Giorno per giorno – 19 Febbraio 2023

Carissimi,
“Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5, 43-45). Non è che, nel Primo Testamento, ci fosse un comando esplicito a odiare il nemico, ma faceva parte del sentire comune, alimentato anche dalla preghiera presente in alcuni salmi (si pensi, a titolo di esempio, ai versetti del salmo 139, che dicono: “Non odio, forse, Signore, quelli che ti odiano e non detesto i tuoi nemici? Li detesto con odio implacabile come se fossero miei nemici” (Sal 139, 21-22). E alimentato ancor più dall’esempio che impudentemente, imprudentemente o solo ingenuamente, gli scrittori sacri attribuivano a Dio, proiettando su di lui i sentimenti xenofobi che animavano una guerra di conquista, che intendeva giustificare i massacri delle popolazioni stanziate sui territori che il popolo “eletto” rivendicava a sé. Gesù scompagina in un colpo solo questa visione. Dio è il Padre di tutti non è l’idolo di alcuni contro gli altri. Ama tutti in egual misura, giusti e ingiusti, buoni e cattivi, amici e nemici. E ci chiede di imitarlo. Punto e basta. Non ci è data altra alternativa, se vogliamo dirci cristiani.

Bene, i testi che la liturgia di questa 7ª Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Levitico, cap.19, 1-2. 17-18; Salmo 103; 1ª Lettera ai Corinzi, cap.3, 16-24; Vangelo di Matteo, cap.5, 38-48.

La preghiera della domenica è, come sempre, in comunione con le chiese cristiane di tutte le denominazioni.

Oggi ricordiamo Sirio Politi, preteoperaio; José Antônio Pereira Ibiapina, apostolo del Nordeste brasiliano, e Rabbi Elimelech di Lisensk, mistico ebreo.

Sirio Politi era nato il 1º febbraio 1920 a Capezzano Pianore, in quel di Lucca, da una famiglia povera e a quattordici anni era entrato in seminario. Ordinato prete nel 1943, divenne due anni più tardi parroco di Bargecchia. E ci restò una decina d’anni, finché lo Spirito gli deve aver sussurrato: ehi, amico, datti una mossa! E lui, era il 1956, scese a valle, con una idea: “essere uno di loro”. Loro erano gli operai. I tempi, poi, mica si scherzava. Per il divorzio maturato nel tempo tra la chiesa e la classe operaia e il clima di sospetto e le reciproche diffidenze che ne erano scaturite. Lui comunque sarebbe riuscito ad abbattere il muro e, condividendone la fatica e le lotte, a conquistare l’amicizia, la lealtà e la fedeltà dei nuovi compagni. Durò solo tre anni, per via della durezza di testa e di cuore che Gesù da sempre rimprovera alla sua chiesa. Per restare prete, dovette lasciare la fabbrica. Di quel momento scriverà: “Mi si scavò nell’anima un vuoto spaventoso, come morire, e da allora mi sono sentito finito, morto. La mia Chiesa mi ha distrutto. Proprio Lei”. Continuò invece a vivere, dove aveva preso ad abitare, alla Darsena di Viareggio, non più operaio, ma scaricatore di porto, per i successivi sei anni. Dal 1965 creò con altri preti operai, uomini e donne, una nuova esperienza comunitaria alla periferia della città, tornando in Darsena nei primi anni settanta. Lì si impegnerà sempre più sul fronte della pace, della nonviolenza, della lotta antinucleare. Dall’estate 1986, l’ultima sfida, quella della malattia che lo porterà alla morte, il 19 febbraio 1988.

José Antônio Pereira Ibiapina nacque il 5 agosto 1806 a Sobral, nello Stato di Ceará. Ancora giovane, desiderando diventare prete, si era trasferito a Olinda (Pernambuco), per frequentare il seminario, ma una serie di tragedie familiari (la morte della madre, l’omicidio del fratello maggiore e la fucilazione del padre per motivi politici) lo costrinsero a fare ritorno a casa per prendersi cura della famiglia. Risolti i problemi più urgenti, fece ritorno nel Pernambuco con due delle sorelle minori. Si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza, laureandosi nel 1832. Negli anni successivi fu prima magistrato, poi deputato e infine avvocato. Ed ebbe sempre a cuore la causa dei più poveri e sfruttati. Nel 1850, la svolta decisiva della sua vita: si disfece di tutti i suoi beni e andò ad abitare in una casetta in un bairro di Recife, dove passò tre anni a studiare, pregare, meditare, vivendo in povertà. Il 26 luglio 1853, Ibiapina veniva ordinato sacerdote. Insegnò per qualche tempo in seminario, poi con il permesso del suo vescovo, cominciò a viaggiare attraverso tutto il Nordeste brasiliano, realizzando missioni popolari, coscientizzando e organizzando la popolazione, costruendo chiese, ospedali, bacini idrici, e soprattutto moltissime case di carità, dove l’infanzia abbandonata potesse crescere, studiare e apprendere una professione. Padre Ibiapina morì a Santa Fé, nello stato di Paraiba, il 19 febbraio 1883.

Rabbi Elimelech, nato in Galizia (Polonia) nel 1717, era, con il fratello maggiore Sussja, figlio del Rabbi Eliezer Lipman e di sua moglie Miroush, persone conosciute per la loro bontà e generosità. Insieme, i due fratelli, in gioventù si diedero ad una vita di peregrinazioni senza meta. Poi, le loro strade si divisero: Sussja continuò ad essere l’inquieto ed estatico “folle di Dio”, e Elimelech, alla scomparsa di Rabbi Dov Bär, il Grande Magghid, divenne capo della comunità chassidica, facendosi conoscere per la “conoscenza intuitiva delle persone che lo avvicinavano, delle loro manchevolezze e delle loro pene, così come dei mezzi per guarirle”. Nella memoria del popolo, rimase così presente come “il medico delle anime, l’esorcizzatore dei demoni, il consigliere, la guida e il taumaturgo”. Rabbi Elimelech morì a Lisensk il 21 Adar I 5546 (coincidente, quell’anno, con 19 febbraio 1786), lasciando tre figli, Rabbi Elazar di Lisensk, Rabbi Lipa Eliezer di Chemelnick, Rabbi Yaakov di Maglanitza e due figlie, Esther Etil e Mirish.

È di stasera la notizia della Pasqua, avvenuta oggi a Cesena, del teologo e maestro spirituale don Carlo Molari. La pagina di Oreundici, in occasione dei suoi novant’anni, l’aveva descritto così:“Testimone di una vita spirituale intensa, di una fede vissuta con passione vera, è il modello di una corrispondenza tra le parole e le azioni, tra la fiducia e l’abbandono predicati e l’interrogazione ardente mai quietata”. Dovremo tornarci su.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di Sirio Politi, tratto dal suo libro “Uno di loro. Pensieri e esperienze di un prete-operaio” (Gribaudi). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Sono nato per questo scopo. Sono cristiano per questo destino. Sono sacerdote per questa missione. Io devo dare Dio al mondo. Devo essere vivente testimonianza di Gesù. Il mio corpo deve essere presenza di Dio. La mia anima bisogna che sia immagine di Lui. Il mio Amore, il Mistero del Suo Amore. La mia pazienza, la Sua pace. La mia attesa, sicurezza di Lui. La mia vita, evidenza scoperta, luminosa, trasparente dell’esistere invisibile di Dio. Non so se vi può essere qualcosa di più terribile che avere tutto il Mistero di Dio e doverne essere comunicazione, presenza. Sapere che il proprio corpo deve dare esperienza di Lui. Assai più del sole nella fiamma di luce a mezzogiorno, più delle stelle di una nottata splendente, assai più della grandiosità del mare a perdita d’occhio e del la profondità senza fine dell’azzurro del cielo. Il mio povero corpo, così fragile e buono a nulla. Eppure tutti vi devono poter trovare Dio. Qualcosa che faccia pensare a Lui. Che susciti almeno un’inquietudine e scavi un po’ di voglia di Lui. E tanto più la mia anima dev’essere infinita, Mistero così profondo e complesso come è l’anima umana eppure chiarito, disteso, aperto perché tutto nella verità e nell’Amore. È terribile dover avere un’anima schiacciata dal Mistero di tutta l’anima dell’umanità e nel frattempo avere un’anima chiara e limpida che trasparisca Dio come l’acqua cristallina i sassi bianchi del ruscello. Avere un’anima traboccata di tutto il travaglio del mondo, sopraffatta dall’angoscia dell’umanità intera e nello stesso momento avere un’anima che manifesti e offra la gioia dolce dell’Amore e la pace profonda della fiducia, come gli occhi di un bambino, fino a far pensare irresistibilmente a Dio. (Sirio Politi, Uno di loro. Pensieri e esperienze di un preteoperaio).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 19 Febbraio 2023ultima modifica: 2023-02-19T22:18:33+01:00da fraternidade
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