Giorno per giorno – 19 Febbraio 2024

Carissimi,
“In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40). Così, se ci fosse mai capitato di pensare di esserci guadagnati la salvezza nell’aldilà (o il giudizio benevolo di Dio sul nostro aldiqua) con la nostra professione di fede, l’osservanza dei comandamenti e dei precetti della Chiesa, la nostra frequenza ai sacramenti, i nove primi venerdì del mese e quant’altro, siamo bell’e che serviti. Cristiani o non cristiani che si sia, credenti o atei, siamo giudicati su altro, su ciò che facciamo o non facciamo con i [nostri] fratelli più piccoli [che siano di Gesù lo sappiamo noi dal Vangelo]. Che sono coloro che avevano, hanno, avranno bisogno di noi. Punto e basta. Parola di Gesù Cristo. Ma cosa gli è saltato in testa?, si interrogano smarriti rabbini, imam, monaci buddhisti, pastori, teologi moralisti, ministri del culto che temono di restare disoccupati. Beh, ci dicevamo stasera, sotto lo sguardo disorientato di padre Carlos: non tutto è perduto. Il resto sarà stato importante se sarà servito ad orientarci nel senso prospettatoci dal vangelo di oggi. Se no, pazienza. Non per nulla Gesù afferma: “In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio” (Mt 21, 31). Capita infatti che ne capiscano più loro della giustizia del Regno, che noi, a nostro modo, suoi professionisti.

Oggi ricordiamo Sirio Politi, preteoperaio; José Antônio Pereira Ibiapina, apostolo del Nordeste brasiliano, e Rabbi Elimelech di Lisensk, mistico ebreo. Ricordiamo anche don Carlo Molari, ilteologo delletre conversioni.

Sirio Politi era nato il 1º febbraio 1920 a Capezzano Pianore, in quel di Lucca, da una famiglia povera e a quattordici anni era entrato in seminario. Ordinato prete nel 1943, divenne due anni più tardi parroco di Bargecchia. E ci restò una decina d’anni, finché lo Spirito gli deve aver sussurrato: ehi, amico, datti una mossa! E lui, era il 1956, scese a valle, con una idea: “essere uno di loro”. Loro erano gli operai. I tempi, poi, mica si scherzava. Per il divorzio maturato nel tempo tra la chiesa e la classe operaia e il clima di sospetto e le reciproche diffidenze che ne erano scaturite. Lui comunque sarebbe riuscito ad abbattere il muro e, condividendone la fatica e le lotte, a conquistare l’amicizia, la lealtà e la fedeltà dei nuovi compagni. Durò solo tre anni, per via della durezza di testa e di cuore che Gesù da sempre rimprovera alla sua chiesa. Per restare prete, dovette lasciare la fabbrica. Di quel momento scriverà: “Mi si scavò nell’anima un vuoto spaventoso, come morire, e da allora mi sono sentito finito, morto. La mia Chiesa mi ha distrutto. Proprio Lei”. Continuò invece a vivere, dove aveva preso ad abitare, alla Darsena di Viareggio, non più operaio, ma scaricatore di porto, per i successivi sei anni. Dal 1965 creò con altri preti operai, uomini e donne, una nuova esperienza comunitaria alla periferia della città, tornando in Darsena nei primi anni settanta. Lì si impegnerà sempre più sul fronte della pace, della nonviolenza, della lotta antinucleare. Dall’estate 1986, l’ultima sfida, quella della malattia che lo porterà alla morte, il 19 febbraio 1988.

José Antônio Pereira Ibiapina nacque il 5 agosto 1806 a Sobral, nello Stato di Ceará. Ancora giovane, desiderando diventare prete, si era trasferito a Olinda (Pernambuco), per frequentare il seminario, ma una serie di tragedie familiari (la morte della madre, l’omicidio del fratello maggiore e la fucilazione del padre per motivi politici) lo costrinsero a fare ritorno a casa per prendersi cura della famiglia. Risolti i problemi più urgenti, fece ritorno nel Pernambuco con due delle sorelle minori. Si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza, laureandosi nel 1832. Negli anni successivi fu prima magistrato, poi deputato e infine avvocato. Ed ebbe sempre a cuore la causa dei più poveri e sfruttati. Nel 1850, la svolta decisiva della sua vita: si disfece di tutti i suoi beni e andò ad abitare in una casetta in un bairro di Recife, dove passò tre anni a studiare, pregare, meditare, vivendo in povertà. Il 26 luglio 1853, Ibiapina veniva ordinato sacerdote. Insegnò per qualche tempo in seminario, poi con il permesso del suo vescovo, cominciò a viaggiare attraverso tutto il Nordeste brasiliano, realizzando missioni popolari, coscientizzando e organizzando la popolazione, costruendo chiese, ospedali, bacini idrici, e soprattutto moltissime case di carità, dove l’infanzia abbandonata potesse crescere, studiare e apprendere una professione. Padre Ibiapina morì a Santa Fé, nello stato di Paraiba, il 19 febbraio 1883.

Rabbi Elimelech, nato in Galizia (Polonia) nel 1717, era, con il fratello maggiore Sussja, figlio del Rabbi Eliezer Lipman e di sua moglie Miroush, persone conosciute per la loro bontà e generosità. Insieme, i due fratelli, in gioventù si diedero ad una vita di peregrinazioni senza meta. Poi, le loro strade si divisero: Sussja continuò ad essere l’inquieto ed estatico “folle di Dio”, e Elimelech, alla scomparsa di Rabbi Dov Bär, il Grande Magghid, divenne capo della comunità chassidica, facendosi conoscere per la “conoscenza intuitiva delle persone che lo avvicinavano, delle loro manchevolezze e delle loro pene, così come dei mezzi per guarirle”. Nella memoria del popolo, rimase così presente come “il medico delle anime, l’esorcizzatore dei demoni, il consigliere, la guida e il taumaturgo”. Rabbi Elimelech morì a Lisensk il 21 Adar I 5546 (coincidente, quell’anno, con 19 febbraio 1786), lasciando tre figli, Rabbi Elazar di Lisensk, Rabbi Lipa Eliezer di Chemelnick, Rabbi Yaakov di Maglanitza e due figlie, Esther Etil e Mirish.

Carlo Molari era nato a Cesena il 25 luglio 1928. Venne ordinato sacerdote nel 1952. Si laureò in teologia e in diritto alla Pontificia università lateranense. Fu poi professore in questa stessa università, oltre che alla Gregoriana e alla Urbaniana. Dal 1961 al ’68 è stato Aiutante di Studio della S. Congregazione per la Dottrina della Fede; dal 1966, per un decennio è stato segretario dell’Associazione teologica italiana (Ati), membro del Comitato di consultazione della sezione dogma della rivista internazionale “Concilium”, curatore della rubrica di teologia su “Rocca”. Nel 1974 il suo libro “La fede e il suo linguaggio”, ispirato a Teilhard de Chardin, venne giudicato non conforme alla dottrina cattolica dalla Congregazione per la dottrina della fede e nel 1977, per questo motivo, gli venne chiesto di lasciare l’insegnamento. A seguito di ciò, don Molari andò in pensione in anticipo, continuando tuttavia a scrivere libri e articoli e a tenere incontri e conferenze. Oltre all’attività di insegnante e saggista, dal 1967 al 2011 svolse attività pastorale all’Istituto San Leone Magno dei Fratelli maristi a Roma. Nel 2009 fece la professione dei Consigli Evangelici nell’Istituto Gesù Sacerdote, voluto dal Beato don Giacomo Alberione, fondatore della Famiglia Paolina. In un profilo autobiografico che gli era stato richiesto tratteggiò quelle che chiamò le sue tre conversioni: la conversione alla cultura contemporanea; la conversione al nuovo modo di fare teologia applicando all’ambito teologico le prospettive apprese dalla cultura contemporanea; la conversione dovuta all’incontro, non libresco ma vivo ed esperienziale, con le altre religioni. Ha celebrato la sua pasqua il 19 febbraio 2022.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Levitico, cap.19, 1-2. 11-18; Salmo 19B; Vangelo di Matteo, cap. 25, 31-46.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le religioni del subcontinente indiano: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura il brano di un’omelia di don Carlo Molari. La troviamo nella pagina riservata ai suoi commenti alla liturgia nel sito dei Fratelli maristi ed è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Dobbiamo avere questa consapevolezza: che c’è una distanza enorme tra i criteri che Gesù indica nel Vangelo e i criteri che continuamente ci vengono proposti, quelli del benessere materiale, della difesa dei nostri piccoli interessi, della supremazia sugli altri, dell’esclusione degli stranieri o di quelli di altre culture e religioni, della difesa delle nostre ricchezze. Allora questo processo di giustizia nel mondo, come il processo della pace tra i diversi popoli, richiede delle scelte coraggiose, a volte anche rischiose; ma delle scelte che devono essere ben determinate e per le quali cioè le persone devono essere coinvolte pienamente. Queste scelte devono maturare attraverso il confronto, il dialogo. Capite, aprire la strada non è una cosa semplice, non abbiamo quindi delle regole così assolute e sicure, dobbiamo affinare la nostra sensibilità interiore… per percepire quell’azione dello Spirito che qua e là si manifesta in quelli che nel Vangelo Gesù chiamava i ‘segni dei tempi’. Tutto questo però avviene con una molteplicità di apporti o di carismi, come diceva Paolo. Gesù parla di ‘molte dimore’, di molte mansioni. Si riferisce al compimento, al traguardo: “vado a prepararvi un posto, quando sarò andato e avrò preparato un posto, ritornerò e vi porterò con me”. Dove ci porterà ci sono molti posti. Non è solo una moltitudine numerica, è proprio una qualità diversa. Quale sarà non lo sappiamo, ma sappiamo che l’identità che abbiamo raggiunto sarà un’identità che ci distingue completamente gli uni dagli altri: il ‘nome scritto nei cieli’, Gesù diceva. Abbiamo tutti un nome che si sta scrivendo ora nei cieli. Saremo distinti, ma in profonda comunione e sarà questa comunione profonda che determinerà la caratteristica specifica di ciascuno, perché ciascuno accoglie il dono secondo la propria struttura creata nella storia. Ma la molteplicità di dimore e di funzioni corrisponde qui nella storia alla funzione specifica di ciascuno, attraverso la quale ciascuno di noi ha un apporto da dare, una caratteristica da sviluppare, un dono da consegnare. Ma spesso la qualità peculiare, che ci serve per sviluppare il dono da diffondere intorno a noi, la trascuriamo appunto perché guidati dalle mode, dalla pubblicità, dai criteri del mondo. Così non sviluppiamo quella qualità specifica che dovrebbe inserirsi in quel concerto di apporti vitali in cui ciascuno dà il suo contributo per il bene comune, per lo sviluppo dell’umanità nuova. Cioè per quella vita a cui Gesù appunto si riferiva: la via verso la verità e la vita. (Don Carlo Molari, Commento alla liturgia. V Domenica di Pasqua. Anno A.).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 19 Febbraio 2024ultima modifica: 2024-02-19T21:40:55+01:00da fraternidade
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