Giorno per giorno – 21 Gennaio 2023

Carissimi,
“Passando lungo il mare della Galilea, Gesù vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini. E subito, lasciate le reti, lo seguirono” (Mc 1, 16-18). Non c’è altro da attendere, il regno di Dio é qui, nella persona che l’annuncia, c’è solo da credergli e mettersi a seguirlo. Non è possibile chiedergli: per dove si va? Il cammino lo dirà, ma solo alla fine: “Caminante, no hay camino, se hace camino al andar”, come diceva il poeta andaluso Antonio Machado, “Viandante, non esiste un cammino, il cammino si fa camminando”. E sarà ogni volta nuovo, alla luce della situazione, in compagnia di Lui. Stamattina, padre José, diceva che, è vero, non tutti siamo stati, o siamo, così pronti nel seguire la chiamata di Gesù, né per tutti è stata da subito così categorica. Se, però, ci ritroviamo qui, è perché non abbiamo seguito un progetto ideologico, già bell’e pronto, e, quel che sarebbe peggio, un progetto anche solo metaforicamente armato contro gli altri, come si è visto qui in tempi recenti con intere assemblee cristiane che facevano con le mani il segno delle armi in appoggio al candidato presidenziale di estrema destra. Abbiamo invece incontrato e seguitoappassionati la persona di Gesù, che chiama sempre e soltanto ad essere pescatori di uomini. Non nel senso di cercare chi abbocchi alla nostra predicazione, ma nel senso di riscattare chi è in pericolo e rischia di affogare. Ed essere così, con le nostre vite, vangelo, la buona notizia che è Gesù (Dio-salva).

Le letture proposte dalla liturgia di questa 3ª Domenica del Tempo Comune sono tratte da:
Libro di Giona, cap.3, 1-5.10; Salmo 25; 1ª Lettera ai Corinzi, cap.7, 29-31; Vangelo di Marco, cap.1, 14-20.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le Comunità e Chiese cristiane.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Agnese, martire a Roma, di Massimo il Confessore, e di Mons. Gerardo Valencia Cano, pastore, profeta e martire della liberazione dei poveri in Colombia.

Dodicenne romana del III secolo, allo scoppio di una delle numerose persecuzioni contro i cristiani, nonostante la defezione di molti fedeli, Agnese seppe restare fedele a Cristo, rifiutandosi di sacrificare agli idoli e di cedere alle voglie del potente di turno. La memoria del suo martirio è molto antica: già nel 354 se ne celebrava l’anniversario presso la sua tomba, sulla Via Nomentana.

Massimo era nato a Costantinopoli da una ricca famiglia, verso il 580. Per qualche anno fu segretario dell’Imperatore Eraclio ma, assai presto, nel 613, lasciò la vita di corte per farsi monaco nel monastero di Crisopoli (Scutari). Nel 624 la minaccia persiana che incombeva sui territori imperiali lo costrinse ad abbandonare il monastero e a trasferirsi a Creta, poi a Cipro e, in seguito, nei pressi di Cartagine, in Africa. Scrisse numerose opere sulla preghiera, la carità e l’ascesi e, a partire dal 634, s’impegnò nella lotta contro le eresie monofisite e monotelite. Dopo la conquista araba dell’Africa, Massimo si spostò in Magna Grecia e, nel 646, a Roma. In quest’epoca entrò in polemica con il giovanissimo imperatore Costante II che, per risolvere le annose diatribe teologiche, che dividevano la cristianità e minacciavano l’unità dell’impero, aveva emesso un editto, Typos – Regola di Fede, con cui proibiva ai cristiani di parlare dell’unica o della duplice volontà di Cristo. Che, a dire il vero, la maggior parte dei cristiani, neppure sapeva di cosa si trattasse. Ma, era comunque roba seria. Fu convocato in Laterano un sinodo, che fece sue le posizioni espresse in materia da Massimo e dal papa Martino, e non mancò di criticare le disposizioni dell’ Imperatore. Mal gliene colse a tutti e due. Costante II li fece infatti arrestare e deportare entrambi. Non solo, ma, in un successivo processo, a Massimo e a due suoi discepoli, Anastasio monaco e Anastasio apocrisario, per lo stesso motivo, fu tagliata la lingua e amputata la mano destra. Massimo morì in esilio, sul mar Nero, nel 662.

Gerardo Valencia Cano era nato, il 26 Agosto 1917, nella famiglia di dieci figli di Maria Cano Tobón e Juan de Dios Valencia Osorio, a Santo Domingo, municipio del Dipartimento di Antioquia (Colombia), dove la coppia possedeva una fattoria, gestendo contemporaneamente un esercizio commerciale in città. Negli anni 30, lui e il fratello Felix entrarono nel seminario dei Missionari Saveriani di Yarumal (MXY). Dopo un’interruzione forzata negli studi, dovuta alla malattia della madre, e alle sopraggiunte difficoltà economiche della famiglia, che lo portarono a lavorare nella fattoria dei nonni, per farvi in qualche maniera fronte, tornò nel seminario di Medellin, dove fu ordinato prete il 29 novembre 1942. Nel luglio 1949 fu nominato prefetto apostolico di Mitú, in Vaupés, una delle regioni più povere e abbandonate della Colombia, abitata prevalentemente da tribù autoctone, sottoposte in quegli anni agli arbitri e alle violenze dei coloni bianchi, che vi si infiltravano per saccheggiarne le ricchezze naturali. Nel 1953, a soli 36 anni, Pio XII lo nominò primo vescovo del Vicariato apostolico di Buenaventura, un territorio ad alta presenza di afrodiscendenti, oggetto di pesanti, persistenti, discriminazioni, e primo porto della Colombia. A questo popolo, volto e sembiante di Cristo, mons. Gerardo Cano si consacrò totalmente, come prete, pastore e cristiano, in tutti gli anno del suo servizio episcopale. Sviluppò una pastorale che coinvolgeva preti, religiosi e laici, organizzò le prime comunità di base che, oltre ad animare la vita delle parrocchie, promuovevano la maturazione della fede, la coscienza dei diritti, la denuncia dell’ingiustizia, la crescita dell’azione solidale tra i settori più poveri ed emarginati della popolazione. Partecipò a tutte le sessioni del Concilio Vaticano II. In patria, il suo appoggio, pur non esente da critiche, al variegato movimento dei preti di Golconda, gli procurò, come prevedibile, sulla stampa di destra del suo paese, l’appellativo di “vescovo rosso”, nonché la fama di “sovversivo” e “comunista”. Morì in un incidente aereo che nessuno investigò, il 21 gennaio 1972.

È tutto anche per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione tratta da una delle “”Lettere” di Massimo il Confessore, che troviamo in rete. Ed è per oggi il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Dio è quel padre affettuoso, che accoglie il figliol prodigo, si china su di lui, è sensibile al suo pentimento, lo abbraccia, lo riveste di nuovo con gli ornamenti della sua paterna gloria e non gli rimprovera nulla di quanto ha commesso. Richiama all’ovile la pecorella che si era allontanata dalle cento pecore di Dio. Dopo averla trovata che vagava sui colli e sui monti, non la riconduce all’ovile a forza di spintoni e urla minacciose, ma se la pone sulle spalle e la restituisce incolume al resto del gregge con tenerezza e amore. Dice: Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed io vi darò riposo (cf Mt 11, 28). E ancora: “Prendete il mio giogo sopra di voi” (Mt 11, 29). Il giogo sono i comandamenti o la vita vissuta secondo i precetti evangelici. Riguardo al peso poi, forse pesante e molesto al penitente, soggiunge: “Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11, 30). Insegnandoci la giustizia e la bontà di Dio, ci comanda: Siate santi, siate perfetti, siate misericordiosi come il Padre vostro celeste (cf Lc 6, 36); “Perdonate e vi sarà perdonato” (Lc 6, 37) e ancora: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Mt 7, 12). (Massimo il Confessore, Lettere, Lett.11).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 21 Gennaio 2023ultima modifica: 2024-01-21T21:50:55+01:00da fraternidade
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