Giorno per giorno – 28 Gennaio 2024

Carissimi,
“Allora un uomo che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a gridare: Che c’entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il santo di Dio. E Gesù lo sgridò: Taci! Esci da quell’uomo. E lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui” (Mc 1, 23-26). Padre José, in apertura di omelia, suggeriva, stamattina, di non tirarci fuori troppo in fretta dalla situazione di quell’uomo, che potrebbe riguardarci da vicino, pur senza le tinte vivaci dell’episodio narrato da Marco. A farcelo sapere saremo noi stessi se con onestà guardiamo a quale sia il motore delle nostre azioni, il principio da cui ci lasciamo determinare. Noi si può anche stare tranquillamente in chiesa a recitare il nostro Credo, che attesta tutte le verità in cui diciamo di credere e che culmina con il nostro Amen. Ma quale sia davvero il nostro amen, la verità su cui poggia la nostra vita e in cui abbiamo posto la nostra fiducia (significato a cui rimanda la parola amen), lo sappiamo una volta che siamo usciti di chiesa. È nel nostro vivere quotidiano che stabiliamo se Gesù c’entri davvero con noi, o se, pur senza dirlo, lo percepiamo come colui che mette a repentaglio le nostre quand’anche poche sicurezze. Quel che è certo è che egli è venuto, sì, per la rovina, ma anche per la risurrezione di molti. Per la rovina del nostro essere prigioniero della menzogna delle origini a riguardo di Dio e del significato della vita, risurrezione per il nostro essere restituito alla nostra verità di figli dell’unico Padre e di fratelli e sorelle tra di noi, legati da un vincolo di solidarietà, che ci immette nella dimensione di quell’amore trinitario, che è come il dna della nostra umanità. Stando al racconto, il processo di umanizzazione secondo il piano di Dio non è indolore, esige rinunce e lotte, e a Gesù costerà la croce. Ma, assecondandolo, si scoprirà ogni volta che ne sarà valsa la pena.

I testi che la liturgia di questa IV Domenica del Tempo comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Deuteronomio, cap. 18,15-20; Salmo 95; 1ª Lettera ai Corinzi, cap.7, 32-35; Vangelo di Marco, cap.1, 21-28.

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le chiese e comunità cristiane.

Due sono le memorie di oggi, per la prima delle quali confessiamo di nutrire un vero e proprio debole, a causa della simpatia del personaggio. Si tratta di Rabbi Sússja di Hanipol, mistico ebreo e folle di Dio, che ricordiamo con Tommaso d’Aquino, frate domenicano, teologo e dottore della Chiesa.

Meshulam Sussja era nato nel 1718 nei pressi di Tarnow, in Galizia (nell’attuale Polonia). Discepolo di Rabbi Dov Bär, il grande Magghid (predicatore) di Mesritsch e fratello di Rabbi Elimelech di Lisensk, fu uno dei primi maestri del chassidismo. Raccontano che, nonostante frequentasse volonterosamente le lezioni del Magghid, non riuscì mai a seguirne una, perché quando il Maestro prendeva il passo della Scrittura che intendeva commentare e cominciava con le parole: “E Dio disse”, Sussja era subito rapito fuori di sé e cominciava a muoversi e a saltare così selvaggiamente che bisognava condurlo fuori dall’aula, calmandosi solo quando la lezione giungeva alla fine. Tanta era la passione per il solo nome di Dio. Fu sempre uomo semplice, modesto e pieno di misericordia con tutti. Alla morte del Magghid, fu ad abitare ad Hanipol, dove una cerchia di discepoli si riunì intorno a lui. La comunità si ampli1ò, quando, alla morte del fratello Elimelech, molti dei discepoli di quest’ultimo lo scelsero come loro rabbi. Alla sua morte, i due figli gli successero come maestri chassidici. I suoi insegnamenti sono raccolti nel Menorat Zahav. Lasciò detto: “Nel mondo a venire non mi si chiederà: Perché non sei stato Mosé o Abramo?. Mi si chiederà: ‘Perché non sei stato Sussja?”. A significare l’irripetibilità della vocazione a cui ciascuno di noi è chiamato. Morì il 28 gennaio 1800 (2 shevat 5560 per il calendario ebraico). Sulla sua tomba furono scritte queste parole: “Uno che servì Dio in amore, che si rallegrò delle sofferenze, che strappò molti al peccato”.

Tommaso nacque sul finire del 1225, nel castello di Roccasecca, nella famiglia del conte d’Aquino. Dopo la prima formazione alla scuola dei benedettini di Montecassino, all’età di 18 anni, nonostante l’opposizione della famiglia, entrò nell’ordine dei Predicatori. Completò la sua formazione a Colonia, alla scuola di Alberto Magno, e, successivamente, a Parigi, dove divenne docente di filosofia e teologia. Scrittore e predicatore fecondo, scrisse oltre venti tomi ponderosi, dallo stile brillante, profondità di argomentazione, chiarezza di pensiero. La sua opera più celebre resta la sua Summa Theologiae. Morì il 7 marzo 1274, nel monastero cistercense di Fossanova, mentre si stava recando al concilio di Lione, convocato dal papa Gregorio X. Tre mesi prima di morire, nel 1273, aveva avuto un’esperienza mistica, dopo la quale non scrisse più nulla, confessando che tutto ciò che aveva scritto era solo paglia rispetto a ciò che gli era stato rivelato in quell’occasione.

Dal 2009, qui in Brasile, si celebra oggi la Giornata Nazionale di Lotta contro il Lavoro schiavo. La data fu scelta, a ricordo, di quattro funzionari del Ministero del Lavoro, assassinati nel 2004, mentre appuravano una denuncia di lavoro schiavo nella zona rurale di Unaí, in Minas Gerais. In Brasile questo attacco alla dignità della persona conta ancora migliaia di vittime. Secondo indagini dell’Osservatorio sociale, negli ultimi quindici anni sono state sottratte a questa condizione più di 38.000 persone in diverse regioni del Brasile. Si stima che ogni anno vengano immesse nel ciclo di lavoro schiavo qualcosa come 25.000 persone. Tre fattori contribuiscono direttamente al perdurare di questo drammatico fenomeno: avidità, povertà, impunità. In Brasile, nel 2019, il numero di denunce di lavoro e di mercato schiavo è aumentato. I dati ufficiali, che fotografano solo una piccolissima parte della realtà, registrano 1.213 casi, contro i 1127 del 2018. Con il ritorno di Lula al governo, dopo la tragica esperienza della presidenza di Bolsonaro, si spera in un drastico ridimensionamento del fenomeno.

È tutto. Noi ci congediamo qui, lasciandovi a un’aneddoto che ha per protagonista il nostro Rabbi Sussja. Lo troviamo in rete ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Una volta un uomo si recò dal santo Maggid di Mezeritch e gli disse che aveva grandi difficoltà ad applicare il detto talmudico secondo cui “Una persona dovrebbe benedire Dio per il male così come lo benedice per il bene”. Il Maggid gli disse di andare a cercare il suo discepolo, Rabbi Sussja di Hanipoli, e di chiederglielo. L’uomo lo trovò. Rabbi Sussja lo accolse amichevolmente e lo invitò a casa sua. Quando l’ospite entrò, vide quanto fosse povera la famiglia, non c’era quasi nulla da mangiare, erano afflitti da malattie e afflizioni. Tuttavia, Rabbi Sussja era sempre felice e allegro. L’ospite rimase stupito da questa immagine. Disse: “Sono andato dal Santo Maggid per chiedergli come sia possibile benedire Dio per il male che ci manda nello stesso modo in cui lo benediciamo per il bene, e il Maggid mi ha detto che solo tu puoi aiutarmi in questa faccenda”. Rabbi Sussja rispose: “Questa è davvero una domanda molto interessante. Ma perché il nostro Santo Rebbe ti ha mandato da me? Come faccio a saperlo? Avrebbe dovuto mandarti da qualcuno che ha sperimentato la sofferenza”. (Stories about Rabbi Zusha of Hanipol).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 28 Gennaio 2024ultima modifica: 2024-01-28T21:36:24+01:00da fraternidade
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