Giorno per giorno – 30 Gennaio 2024

Carissimi,
“Molta folla seguiva Gesù e gli si stringeva intorno. Una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita” (Mc 5, 24-28). Il verbo usato dall’evangelista a riguardo della folla è un po’ più forte di quello reso qui dalla traduzione, suona come “schiacciava”, “comprimeva”. Avevamo già trovato qualcosa di simile nel capitolo 3, quando Gesù aveva chiesto che gli mettessero a disposizione una barchetta, per non essere schiacciato dalla folla (cf Mc 3, 9). E questo è più di una nota di cronaca. Non tutti qelli che stanno intorno al Signore sono interessati ad ascoltarlo o, come questa donna, per riceverne l’azione di cura. Interessa loro schiacciarlo, manipolarlo, soffocarne il significato. In prospettiva, eliminarlo. Tra questi molti, nascosta tra loro, c’è, dunque, questa donna, malata da dodici anni, come dire da sempre, che perde sangue, perde vita ad ogni momento che passa, come ogni vita è una malattia ad esito letale. E noi non ci si esime dallo spendere tutto ciò che possiamo e siamo, la nostra stessa esistenza, per sfuggire a questa fatalità. Inutilmente. Finché ci giunge notizia di Gesù e ci rendiamo convinti che se riuscissimo a toccarlo, ne usciremmo salvati (sothésomai è la speranza della donna), che è molto più del semplice guarire (come reca la traduzione). Saremmo, cioè, confermati dall’incontro con Lui, nella scoperta che Dio è sempre e comunque a nostro favore, qualunque cosa ci accada, e che anche quello che poteva apparirci il finale scontato di un’esistenza che va esaurendosi, è smentito già da ora nella sua destinazione, che, contro ogni apparenza, è sotto il segno della vita niente meno che eterna nella comunione con Dio. Di cui, la risurrezione della giovane figlia di Giairo è una pallida anticipazione simbolica. La missione di noi come Chiesa è assumere questa fede e fare di essa l’oggetto della nostra testimonianza.

Oggi è memoria del Mahatma (grande anima) Mohandas Karamchand Gandhi, profeta di pace e martire della nonviolenza. Noi ricordiamo anche P. João Batista Libanio, gesuita, teologo, educatore.

Mohandas Karamchand Gandhi nacque il 2 Ottobre 1869 a Pobandar, città costiera della penisola di Kathiawar, in India. Trascorse l’infanzia in un ambiente familiare agiato. A tredici anni, secondo le regole della propria casta, si sposò, divenendo padre a diciotto anni. Dopo aver compiuto i suoi studi in patria, si recò nel 1888 a Londra, per conseguire l’abilitazione alla professione forense. Restò lì circa tre anni. Tornato per un breve periodo in India, viaggiò alla volta del Sudafrica nel 1893, dove resterà fino al 1915, impegnandosi nella lotta non-violenta contro la discriminazione razziale che là dominava. Tornato in patria, volle in primo luogo dedicarsi al miglioramento morale e spirituale del suo popolo, cominciando da se stesso. A tal fine pronunciò i suoi voti: di assoluta onestà, del divieto di uccidere e della soppressione in sé del desiderio di nuocere o sopraffare chicchessia; di castità e di purezza di vita, di dieta semplice e vegetariana e di perfetta povertà. Nel febbraio 1919, fondò il “Satyagraha Sabhaio”, per combattere la presenza coloniale britannica e conseguire l’indipendenza e l’unità nazionale, con mezzi non-violenti. La sua lotta appassionata fu interrotta ripetutamente da arresti e carcerazioni, ma venne infine coronata da successo quando nel 1947, dopo lunghe trattative l’India ottenne infine l’indipendenza. Gandhi morì a Nuova Delhi, il 30 gennaio 1948, assassinato da un giornalista, Nathuram Godse, per conto del partito Hindu Mahasabha, che respingeva la dottrina gandhiana della nonviolenza e il suo progetto di conciliazione tra indù e musulmani. Venti ore prima del suo assassinio, durante la riunione di preghiera, Gandhi aveva detto: “Prendete nota di questo: se qualcuno dovesse porre fine alla mia vita trapassandomi con una pallottola e io la ricevessi senza un gemito ed esalassi l’ultimo respiro invocando il nome di Dio, allora soltanto giustificherei la mia pretesa”. Di testimoniare la verità della nonviolenza nella costruzione di una civiltà autenticamente umana. Avvenne come aveva desiderato.

Il 30 gennaio 2014 si spegneva, a Curitiba, vittima di un infarto, padre João Batista Libanio, gesuita, teologo tra i maggiori dell’America Latina, nonché maestro e formatore spirituale di molte generazioni. Nato a Belo Horizonte il 19 febbraio 1932, entrò, nel 1948 nel Noviziato dei Gesuiti a Nova Friburgo, dove continuò la sua formazione spirituale e intellettuale con gli studi umanistici, completando i corsi di filosofia e in Lettere Neolatine. Dopo tre anni di servizio pastorale con gli studenti del Collegio Loyola a Belo Horizonte, alla fine del 1958, si trasferì in Europa per compiervi i suoi studi teologici, dapprima in Spagna, poi in Germania, e infine a Roma, all’epoca del Concilio, evento che gli permise di lavorare a stretto contatto con i vescovi di tutto il Brasile, e lo coinvolse profondamente con le problematiche, la ricchezza di idee e le nuove prospettive emerse allora. Rientrato in Brasile nel 1968, si stabilì dapprima a Belo Horizonte, dove esercitò una fruttuosa opera di evangelizzazione tra i giovani, insegnando nel contempo teologia a São Leopoldo e Rio de Janeiro. Attività che, accompagnata da una vasta pubblicistica, durò fino alla morte. La sua riflessione teologica, ispirata ai principi evangelici della Teologia della liberazione, in particolare, l’amore preferenziale per i poveri, lo ha reso uno dei rappresentanti più noti di questa corrente a livello nazionale e internazionale, per la profondità e la luminosità del suo pensiero. La sua produzione ha tuttavia coperto molti altri temi, soprattutto per ciò che riguarda il significato dell’atteggiamento di fede e il campo della spiritualità e della formazione giovanile.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
2° Libro di Samuele, cap. 18,9-10.14.24-25.30;19,1-4; Salmo 86; Vangelo di Marco, cap. 5,21-43.

La preghiera del martedì è in comunione comn le religioni tradizionali africane.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, lasciandovi ad una breve ma davvero impegnativa citazione del Mahatma Gandhi, tratta dalla raccolta di suoi pensieri e scritti, edita lì da voi con il titolo “Antiche come le montagne” (Edizioni di Comunità). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La resistenza passiva è il metodo di salvaguardare i diritti mediante la sofferenza personale; è l’opposto della resistenza armata. Quando rifìuto di fare una cosa che ripugna alla mia coscienza, uso la forza dell’anima. Per esempio, il governo del giorno ha approvato una legge che è applicabile a me. Essa non mi piace. Se usando la violenza costringo il governo ad abrogare la legge, uso quella che si potrebbe chiamare la forza del corpo. Se non ubbidisco alla legge e accetto la pena di questa infrazione, uso la forza dell’anima. Ciò comporta un sacrificio personale. Tutti ammettono che il sacrificio personale infinitamente superiore al sacrificio degli altri. Inoltre, se questo tipo di forza è usato in una causa ingiusta, soffre soltanto la persona che la usa; e non fa soffrire gli altri per i propri errori. In passato gli uomini hanno fatto molte cose che in seguito si rivelarono sbagliate. Nessuno può pretendere di essere assolutamente dalla parte della ragione, o che una data cosa è sbagliata perché egli la considera tale, ma è sbagliata, per lui, in rapporto al suo ponderato giudizio. È perciò conveniente che egli faccia quello che crede essere sbagliato e ne sopporti le conseguenze quali che siano. Questa è la chiave dell’uso della forza spirituale. (Gandhi, Antiche come le montagne).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 30 Gennaio 2024ultima modifica: 2024-01-30T21:40:25+01:00da fraternidade
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