Giorno per giorno – 16 Gennaio 2024

Carissimi,
“Di sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli, mentre camminavano, si misero a cogliere le spighe. I farisei gli dicevano: Guarda! Perché fanno in giorno di sabato quello che non è lecito?” (Mc 2, 23-24). A conclusione del Pirqei Avot, un trattato del Talmud, i Rabbini decisero di porre, benché non ne facesse originariamente parte, la seguente massima: “Rabbi Chananjà, figlio di ‘Aqashja` dice: Il Santo – sia benedetto – ha voluto attribuire dei meriti a Israele. Per questo ha dato loro la Torà e ha moltiplicato i precetti, come è detto: ‘Al Signore è piaciuto, per la sua giustificazione, che la Torà fosse grande e maestosa’ (Is 42, 21)”. Onore e onere di Israele, i precetti, che in seguito furono catalogati in una ingegnosa lista che ne identificava 248 positivi, di cose da compiere (tanti quanti si pensava fossero le ossa del corpo umano) e 365 negativi, di cose da non fare (tanti quanti i giorni dell’anno). A signficare che, nella pratica della Legge, dobbiamo impegnarci con tutto noi stessi e sempre. Ebbene, tra questi precetti c’è la proibizione di lavorare, e perché non sussistesse alcun dubbio in merito, i rabbini hanno identificato 39 attività riferite a tale divieto. Tra esse, per sfortuna dei discepoli di Gesù, c’è la proibizione di trebbiare, che consiste nel separare le cariosssidi del grano dalle spighe. Che è quanto, nel loro piccolo, stavano innocentemente facendo, vinti dall’appetito, i discepoli. E non sia mai detto! Il drappello di religiosi, di cui sempre il vangelo ci dà notizia, eccolo lì di nuovo a segnalare la trasgressione. E Gesù a replicare pazientemente che ben venga la trasgressione, se è per affermare un principio maggiore. E cita l’episodio in cui Davide, per saziare la fame sua e dei suoi compagni mangiò dei pani dell’offerta di cui solo i sacerdoti possono cibarsi. Insomma, sarebbe come se oggi si distribuissero ostie consacrate per alimentare qualche affamato che si affacciasse alla porta della chiesa. Dato che ogni legge deve essere in funzione della vita dell’uomo, non per sacrificarla. Compresa la legge del Sabato. Si trattasse anche di soddisfare un semplice appetito. Grandioso Gesù!

Oggi il calendario ci porta le memorie di Roberto de Nobili, missionario e sannyasi gesuita, e di Achaan Chah, monaco e maestro buddhista.

Roberto de Nobili era nato nel 1577 a Montepulciano, in Toscana, ed era entrato ventenne nella Compagnia di Gesù, a Napoli. Terminati gli studi, nell’ottobre 1604, partì come missionario alla volta dell’India, sbarcando nella città di Goa, il 20 maggio 1605. Ben presto, il missionario si rese conto della diffidenza e dell’ostilità che circondava l’azione dei missionari europei, sommariamente identificati come agenti della penetrazione coloniale. Sulla falsariga di quanto aveva compiuto, in Cina, il suo confratello Matteo Ricci (1552-1610), de Nobili fece sua la sfida dell’inculturazione del messaggio cristiano. Recatosi nella citta di Madurai, studiò le lingue tamil, telugu e sanscrito, fino a dominarle completamente e prese poi ad approfondire la cultura e la religione hindu, guadagnandosi via via il rispetto e la considerazione dei bramini locali. Col permesso dei superiori, lasciò la tonaca nera per vestire la tunica rosso-ocra dei santoni hindu; prese ad abitare in una semplice capanna e adottò la dieta semplice e vegetariana, caratteristica del luogo. Ma, più ancora, smise di ricorrere a concetti e terminologia mutuati dalla filosofia greca, per assumere quelli della filosofia e religione indiane. Questo non mancò di procurargli qualche fastidio e perfino qualche fulmine ecclesiastico di troppo. Ma, tutto è bene quel che finisce bene, e il nostro con ostinazione profetica, non si lasciò intimorire. Appellatosi a Roma, si vide resa giustizia dal papa Gregorio XV, nel 1621. Scrisse numerosi trattati in tamil, telegu e sanscrito. Dopo una vita spesa nella preghiera, nello studio e nel dialogo, de Nobili morì quasi cieco, a Mylapore, il 16 gennaio 1656. Tre anni dopo la sua morte, l’ufficio di Propaganda Fide richiamava in qualche modo l’esperienza del gesuita, affermando senza ambiguità che i missionari europei non dovevano portarsi appresso i bagagli culturali di Francia, Spagna o Italia o di qualsivoglia altra parte d’Europa, ma solo la Fede, che non rifiuta, né intende pregiudicare, riti e costumi delle popolazioni evangelizzate.

Achaan Chah nacque il 17 giugno 1918, in una famiglia agiata di un villaggio agricolo, nella Tailandia nordorientale. Novizio all’età di nove anni, ricevette l’ordinazione monastica a vent’anni, decidendo così di seguire l’austera vita dei monaci della foresta, nell’ambito della tradizione buddhista therevada. Un influsso indelebile ebbe sulla sua vocazione la figura di Achaan Mun, che lo guidò sulla via della meditazione. Divenuto lui stesso maestro di meditazione, nel 1954 si stabilì in un bosco nei pressi della città natale, dove diede vita al Wat Pah Pong, il primo monastero della foresta, da cui sarebbero sorti negli anni successivi altri ottanta monasteri simili, sparsi in tutta la Tailandia. Spese la vita nella povertà, insegnando a combattere l’avidità, l’avversione, l’illusione, con pazienza e perseveranza. Achaan Chah morì il 16 gennaio 1992 in seguito ad una lunga malattia. Un milione di persone, giunte da tutto il paese, seguì i suoi funerali.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1° Libro di Samuele, cap. 16, 1-13; Salmo 89; Vangelo di Marco, cap.2, 23-28.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali dell’Africa Nera.

Bene, noi ci si congeda qui, lasciandovi ad un insegnamento di Achaah Chah, tratto da un suo scritto che troviamo in rete con il titolo “Una pace incrollabile” e che, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il principio essenziale del Buddhismo è vuoto di ogni fenomeno. Non dipende da miracolosi poteri psichici, capacità paranormali o altre cose strane o mistiche. Il Buddha non dette importanza a queste cose. Questi poteri esistono ed è possibile svilupparli, ma questa parte del Dhamma è ingannevole, e per tale motivo il Buddha non le dette importanza e non la incoraggiò. Egli lodò soltanto coloro che erano stati in grado di liberarsi dalla sofferenza. Tuttavia ci vuole esercizio; gli strumenti e l’attrezzatura per compiere il lavoro sono generosità, virtù, samadhi (l’energia mentale focalizzata nella concentrazione meditativa) e saggezza. Dobbiamo usarli per esercitarci bene. Combinati formano il Sentiero che porta verso l’interiorità, e la saggezza è il primo passo. Questo Sentiero non può progredire se la mente è incrostata di contaminazioni, ma se siamo intrepidi e forti, il Sentiero eliminerà queste impurità. Però se sono gli inquinanti ad essere intrepidi e forti distruggeranno il Sentiero. La pratica del Dhamma semplicemente implica una incessante battaglia tra queste due forze, fino a che si raggiungerà la fine del cammino. Esse sono impegnate in una strenua lotta fino alla fine. (Ajahn Chah, Una pace incrollabile).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 16 Gennaio 2024ultima modifica: 2024-01-16T22:25:16+01:00da fraternidade
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