Giorno per giorno – 16 Febbraio 2024

Carissimi,
“Allora gli si accostarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano? E Gesù disse loro: Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno” (Mt 9, 14-15). Stasera, durante la condivisione della Parola, ci chiedevamo perché mai nell’immaginario religioso di tanti credenti finisca per imporsi la figura di un Dio che esige la sofferenza dei suoi fedeli. Non bastassero quelle che ci sono date vuoi dalla natura, con le sue periodiche catastrofi, vuoi dalla storia con i sistemi così spesso disumani che si affermano in essa. Se lo domandva anni fa anche Rubem Alves. Che fu pastore presbiteriano, ma che, dopo l’accusa di condotta sovversiva, all’epoca del regime militare, preferì lasciare la Chiesa, e approfondire lo studio e la pratica di psicoanalisi e pedagogia. Riteneva inquietante questa immagine di un dio sadico che sembra sbavare di piacere davanti alle sofferenze che certi religiosi si impongono pensando così di attirarsi le sue benemerenze. Questo mentre Dio ha creato il mondo come “giardino di delizie” per i suoi figli e figlie. Altro è se il digiuno che ci può essere richiesto sia dovuto al fatto che “lo sposo è stato tolto “, ossia se regna un ordine contrario al desiderio di felicità che Dio nutre per i suoi figli e figlie. Non sarà questo un digiuno volto ad alimentare il nostro orgoglio spirituale, o, più banalmente, a porre rimedio a qualche disfunzione del nostro organismo, ma quello che, per dirla con il profeta Isaia, consiste nel “sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo” e ancora: “Dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, senza tetto, vestire uno che vedi nudo” (Is 58, 6-7). Il che è decisamente più difficile e impegnativo del saltare uno o due pasti, cosa, quest’ultima, che al buon Dio può solo far sorridere. Noi, però, lo vorremmo veder sorridere per altro.

Oggi è memoria di Janani Jakaliya Luwum, pastore e martire in Uganda, e dello starec Isidoro, asceta ed eremita.

Janani Jakaliya Luwum era nato nel 1922 a Mucwini, in Uganda. Da ragazzo era stato pastore del gregge di suo padre, un contadino di recente convertito al cristianesimo. Solo all’età di dieci anni aveva potuto cominciare a frequentare la scuola e lo fece con impegno e profitto, fino a conseguire il diploma di insegnante. Il 6 gennaio 1948, Janani ricevette il battesimo. L’esigenza che sentiva sempre più pressante di evangelizzare, lo portò, dapprima, ad essere catechista e, poi, a decidere di mettersi a tempo pieno al servizio della Chiesa. Ordinato sacerdote nel 1956, alternò soggiorni di studio in Inghilterra al lavoro pastorale e all’insegnamento nell’ Istituto teologico di Bulawasi, finché il 25 gennaio 1956 fu consacrato vescovo dell’Uganda settentrionale. Alla cerimonia erano presenti il presidente della repubblica, Milton Obote, e l’allora Capo di stato maggiore dell’esercito, Idi Amin. Nel 1974, Janani Luwum fu eletto Arcivescovo di Uganda, Rwanda, Burundi and Boga-Zaire. Nel frattempo, nel 1971 il Colonnello Idi Amin aveva rovesciato con un cruento colpo di stato il governo in carica e aveva instaurato una crudele dittatura militare. Migliaia di persone erano state arrestate, imprigionate senza alcun processo e giustiziate. L’arcivescovo Luwum non se ne stette zitto, né allora, né negli anni successivi. L’8 febbraio 1977, lui e quasi tutti i vescovi ugandesi si riunirono e stilarono una dura nota di protesta, in cui si denunciavano gli atti di violenza compiuti dai servizi di sicurezza del regime e si chiedeva un incontro urgente con il dittatore. Il 16 febbraio, gli ecclesiastici furono convocati nella capitale Kampala. Dopo un confronto farsa, che si risolse in una sorta di processo per tradimento ai vescovi presenti, ad uno ad uno, fu ordinato loro di andarsente. Fu trattenuto solo Luwum, che volgendosi al vescovo Festo Kivengere, disse: “Mi uccideranno, ma non ho paura”. Il giorno dopo fu diffusa la notizia che l’arcivescovo con due ministri del governo, cristiani impegnati, erano morti in un incidente d’auto. In seguito si seppe che lo stesso Amin, infuriato per il rifiuto di Luwum a sottoscrivere una confessione, gli aveva sparato a bruciapelo in volto. Era il 16 febbraio 1977.

Ioann (tale il nome alla nascita) era nato, nel 1824 (o, secondo un’altra versione, nel 1833), nel villaggio di Lyskovo, nel distretto di Makar’evo, nel governatorato di Nižegorod (Russia), nella famiglia di Andrey e Paraskeva Kozin, servi della gleba addetti ai servizi domestici alle dipendenze dei principi Gruzinskij. Quando era incinta di lui, la madre si era recata a Sarov, dallo starec Serafim e il santo l’aveva chiamata a sé e le si era prostrato davanti, predicendole che sarebbe nato da lei un grande asceta. Poco o nulla si sa degli anni giovanili di Ioann, salvo il fatto che, assieme ai divertimenti propri dell’età, egli dava spazio a momenti di preghiera e di meditazione. Nel 1852, avendo ormai chiara dentro di sé la vocazione allo stato monastico, chiese e ottenne di entrare nell’eremo del Getsemani, eretto dal metropolita di Mosca, Filarete. Nel 1860 Ioann fu ordinato monaco e prese il nome di Isidoro. Si trasferì allora nell’eremo del Paraclito, destinato agli amanti della solitudine più austera, dove ricevette l’ordinazione a ieromonaco. Lì restò cinque anni, fino a quando, cioè, gli si offrì la possibilità di recarsi nella repubblica monastica del Monte Athos, dove però potè trattenersi solo un anno. Tornato in patria, dopo un breve periodo al Paraclito, fece ritorno all’antico eremiterio, dove visse senza interruzioni, fino alla morte avvenuta alle undici di sera del 16 febbraio (3 febbraio per il calendario giuliano) del 1908. Pavel Florenskij, che fu suo figlio spirituale, nella biografia che gli dedicò, scrisse di lui: “Povertà, salute precaria, sprezzante trascuratezza, ingiurie, persecuzioni: ecco di quali spine si era ricoperto il sentiero della vita dello starec. E tuttavia, pur tra queste spine, egli era riuscito a serbare una tale serenità, una tale gioia, una tale pienezza di vita, quale noi non abbiamo né siamo in grado di conseguire nemmeno nelle condizioni in assoluto più favorevoli”.

I testi che la liturgia del giorno propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap,58, 1-9; Salmo 51; Vangelo di Matteo, cap.9, 14-15.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

Oggi, Dom Pedro Casaldáliga, già e per sempre vescovo-profeta della nostra diocesi-sorella di Sâo Felix do Araguaia, compirebbe (anzi, compie, ai piani alti) 96 anni, essendo nato il 16 febbraio 1928, a Balsareny, provincia di Barcellona. Ne faremo memoria nel giorno della sua pasqua, ma vogliamo ricordarlo anche oggi, con una sua citazione, tratta dal libro di Edson Martins “Nós, do Araguaia”. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Ho già detto che se abbiamo passato quello che abbiamo passato è semplicemente perché abbiamo cercato di entrare nei diritti, nelle aspirazioni e nelle lotte della gente. Che sia chiaro. Sarebbe un’inutile dimostrazione di masochismo se pensassimo e parlassimo delle nostre persecuzioni, delle nostre sofferenze; qui si tratta del popolo. Potete dire ai nostri amici là fuori che possono dubitare di me quanto vogliono. Possono dubitare della mia onestà, della mia carità, del mio equilibrio mentale, ma non della mia fede nella Pasqua. Questo è alla radice dell’anima delle persone, e le mille circostanze che abbiamo vissuto hanno sempre più solidificato questa esperienza di fede e di speranza nella Pasqua di Cristo. La speranza cristiana non ha nulla di passivo. Il contrario del cristianesimo è stare seduti ad aspettare. Chiunque comprenda la risurrezione di Cristo come abbattimento della morte, della schiavitù e del peccato, e come apertura definitiva alla vita nuova, alla libertà e alla giustizia, è destinato a essere un rivoluzionario. Non si può essere cristiani se non si è rivoluzionari. Non si può essere cristiani se non si è utopisti. Non si può essere cristiani se non si è, nel senso migliore del termine, un attivista. (Pedro Casaldáliga, cit. in Edson Martins, Nós, do Araguaia)

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 16 Febbraio 2024ultima modifica: 2024-02-16T21:38:20+01:00da fraternidade
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