Giorno per giorno – 23 Gennaio 2024

Carissimi,
“Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, Gesù disse: Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre” (Mc 3, 34-35). L’inizio di questo vangelo lo troviamo nel v. 21 di questo stesso capitolo. Lo abbiamo letto sabato scorso e raccontava come i famigliari di Gesù si presero la briga di coprire i cinquanta chilometri di distanza che separano Nazareth da Cafarnao, per andarselo a riprendere, perché dicevano: è diventato matto. La diagnosi a cui erano giunti trovava le sue ragioni nel fatto che egli non aveva più tempo per sé, neppure per mangiare, preso com’era a servire quanti, nel bisogno, accorrevano a lui. Questo sprecarsi di Gesù a favore degli altri, che suscita l’apprensione dei suoi, è già segno di quella “idiozia”, per dirla con le parole di Paolo (cf 1Cor 1, 23), che culminerà nella croce. Ciò che ritenevano i famigliari di Gesù, che restano così “fuori” della cerchia di chi lo ascolta, è vero spesso anche per noi che, con tanto di certificato di battesimo, ci riteniamo in diritto di passare per sua famiglia. Non lo si è automaticamente, né per legami di sangue, né per attestati della burocrazia ecclesiastica, né, tanto meno, per tradizioni famigliari o per appartenere a nazioni che (anche se sempre più tiepidamente) ne vantino – ma già si scade nell’ideologia – il titolo. Famiglia di Gesù, lo si è facendo la volontà di Dio. Del resto lo stesso Gesù si identifica come Figlio per il fatto di compiere il volere del Padre (cf Gv 6, 38), nel far sì che nessuno si perda, ma che tutti abbiano vita e vita in abbondanza. Da qui, anche per noi, non si scappa.

Il calendario ci porta la memoria di Nikolaus Gross, martire sotto il totalitarismo nazista, e quelle di Benedetta Bianchi Porro e di Pierre Lyonnet, gesuita, entrambi testimoni seri e gioiosi sull’altare della sofferenza.

Nikolaus Gross era nato il 30 settembre 1898 a Niederweningern, nei pressi della città di Essen, in Germania, nella famiglia di un minatore. Costretto ad abbandonare gli studi, cominciò a lavorare giovanissimo in un laminatoio, poi come manovale e successivamente come minatore in una miniera di carbone, dove per cinque anni svolse il suo lavoro in galleria. Nel 1917 entrò a far parte del Gewerkverein christlicher Bergarbeiter, l’associazione sindacale dei minatori cristiani. Da allora, oltre che al lavoro e agli studi che aveva ripreso, gran parte del suo impegno fu profuso nell’attività sindacale e nella militanza politica, in tempi che si profilavano tempestosi. Sposatosi con Elisabeth Koch, ebbe da lei sette figli. All’inizio del 1927 divenne aiuto redattore, e poi capo-redattore del Westdeutsche Arbeiterzeitung, l’organo del Katholische Arbeitnehmer Bewegung, l’Associazione dei minatori cattolici, a cui Gross aveva aderito nel 1919. Nel 1929, all’affacciarsi del nazismo sulla scena politica, prese subito coscienza del pericolo che esso rappresentava e scrisse che “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini e la disobbedienza diventa un dovere quando ci si domanda qualcosa contro Dio o contro la fede”. Nel 1930, scriverà: “come lavoratori cristiani, rigettiamo il nazismo definitivamente, risolutamente e chiaramente”. Inevitabile che il suo giornale, alla presa del potere da parte di Hitler, fosse dichiarato nemico dello stato e, in seguito soppresso. Gross continuò tuttavia le sue attività come membro di una rete di resistenza, facendo opera di diffusione tra gli operai di pubblicazioni che richiamavano i valori del Vangelo e la responsabilità che deriva dalla fede. Accusato di coinvolgimento nell’attentato a Hitler del 20 luglio 1944, all’organizzazione ed esecuzione del quale non aveva per altro, partecipato direttamente, fu arrestato tre settimane più tardi, rinchiuso a Ravensbrück, e poi nel carcere di Tegel, a Berlino. Condannato a morte il 15 gennaio 1945, per tradimento, fu impiccato nella prigione di Plötzensee, il 23 gennaio. Il suo corpo fu bruciato e le sue ceneri disperse. Nel 1943 aveva scritto: “La maggior parte delle grandi prestazioni nasce dall’adempimento giornaliero del dovere nelle piccole cose quotidiane. E nel far questo il nostro amore va sempre ai poveri e agli ammalati in modo speciale”.

Benedetta Bianchi Porro era nata l’ 8 agosto 1936, a Dovadola, in provincia di Forlì, secondogenita della famiglia di Guido Bianchi Porro e di Elsa Giammarchi. Colpita a pochi mesi da poliomielite, che le lascerà una gamba un po’ più corta dell’altra, Benedetta visse la sua infanzia, allegramente e senza complessi, “bambina sensibile e delicata, intelligente e volitiva”, studiando prima a Forlì e, successivamente a Desenzano, quando la famiglia, nel 1951 si trasferì a Sirmione. Nel frattempo si erano però manifestati i primi sintomi di una sordità progressiva, che non gli impedirono tuttavia di dedicarsi brillantemente agli studi, ma anche agli interessi e svaghi della sua età: il pianoforte, le nuotate nel lago, le gite in barca, i giochi e gli scherzi. Nel 1953, terminata il secondo liceo, sostenne e superò gli esami di maturità, iscrivendosi così, a soli diciassette anni, alla facoltà di medicina dell’Università di Milano. Già l’anno successivo, tuttavia, cominciarono a manifestarsi i sintomi della malattia che, diagnosticata nel 1957 come neurofibromatosi diffusa, l’avrebbe portata alla morte, lungo “un calvario indicibile, in cui […] si alternarono momenti di sconforto e straordinari slanci di entusiasmo di fronte ai doni dell’amicizia, alle bellezze del creato, alla percezione sempre più intensa della vicinanza di Dio”. A partire dal 1963, sorda, paralizzata e cieca, Benedetta potè comunicare con gli altri solo attraverso un filo di voce e le dita della mano destra, che gli venivano premute sul corpo e sul volto secondo un alfabeto muto convenzionale. E le sue comunicazioni erano spesso messaggi di conforto e di speranza dirette a coloro di cui veniva a conoscere dolore, sofferenza, disperazione. La mattina del 23 gennaio 1964, Benedetta chiese alla madre che le leggesse l’ultima pagina della Storia di un’Anima di Teresa di Lisieux. E lei gliela lesse “attraverso le dita”. Più tardi, stringendo la mano alla madre e all’infermiera, disse: “Grazie”. E si spense. È stata beatificata il 14 settembre 2019 da papa Francesco.

Del gesuita Pierre Lyonnet, nato in Francia nel 1906, sappiamo solo poche cose. Ma ci bastano. Gravemente malato fin dagli anni del suo noviziato, fu ordinato prete nel 1937. Chi lo conobbe ricorda che “egli frequentava quasi sempre soltanto povera gente, coloro che non avevano nulla o che non si stupivano di nulla. Erano i poveri i suoi veri amici. Erano sempre sulla sua bocca. Così, quando egli si accingeva a predicare, tutti sapevano che avrebbe parlato dei Poveri. La terribile notte che precedette la sua morte, agitato ed immerso in un bagno di sudore, pur privo di forze, ad un certo punto si voltò bruscamente verso coloro che lo assistevano dicendo: “Su, facciamo cinque minuti di ricreazione… parliamo un po’ dei Poveri”. Era solo questo che poteva farlo riposare: parlare dei poveri, essere in mezzo ai poveri, fra tutti coloro che si trovavano nel bisogno: o perchè privi di cibo o di riscaldamento, o perchè ammalati, o perchè abbandonati da tutti, o perchè disperati. Era spietato, invece, con la durezza di cuore e con tutto quanto dimostrava ostinazione, indifferenza, sclerosi, impermeabilità. Allora le sue collere erano terribili. Aveva una spaventosa avversione al denaro, per esso concepiva una specie di odio: egli capiva che il denaro è il grande ostacolo dell’Amore, il grande artefice dell’insensibilità, dell’indurimento dei cuori”. Alternò a lunghi soggiorni in clinica il suo servizio presso lo studentato di Fourvière e nel 1939 presso il collegio di Saint Etienne, a Lione, dove morì il 23 gennaio 1949. Sul letto di morte confesserà di “non aver vissuto, in dieci anni, un ora sola senza sentire atroci dolori”. Conserviamo di lui testi di intensa spiritualità. Come questo, davanti al Crocifisso: “Ora, Signore, non prego più: ti invito ad ammirarmi. No, mio Dio, non vi sono ricchezze in me che tu non ve le abbia poste, nessuna virtù che non sia dalla tua grazia. Custodiscimi umile e forse allora saprò pregare anche nel momento della grande tentazione che è la sofferenza”.

Bene, i testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
2° Libro di Samuele, cap.6,12b-15.17-19; Salmo 24; Vangelo di Marco, cap.3, 31-35.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali africane.

Ed è tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione di Pierre Lyonnet, tratta dai suoi “Écrits spirituels”. Ed è questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Non analizzarti, non discutere, vai da Dio, prega, tutto si calmerà e le cose torneranno alla loro giusta proporzione. L’anno è stato un anno negativo dal punto di vista spirituale. Forse; poco importa. Va’ con umiltà da Dio e digli che il povero bene che è rimasto in te è opera sua. Siamo tutti poveri peccatori, ed è per i peccatori che GESÙ Cristo è venuto, per coloro che riconoscono di essere poveri peccatori e non ne hanno mai preso pigramente la loro parte. Lasciati prendere completamente da Cristo, vivi con Lui, pensa come Lui, agisci nel suo amore e dimentica te stesso. (Pierre Lyonnet, s.j., Écrits spirituels).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Gennaio 2024ultima modifica: 2024-01-23T21:53:33+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo