla hanno a che vedere con l’apertura alla Verità. Nel 1894 raccolse parte delle sue riflessioni in un libretto intitolato Kaivalya Darshanam, che fu in seguito ripubblicato dalla Self-Realization Fellowship, con il titolo The Holy Science. Sri Yukteswar fu il maestro spirituale di Paramahansa Yogananda, a cui affidò la missione di diffondere il Kriya Yoga. Yukteswar era convinto che il matrimonio tra l’eredità spirituale dell’Oriente e la scienza e teconologia dell’Occidente avrebbe comportato un progressivo superamento delle sofferenze materiali, psicologiche e spirituali del nostro tempo. Il 9 marzo 1935, Swami Sri Yukteswar abbandonò il suo corpo mortale, che fu seppellito nel giardino del suo ashram di Puri, dove successivamente è stato edificato un tempio in sua memoria.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Osea, cap.6, 1-6; Salmo 51; Vangelo di Luca, cap.18, 9-14.

La preghiera del Sabato è in comunione con tutte le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

È tutto, per stasera e noi, nel congedarci, prendendo spunto dalla memoria di di Swami Sri Yukteswar Giri, vi proponiamo una citazione del teologo Luiz Carlos Susin,tratta dal suo saggio “L’Assoluto nei frammenti. L’universalità della rivelazione nelle religioni”, incluso nel libro “Verso una teologia del pluralismo religioso” (EMI). Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La rivelazione e l’universalità della rivelazione avvengono a partire dall’altro, che è plurale, che sono molti altri. È, dunque, una universalità aperta, complessa, con molte direzioni. In tal senso, l’unicità e l’universalità – quella di Cristo per il cristiano, quella di Abramo per chi partecipa della fede abramica, ecc. – sono, al tempo stesso, eventi unici, irripetibili e, tuttavia, aperti, provocatori dell’apertura agli altri, alla vita e alla religione degli altri, a ciò che con l’altro c’è di divino. L’universalità non può essere la circoscrizione di una totalità panoramica e dominante. È, al contrario, apertura, e apertura virtualmente all’infinito. L’universalità avviene nel dialogo, nel desiderio aperto e nella «pace come unità nella molteplicità». La differenza, anche quella religiosa, non ottiene la pace semplicemente con il rispetto, ma con la «non-indifferenza», con il desiderio di condividere la ricchezza e la biodiversità religiosa, fiore delicato della biodiversità della creazione. Forse si può intendere in questo modo ciò che Gesù ha voluto esprimere parlando del «desiderio ardente» di mangiare e condividere la Pasqua prima di soffrire, come segno della commensalità che avrebbe avuto luogo nel Regno di Dio. Il Regno di Dio è un orizzonte escatologico, aperto, universalizzante, secondo la migliore concezione cristiana, ma il suo segno sta nell’accoglienza reciproca e nel condividere la vita, la mensa e la religione, in frammenti di pane e frammenti di religione, frammenti del Regno di Dio – nel linguaggio della tradizione cristiana – dove si realizza e si rivela quanto c’è di più santo e assoluto: l’amore che salva e che è divino, l’altro divino con ogni altro, nella spoliazione di sé e, dunque, anche con noi e con me. (Luiz Carlos Susin, L’Assoluto nei frammenti. L’universalità della rivelazione nelle religioni).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 09 Marzo 2024ultima modifica: 2024-03-09T21:51:11+01:00da fraternidade
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