Giorno per giorno – 29 Febbraio 2024

Carissimi,
“C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe” (Lc 16, 19-21). La parabola, la conoscono tutti, un tempo era detta del ricco epulone, forse per farcelo sentire lontano, per via del nome misterioso (che avremmo scoperto poi che significa qualcosa come banchettaro, dato che in latino “epulum” è banchetto), e non ci sognassimo di attribuirne la figura a gente del nostro mondo. Il rischio è sempre stato quello di darne una lettura del “risentimento”, a suo modo consolatoria, del tipo: vedete la fine triste dei ricchi e quella bella dei poveri. Che fa coppia con certe letture delle beatitudini. In un caso come nell’altro non si tratta in primo luogo della fine, ma del fine, che ci è stato affidato o, secondo altri, che è inscritto nel nostro stesso esistere. Il dono, per esempio. Che, se solo apriamo gli occhi, ci è dato percepire. Aprire gli occhi è ciò di cui è stato incapace il ricco della parabola. Di cui, per altro, non è detto fosse particolarmente malvagio. Di più, era convinto di vederci, e bene, in vista del proprio godimento. Per questo tipo di persone, vale il detto di Gesù: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane” (Gv 9, 41). L’epulone potrebbe essere tranquillamente un seguace della teologia della prosperità, che pensa la richezza come segno della benedizione di Dio, e perciò la povertà come [conseguenza di un] peccato. La parabola ci mostra come Dio la pensi diversamente: chi ne esce condannato è il [mondo] ricco, che nasce e si mantiene, con la sua accumulazione, sull’impoverimento di Lazzaro. Il quale, non a caso, ha quel nome, che significa “Dio aiuta”, quasi sinonimo del “Dio salva” inscritto nel nome di Gesù, che con il mondo dei poveri si è totalmente identificato. Attraverso loro Dio intende salvarci, non finita la partita con qualche goccia d’acqua, ma prima del novantesimo minuto, convertendoci il cuore. Per fare della vita quel giardino di delizie che Lui sogna da sempre per tutti. La Quaresima vuole aiutarci ad aprire gli occhi sui bisogni del mondo. Non neghiamoci a farlo.

Il calendario ci porta oggi la memoria di Auguste Chapdelaine e compagni, martiri in Cina.

Auguste Chapdelaine era nato a La Rochelle, nella Bassa Normandia (Francia), il 6 gennaio 1814, ultimo di nove figli della famiglia contadina di Nicolas Chapdelaine e Madeleine Dodeman. Dopo essersi dedicato al lavoro dei campi fino a vent’anni, alla morte di due dei suoi fratelli, vinte le resistenze dei genitori, sentendosi chiamato al sacerdozio, entrò in seminario e, al termine degli studi, nel 1843, fu ordinato prete. Desideroso tuttavia di essere missionario, nel 1851 chiese ed ottenne l’ammissione al noviziato dell’Istituto delle missioni estere di Parigi e, il 2 maggio 1852, s’imbarcò per la Cina. Prima della partenza scrisse alla madre: “Sono stato destinato alla Cina. Tu devi fare questo sacrificio per Dio ed Egli ti ricompenserà nell’eternità. Ti presenterai fiduciosa davanti a Lui, alla tua morte, ricordando la tua generosità nel sacrificare, per la sua maggior gloria, ciò che avevi avuto di più caro. E come segno del tuo consenso, firma, per favore, la lettera che mi manderai quanto prima, e come segno del tuo perdono per tutto il dolore che ti ho causato e come segno della tua benedizione, aggiungi una croce dopo il tuo nome”. La nave, dopo un viaggio fortunoso di oltre sette mesi, giunse a Macao il giorno di Natale. Per tre anni Chapdelaine si fermò a Ta-Chan, nei pressi della frontiera, al fine di apprendere lingua, costumi e religione della popolazione che si apprestava ad incontrare. Nel 1854, entrò finalmente nello Kuang-Si, nel Sud della Cina, ma, dieci giorni dopo il suo arrivo, fu arrestato e gettato in prigione, a Si-li-hien, dove rimase diciassette mesi. Rilasciato, cominciò il suo apostolato, predicando il Vangelo e battezzando quanti ne facevano richiesta, ma il 25 febbraio 1856, accusato di sobillare il popolo e fomentare disordini, fu arrestato nuovamente con alcuni dei neo-convertiti. Interrogato, torturato e condannato a morte, fu giustiziato il 29 febbraio 1856, assieme a Laurence Pe-mu e Agnes Tsau-kong.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Geremia, cap.17, 5-10; Salmo 1; Vangelo di Luca, cap.16, 19-31.

La preghiera del Giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

La missione della chiesa non è più vista oggi in una prospettiva proselitista, ma, sempre di più, come annuncio, proposta e testimonianza di vita, che implicano necessariamente ascolto, accoglienza, confronto e dialogo, con quanti coltivano altre rivelazioni del divino o si lasciano comunque guidare dall’impulso, anonimo o segreto, dello Spirito, in vista della costruzione di un’umanità di persone libere che vivano tra loro relazioni di fraternità. dedizione, solidarietà e amore. Prendendo spunto dalla memoria di Auguste Chapdelaine e compagni, scegliamo di congedarci offrendovi in lettura una citazione tratta dal Libro di Mo Zi (Maestro Mo), un pensatore cinese vissuto tra il V e il IV secolo a. C., propugnatore dell’amore universale. Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Ecco due uomini, uno seguace della parzialità o della discriminazione, l’altro dell’universalità. Il primo dirá: “Come posso considerare il mio amico come me stesso e i suoi genitori come i miei?”. Allora, vedrà il suo amico affamato e non gli dará nulla da mangiare; lo troverà nel freddo, e non lo vestirà; malato, e non lo curerà; morto, e non lo seppellirà. Ecco il discorso e la condotta del seguace della discriminazione. È assolutamente diverso il seguace dell’universalità che dirà: “È veramente uomo solo colui che ama gli altri come se stesso e i genitori degli altri come i propri.” Così, infatti, è grande tra gli uomini. Trovando il suo amico affamato, lo sfamerà; nel freddo, lo vestirà; malato, lo curerà; morto, lo seppellirà. Ecco il discorso e la condotta del seguace dell’universalità. (Libro di Mo-ti, XVI).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 29 Febbraio 2024ultima modifica: 2024-02-29T21:45:57+01:00da fraternidade
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