Giorno per giorno – 14 Gennaio 2024

Carissimi,
“Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: Ecco l’agnello di Dio! E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: Che cercate? Gli risposero: Rabbì, dove abiti?” (Gv 1, 35-38). Oggi, il vangelo era sulla chiamata dei primi discepoli. E poi lungo, il tempo, di ogni altro discepolo. Il giorno prima, dell’agnello di Dio, aveva specificato “che toglie il peccato del mondo”. Il peccato che è all’origine di ogni altro peccato, quello che spinge l’Adamo che è in noi a scegliere di cibarsi dell’albero della conoscenza del bene e del male, che, chissà perché, spesso insegnano essere stato il sesso (che invece è una benedizione di Dio). Sarà forse perché, dopo essersene cibati, si legge che i due protagonisti del racconto si scoprirono nudi, ma questa è solo di una metafora per dire il desiderio frustrato di essere come dio, immaginato come potere, e di figurarsi così la vita, eterna competizione in vista del dominio sugli altri. È questo il peccato di cui l’agnello-servo di Dio è venuto a liberarci, restituendoci la vera immagine di Dio, come incessante dono di sé per la vita del mondo. Il Dio mite, umile, povero, compagno e amico dell’umanità (e perciò anche la vita), di cui, dalle origini, sentiamo segreto desiderio e nostalgia. Giovanni l’addita a due dei suoi discepoli e a questi non par vero di poterlo seguire. “ Che cercate”, chiede loro Gesù. E lo chiede a ognuno di noi. Cosa cerchiamo davvero nella nostra vita, nelle relazioni che instauriamo, nelle amicizie che coltiviamo, nelle scelte esistenziali, religiose, politiche, economiche che compiamo? Ci lasciamo guidare ancora dalla logica del peccato, che mira a fare di tutto e di tutti strumento per la nostra affermazione, o ci lasciamo attrarre dalla dimensione alternativa, che contrappone allo spirito del mondo, la verità che è all’origine di ogni origine, incarnata per noi cristiani da Gesù di Nazareth, che dice la dedizione incondizionata del Padre?

Le letture proposte dalla liturgia di questa 2ª Domenica del Tempo Comune sono tratte da:
1° Libro di Samuele, cap. 3, 3-10.19; Salmo 40; 1ª Lettera ai Corinzi, cap. 6, 13-20; Vangelo di Giovanni, cap. 1, 35-42.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le Chiese cristiane ed è volta oggi a impetrare il dono dell’unità nella profezia e nella testimonianza della pace.

Oggi è memoria di Serafim di Sarov, mistico e asceta della Russia ortodossa, e di Leonhard Schiemer, pacifista anabattista, martire.

Prochor Mosnin (tale il suo nome alla nascita) era nato il 19 luglio 1759 a Kursk in una famiglia di commercianti, conosciuti da tutti come cristiani devoti e caritatevoli. Da ragazzo Prochor amava frequentare la divina liturgia e dedicarsi alla lettura di libri religiosi. Diciottenne, durante un pellegrinaggio alle Grotte di Kiev, vi conobbe il santo staretz Dositeo, che, confermandolo nella vocazione monastica, lo indirizzò al monastero di Sarov, affidandogli la preghiera del Nome come mezzo potente per restare unito a Dio. Dopo otto anni di noviziato, il giovane fece la sua professione monastica, ricevendo il nome di Serafim. Nel 1794 Serafim fu ordinato prete e ricevette il permesso di recarsi a vivere in una piccola capanna nella vicina foresta, per dedicarsi ad una vita di preghiera e digiuno e allo studio delle Scritture e degli scritti dei Padri. Lì visse, salvo brevi interruzioni, fino al 1810, quando, per obbedire alla richiesta dei monaci anziani, Serafim ritornò in monastero. Continuò tuttavia a vivere nella solitudine e nel silenzio della sua cella per altri dieci anni. Fu solo alla fine di questo lungo periodo di tempo che, obbedendo ad una visione del Cielo, si dispose ad accogliere quanti, visitando il monastero, aspettavano da lui una parola o un consiglio spirituale. Il vecchio monaco soleva allora salutare chiunque si recasse da lui con una prostrazione, un bacio e le parole del saluto pasquale: “Cristo è risorto!” e ad ognuno si rivolgeva chiamandolo con l’espressione “gioia mia”. Nel 1825 fece ritorno nella sua capanna nella foresta, dove, arricchito del dono della chiaroveggenza, continuò a ricevere migliaia di pellegrini da tutta la Russia. Serafim si riposò nel Signore il 1° gennaio 1833 del calendario giuliano (corrispondente al 14 gennaio del nostro calendario), mentre era inginocchiato davanti ad un’icona della Madre di Dio.

Leonhard Schiemer era nato verso il 1500 a Vöcklabruck (Alta Austria) in una famiglia molto religiosa, che l’aveva avviato al mestiere di sarto. Desideroso, però, di consacrarsi a Dio, Leonhard, poco più che adolescente, era entrato in un convento francescano, a Judenburg, ma sei anni più tardi, deluso dalla vita conventuale, ne era uscito, recandosi ad abitare a Norimberga, dove aveva ripreso l’antico mestiere. In questa città avvennero presumibilmente i primi contatti di Schiemer con gli ambienti anabattisti. Nel maggio 1527, recatosi a Nikolsburg, in Moravia, potè assistere alla disputa tra due diversi gruppi anabattisti, gli Stäbler (sostenitori della nonviolenza assoluta) e gli Schwertler (che sostenevano la liceità della difesa armata). Poche settimane più tardi quando, a Vienna, incontrò Hans Hut e la sua congregazione, Leonhard ne fece sue le tesi pacifiste e chiese di essere battezzato. Subito cominciò la sua attività di missionario, prima nella città di Steyr, poi a Salzburg e in Baviera. Nell’agosto 1527 partecipò, ad Augsburg, al Sinodo dei Martiri (chiamato così in seguito, perché un gran numero dei partecipanti trovò la morte a causa della fede professata). Inviato in Tirolo, si stabilì a Rattemberg, una cittadina sul fiume Inn, dove la congregazione locale lo volle suo vescovo. Il 25 novembre 1527, su pressione delle gerarchie cattoliche, Schiemer fu arrestato e imprigionato. Durante la prigionia, compose numerose opere, che avranno una notevole importanza nello sviluppo del movimento anabattista. Tra esse anche alcuni inni, che entrarono a far parte dell’Ausbund, l’innario in uso ancor oggi presso le comunità Amish. Nel gennaio 1528, un tentativo di fuga gli comportò un drastico peggioramento nelle condizioni di prigionia. Dopo ripetute sessioni di tortura, il giovane, non ancora trentenne, fu decapitato. Era il 14 gennaio 1528. Nei successivi dodici anni altri settanta anabattisti, uomini e donne, sarebbero morti a Rattenberg, testimoniando con il loro sangue la loro fedeltà al vangelo della pace e della nonviolenza.

Noi ne facciamo memoria il giorno della sua scomparsa, il 4 settembre, ma vogliamo ricordarlo anche oggi, giorno della sua nascita, avvenuta a Kaysersberg, in Alsazia, nel 1875. Parliamo di Albert Schweitzer, che scelse di lasciare tutto per dedicarsi agli ultimi e più diseredati dell’Africa equatoriale. Scegliamo, nel congedarci, di proporvi una sua citazione tratta da “Filosofia della civiltà” (Fazi). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Dobbiamo intraprendere la lotta contro il male, che è presente in noi, non giudicando gli altri ma giudicando noi stessi. Lottando con noi stessi e impegnandoci a essere completamente sinceri, abbiamo gli strumenti per agire sugli altri. Senza far rumore, li coinvolgiamo in questo combattimento la cui posta in gioco è l’affermazione spirituale della personalità che nasce dal rispetto per la propria vita. La forza non provoca clamore. La sua presenza basta di per sé ed esercita la sua influenza. La vera etica inizia là dove termina l’uso delle parole. L’essenza più profonda dell’etica dell’azione, anche quando appare sotto la forma del sacrificio, ha dunque la sua origine nella necessità di essere sinceri verso se stessi e in tale atteggiamento conserva il suo reale valore. Tutta la dottrina morale che predica l’essere diversi dal mondo procede in modo limpido solo quando proviene da questa fonte. Non è per bontà nei riguardi degli altri che do prova di uno spirito mite, conciliante, paziente e cordiale, ma perché affermo, attraverso un tale comportamento, la mia più profonda personalità. Il rispetto per la vita che rivolgo alla mia esistenza e il rispetto per la vita di cui do prova donandomi agli altri si intrecciano tra loro. (Albert Schweitzer, Filosofia della civiltà).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Gennaio 2024ultima modifica: 2024-01-14T22:21:28+01:00da fraternidade
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