Giorno per giorno – 17 Febbraio 2024

Carissimi,
“I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori? Gesù rispose loro: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano” (Lc 5, 30-32). E come sperare che si possano convertire, se prima non si sentono accolti e amati peer quello che sono? Gesù per mangiare e bere allo stesso tavolo con loro, non chiedeva prima il certificato di pentimento. Se conversione poteva esserci era conversione a quello sguardo che si era per primo convertito a loro pieno di amore e di rispetto, come si deve tra fratelli, e quel che è certo è che Gesù considerava tutti fratelli, anche e soprattutto, questi che erano disprezzati dalla gente perbene e dai morigerati religiosi. Padre Eraldo richiamò alcune reazioni abnormi, e perciò preoccupanti, alla dichiarazione, per altro prudentissima, Fiducia Supplicans, che è venuta a permettere di benedire coppie in situazione irregolare. Queste reazioni che vorrebbero escludere dall’azione della grazia determinate categorie di persone, rendono coloro che se ne fanno portatori, così simili ai farisei del racconto evangelico, più peccatori di coloro di cui denunciano la situazione. Qualcosa del genere si doveva registrare nelle comunità per le quali Luca scrive il suo vangelo. Per qualcosa di molto di più di una semplice benedizione, che del resto non si è mai negata a nessuno, senza sognarsi di indagare la moralità della persona. Si trattava dell’accoglienza eucaristica, che i “farisei” presenti nelle comunità intendevano limitare a quanti loro giudicavano degni. Riportando l’episodio e l’atteggiamento chiarissimo di Gesù, volto a conquistare tutti alla sua passione d’amore, che avrà la sua manifestazione massima nella Croce, di cui l’Eucaristia attualizza ogni volta il significato, Luca intende snidarli e metterli con le spalle al muro. E noi siamo chiesa che emargina ed esclude, o chiesa di peccatori perdonati e graziati, che accolgono con gioia chi viene per cibarsi del Pane di vita alla mensa del Signore?

In questa data, il nostro calendario, prendendo spunto dall’anniversario della morte di Giordano Bruno, ci porta oggi la memoria di tutti i Martiri dell’Inquisizione (non importa se cristiani o no, santi o peccatori, ortodossi o eretici, beghine o streghe). Essa richiama la nostra attenzione sul fatto che l’unica verità da affermare (a cui ogni altro dogma rimanda), a partire almeno dall’annuncio di Gesù, era ed è che Dio è Amore incondizionato per tutti. Il che comporta, come inevitabile corollario, che ci si debba impegnare, come cristiani, perché tutti (non solo alcuni, i nostri, o i buoni, ma tutti, compresi i suoi nemici o negatori) abbiano vita e vita in abbondanza.

Il nome di battesimo di Giordano Bruno, nato a Nola, nel 1548, era in realtà Filippo. Egli lo cambiò in Giordano, quando, a diciassette anni, entrò in convento dai domenicani. Il suo temperamento vivace e anticonformista, l’intelligenza fervida e un certo eclettismo di interessi che lo portava ad interessarsi delle nuove scoperte scientifiche, non meno che di studi esoterici e pratiche magiche, lo misero presto nei pasticci. Sicché, sospettato di eresia, dovette nel 1576 fuggire dal convento, cominciando un lungo periodo di peregrinazioni, da una città all’altra, prima nel nord d’Italia e poi altrove. Fu in Francia, poi in Svizzera, a Ginevra, dove aderì al calvinismo, ma fu per poco tempo, perché l’istituzione gli stava stretta. Fece ritorno in Francia, dove insegnò qualche tempo a Parigi, poi, passò in Inghilterra e quindi in Germania. Invitato a Venezia dal doge Mocenigo, fu da questi tradito e denunciato. Trasferito a Roma, nel febbraio del 1593, per essere sottoposto al giudizio dell’Inquisizione, rimase rinchiuso sette anni nelle prigioni di Castel Sant’Angelo, dove venne spesso sottoposto a tortura. Lo studio meticoloso delle sue opere da parte di una commissione presieduta dal card. Bellarmino, portò, nel gennaio 1599 all’individuazione di otto capi d’accusa. Nel settembre dello stesso anno fu richiesto al Bruno di abiurare sinceramente e definitivamente dai suoi errori. Dopo lunghe notti insonni, l’ex-frate domenicano che, inutilmente aveva chiesto di poter parlare direttamente al papa, dichiarò di non aver nulla da abiurare. Il 20 gennaio 1600, Clemente VIII ordinava di consegnarlo al braccio secolare per l’esecuzione della condanna a morte. Bruno fu bruciato vivo in Campo dei Fiori, il 17 febbraio 1600.

Oggi noi ricordiamo anche Jiddu Krishnamurti, [non-]maestro del nostro tempo.

Krishnamurti era nato l’11 maggio 1895 a Madanapalle, un piccolo paese vicino Madras, nell’India Meridionale, ottavo di una famiglia di dieci figli. La sua infanzia non presentò tratti particolarmente distintivi rispetto a quella degli altri bambini. La famiglia viveva in condizioni miserevoli, gli insegnanti lo ritenevano un caso problematico per le accentuate difficoltà di apprendimento. In compenso rivelava già da allora quello straordinario altruismo che lo caratterizzerà sempre. Avvicinato dai dirigenti della Società Teosofica (un movimento religioso che credeva nell’avvento imminente di un nuovo messia), Krishnamurti fu inviato in Inghilterra per completare la sua formazione ed essere iniziato alle dottrine esoteriche della Teosofia. Negli anni successivi, tuttavia, egli prese sempre più le distanze dai metodi teosofici, preferendo proseguire il suo cammino da solo. Affermò che la “verità è una terra senza sentieri” e ad essa “non si perviene per un processo evolutivo, ma per una mutazione, un improvviso cambiamento”. Diceva anche: “Voi siete esseri umani, non una nazione o un’istituzione; come esseri umani dovete combattere il potere in voi stessi. Potete infatti ribellarvi contro il potere, e poi esercitarlo sugli altri. Cominciate da voi stessi, diventate responsabili di voi stessi, cercate di scoprire se state usando un potere psicologico con le vostre idee e istituzioni. […] Domandatevi anche se vi sentite legati ad una patria, a un certo colore sulle carte geografiche. Tutte queste cose sono disumane, e, se sono in voi, non raggiungerete la libertà e la verità”. Per quasi sessant’anni Krishnamurti andò per il mondo, per trasmettere, con assoluta semplicità, il suo insegnamento liberatorio. Morì il 17 febbraio 1986 ad Ojai, in California.

I testi che la liturgia del giorno propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap. 58,9b-14; Salmo 86; Vangelo di Luca, cap. 5,27-32.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

È tutto, per stasera. Noi ci congediamo qui, offrendovi in lettura un brano di Jiddu Krishnamurti, tratto dal suo libro “Libertà dal conosciuto” (Ubaldini). Che è, per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Molti di noi hanno paura di morire perché non sanno che cosa voglia dire vivere. Non sappiamo come vivere quindi non sappiamo come morire. Finché avremo paura della vita avremo paura anche della morte. L’uomo che non ha paura della vita non ha paura di essere totalmente insicuro poiché comprende che intimamente, psicologicamente, non esiste sicurezza. Quando non esiste sicurezza c e un movimento senza fine e allora vita e morte sono la stessa cosa. L’uomo che vive senza conflitto, che vive con la bellezza e con l’amore, non ha paura della morte poiché amare è morire. Se monte a tutto ciò che conoscete, inclusa la vostra famiglia, i vostri ricordi, qualsiasi cosa abbiate provato, allora la morte è una purificazione, un processo di ringiovanimento; allora la morte genera innocenza, e solo chi è innocente è appassionato, non la gente che crede o vuole scoprire quello che succede dopo la morte. Per scoprire realmente cosa succede quando monte, bisogna che moriate. Questo non è uno scherzo. Dovete morire ¬ non fisicamente, ma psicologicamente, nel vostro intimo, morire a tutto ciò che avete avuto caro o che vi ha causato dolore. Se morite ad uno dei vostri piaceri, il più piccolo o il più grande, in modo naturale, senza sforzo o discussioni, allora conoscerete cosa vuol dire morire. Morire vuol dire avere una mente completamente vuota di se stessa, vuota dei suoi quotidiani desideri, piaceri, angosce. La morte è un rinnovamento, un mutamento in cui il pensiero non interviene, poiché il pensiero è vecchio; quando c’è morte c’è qualcosa di completamente nuovo. La libertà dal conosciuto è morte, e allora vivete. (Jiddu Krishnamurti, Libertà dal conosciuto).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Febbraio 2024ultima modifica: 2024-02-17T21:33:11+01:00da fraternidade
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