Giorno per giorno – 15 febbraio 2023

Carissimi,,
“Gesù prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: Vedi qualcosa? Quello, alzando gli occhi, diceva: Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano. Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa” (Mc 8, 23-25). Il vangelo di ieri si era concluso con l’amara constatazione espressa da Gesù circa la mancata comprensione del fatto dei pani da parte dei discepoli (di allora e di ogni tempo): “Non capite ancora?” (cf Mc 8, 21). Difficoltà davanti alla quale, per altro, Gesù non si arrende. Rgli sa bene quanto la rivelazione implicata in quel fatto capovolga fino a sconvolgere ciò che si sapeva di Dio e della sua azione nel mondo, e perciò anche la visione del nostro che fare nelle relazioni che intratteniamo nella società e nel tempo in cui viviamo. Per descrivere l’azione di Gesù a fronte di quella che, a questo punto, possiamo chiamare la nostra cecità, l’evangelista pone qui il racconto della guarigione del cieco di Betsaida, in cui siamo rappresentati tutti noi. Guarigione difficile e faticosa, che passa attraverso due stadi. Come vedremo, fuor di metafora, già nel vangelo di domani, anche negli apostoli in relazione a Gesù, e quindi alla verità. Questo vale anche e tanto più per noi, a duemila anni di distanza, quando vediamo ancora “gli uomini come alberi che camminano”, invece che come figli dell’unico Padre amoroso, e perciò nostri fratelli, di cui dovremmo prenderci cura. Siamo ancora nella fase in cui crediamo (o fingiamo) di credere in Gesù e nel suo progetto, ma permaniamo schiavi degli idoli della forza, del nazionalismo, del sovranismo e di quant’altro ci porta a creare le condizioni per affermare noi stessi contro quello che di volta in volta avremo deciso essere nostro nemico. In una logica di competizione che giustifica ogni violenza, conflitto, guerra (che sarà sempre rivendicata come “di difesa” da tutte le parti in causa) e conseguente distruzione, arricchendo, oggi, i mercanti di armi, e, domani le industrie della ricostruzione. E i morti, pazienza, ne faremo degli eroi. Mentre, da lontano, i vivi, al sicuro nelle loro case, tifano per gli uni o per gli altri, in nome dei loro comunque poco sacri valori. Che Gesù passi presto alla seconda fase del processo di guarigione, aprendoci gli occhi e il cuore alla sua verità, facendo di noi, in ogni situazione, quei costruttori di pace, che, unici, Dio riconosce che agiscono da figli (cf Mt 5, 9).

Oggi il nostro calendario ci porta la memoria di Benjamin J. Salmon, profeta di pace e di nonviolenza negli Stati Uniti; di Camilo Torres, martire nella lotta per la giustizia, in Colombia; Maria Elena Moyano, martire per la giustizia, la pace e la fraternità in Perù, di P. Juan Alonso Fernández, martire in Guatemala.

Ben Salmon era nato nel 1889, a Denver, nel Colorado (Usa), da una modesta famiglia cattolica di lavoratori. Impegnato nel sociale fin da giovane, fu subito attratto dal messaggio evangelico della nonviolenza che, all’epoca, lungi dall’essere patrimonio comune, era anzi avversato e guardato con sospetto persino da parte delle chiese. Cattolico praticante, nel 1917 si sposò, proprio nei giorni in cui gli fu notificata la chiamata alla leva. Coerente con i suoi ideali, Ben si dichiarò obiettore di coscienza, scontrandosi in questo, oltre che con il potere civile, con la dottrina e la gerarchia della sua stessa chiesa, che da secoli aveva inventato la teoria della “guerra giusta”. Arrestato nel 1918, processato e condannato a morte, Salmon si vide commutata la pena a venticinque anni di prigione. Dopo due anni trascorsi in carcere duro, in regime di isolamento e in condizioni abominevoli, torturato e irriso, intraprese uno sciopero della fame ad oltranza. Giudicato malato di mente, a causa della sua profezia e testimonianza, fu ricoverato nel manicomio di S. Elisabetta a Washington, da cui tuttavia fu dimesso poco dopo. Dopo la sua liberazione condusse una tranquilla vita in seno alla sua famiglia, continuando nella sua pratica di vita cattolica nonostante l’incomprensione della sua Chiesa. Benché i suoi studi non fossero andati oltre l’ottavo grado, redasse allora un manoscritto di duecento pagine, criticando la dottrina della guerra giusta. Il trattamento riservatogli negli anni di prigione aveva però minato in maniera irreparabile la sua salute. Fu così che Ben Salmon morì a soli quarantatre anni, il 15 febbraio 1932. Dei suoi figli, uno divenne prete e un’altra suora nella Congregazione di Maryknoll.

Jorge Camilo Torres Restrepo era nato il 3 febbraio 1929 a Bogotà, in Colombia, in una famiglia della ricca borghesia liberale. Dopo gli studi secondari, decise, all’inizio del 1948, di entrare in seminario, dove rimase sette anni, fino all’ordinazione sacerdotale, nel 1954. Subito dopo fu inviato in Belgio per studiare sociologia all’Università di Lovanio, dove si laureò. Tornato a Bogotà, fu nominato cappellano dell’Università Nazionale. Lí, con altri professori, fondò la Facoltà di Sociologia, che doveva essere nelle intenzioni una fucina di idee per la soluzione dei gravissimi problemi sociali che il Paese affrontava, Visto di malocchio dal card. Cordoba, a causa delle sue idee, fu rimosso dall’incarico nell’ambiente universitario e destinato a una parrocchia della periferia di Bogotà, senza che, per questo, Camilo rinunciasse al suo impegno sociale. Nel 1965 l’alta gerarchia fece insistentemente pressioni su di lui perché lasciare il ministero sacerdotale. Il 27 luglio 1965 celebrò la sua ultima messa. In un “Messaggio ai cristiani”, scritto poco più tardi quando già era entrato nelle file dell’ “Esercito di Liberazione Nazionale”, dichiarò: “Ho lasciato i privilegi e i doveri del clero, però non ho smesso d’essere sacerdote. Credo di essermi dato alla Rivoluzione per amore del prossimo. Ho smesso di dire messa per realizzare quest’amore del prossimo, sul piano temporale, economico e sociale. Quando il mio prossimo non avrà più nulla contro di me, a rivoluzione realizzata, tornerò ad offrire messa se Dio me lo permetterà. Credo che in questo modo seguo il comandamento di Cristo: “Se porti la tua offerta all’altare e lì ti accorgi che il tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia la tua offerta davanti all’altare, e vai, riconciliati prima col tuo fratello, e dopo vieni e presenta la tua offerta (Mt 5, 23-24). Morì nella sua prima esperienza in combattimento, il 15 febbraio 1966, a Patio Cemento, in un’imboscata tesa ad una pattuglia militare colombiana dall’ELN. In occasione del cinquantenario della morte il Presidente della Conferenza Episcopale, Mons. Castro, si è detto disposto ad avviare un processo che preveda la riabilitazione di Camilo Torres, con la restituzione dello status presbiterale.

Maria Elena Moyano era nata il 29 novembre 1958, nel distretto di Barranco a Lima, in una famiglia di sette figli. La sua storia s’intrecciò ben presto con la nascita e la crescita di Villa El Salvador, uno dei municipi più recenti dell’area metropolitana della capitale peruviana, sorto, in pieno deserto, il 1° maggio del 1971 da un’invasione di terreni demaniali. Lì, Maria Elena, fu animatrice instancabile di tutte le iniziative che potessero rendere la vita più umana e dignitosa: strade, scuole, acqua, luce, posti di lavoro, cibo. Fondò, per la prima volta in Perù, la Federazione delle Donne, impegnandosi a organizzare i Club delle Madri, i Comitati per il Bicchiere di Latte, le Mense Popolari, i Centri di Raccolta, organizzando marce e mobilitazioni. Sempre all’ insegna del dialogo, della chiarezza e della non-violenza. Il 15 febbraio 1992, mentre assisteva a un’iniziativa di un Comitato del Bicchiere di Latte a Villa El Salvador, in compagnia dei suoi figli, Gustavo e David Pineki, Maria Elena fu fatta saltare con la dinamite da elementi dell’organizzazione terroristica Sendero Luminoso. Il suo funerale vide la presenza di oltre trecentomila persone e rappresentò una delle più imponenti manifestazioni che il Perù ricordi. Gustavo Gutiérrez, il padre della teologia della liberazione, pregando alle sue esequie, disse: “Ti rendiamo grazie, o Padre, per la vita che hai donato a Maria Elena. Grazie, Padre, per averci insegnato, attraverso lei, qual è il cammino per vincere la fame che uccide e le pallottole assassine, per averci insegnato la solidarietà, la speranza, l’allegria, l’offerta spontanea di se stessi. […] Coloro i quali l’hanno fatta saltare in aria, pensando di farla così scomparire, altro non hanno fatto se non spargere i semi di questa amica nei nostri cuori, semi di vita”.

Di P. Juan Alonso Fernández sappiamo solo che era missionario della Congregazione del Sacro Cuore, e che, nel periodo più critico della violenta repressione governativa in atto nel Quiché (Guatemala), scelse con altri tre sacerdoti di farvi ritorno, dopo che tutti i preti, in seguito all’assassinio di due missionari, P. José María Gran Cirera e P. Faustino Villanueva, tra giugno e luglio 1980, avevano deciso di lasciare la regione per richiamare l’attenzione del mondo su ciò che stava accadendo. Tornati dunque nel Quiché, P. Juan assunse la cura pastorale della Zona Nord, dove maggiore era il pericolo che correvano catechisti e sacerdoti. Il 28 gennaio 1981, scriveva a suo fratello: “Non desidero certo che mi ammazzino, ma, meno ancora, sono disposto, per paura, ad allontanarmi da questa gente. Una volta di più mi viene da pensare: Chi ci potrà separare dall’amore di Cristo?”. Nella Zona Nord, seguiva le parrocchie di Nebaj, Cotzal, Chajul, Cunen, Uspantán, Chicamán y Lancetillo. Ed era un compito immane; solo chi conosca le distanze e la difficoltà delle comunicazioni, oltre al fatto del suo trovarsi da solo in tale ministero, può arrivare a capire la radicalità della sua decisione. Il 13 febbraio 1981, era appena arrivato nella parrocchia di San Miguel Uspantán, che fu chiamato e interrogato dai militari distaccati sul posto. Proferirono insulti e accuse, ma, a notte, lo rilasciarono. La mattina del giorno seguente, sabato, 14 febbraio, si recò nel villaggio di Chicamán, per celebrarvi l’Eucaristia. Lì lo consigliarono: “Padre, la cercano, è meglio che se ne vada, se no possono ammazzarlo”. E lui prendendo in mano il crocifisso che portava sotto la giacca esclamò: “Per Lui sono diventato prete, e se devo morire per Lui, sono qui”. Nel pomeriggio si spostò a Uspantán, dove la mattina di domenica 15, celebrò ugualmente l’Eucaristia. Il pomeriggio, prese la moto per recarsi a Cunén. Alle tre, lungo la strada, fu fermato da una pattuglia di soldati, che lo torturarono e poi lo finirono con tre proiettili sparatigli in testa. I funerali si svolsero il 17 febbraio nella chiesa di Chichicastenango.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.8, 6-13. 20-22; Salmo 116; Vangelo di Marco, cap.8, 22-26.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale che ne sia il cammino spirituale o la filosofia di vita.

Oggi compirebbe novantasei anni, uno dei profeti del nostro tempo, Carlo Maria Martini, nato a Torino il 15 febbraio 1927. Noi scegliamo di ricordarlo, offrendovi in lettura un suo brano del suo Messaggio al VII Meeting Internazionale Uomini e Religioni “Terra degli uomini, invocazioni a Dio”, svoltosi a Milano, dal 19 al 22 settembre 1993. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Se il muro che divideva l’Europa è stato abbattuto, si sente d’altro canto la spinta ad erigere tanti nuovi muri, talvolta più alti, in nome della difesa della propria sicurezza. Muri all’interno degli stati, muri tra nazione e nazione, un grande muro tra Nord e Sud del mondo. La tentazione del Nord è quella di ritirarsi, alzando una grande barriera che la protegga dall’insicurezza e dall’instabilità che viene dal Sud: è il grande muro che doveva proteggere l’antico impero romano dai barbari. L’attenuarsi della solidarietà, il crescente individualismo, la privatizzazione delle coscienze, le paure e le insicurezze che spingono l’individuo a ritirarsi nel privato, sono sintomi di un problema più generale: la rinuncia a pensare un comune destino universale nel segno della pace e della giustizia. Tuttavia l’attuale contingenza storica offre al Nord del mondo una straordinaria chance per rigenerarsi profondamente nel suo rapporto con il Sud, salvando al tempo stesso il meglio della tradizione storica e della civiltà di ogni popolo. Forse, per la prima volta in epoca moderna, c’è la possibilità di edificare una convivenza civile che non nasca sulla contrapposizione. È la sfida a costruire una società senza nemici, senza avversari – e non per questo senza identità -, una società in cui le diversità si riconcilino e si integrino. Sempre più forte appare la connessione tra il problema della pace e la questione dello sviluppo: può non essere utopico, ma realistico e perciò lungimirante ripensare l’economia aprendola all’universo dei valori e delle culture, al rapporto con la dignità della persona, della libertà e della speranza. […] C’è bisogno di riaffermare un senso comune dell’umanità: uscire dalla gabbia del particolarismo e riprendere a parlare della Terra degli Uomini. Nei processi di pacificazione, spesso contraddittori, attualmente in atto in varie parti del mondo, le grandi religioni possono e debbono oggi svolgere un grande e insostituibile ruolo. Le religioni sono in grado di gettare ponti e di costruire legami tra i singoli e i popoli: hanno l’energia e la capacità di superare i confini circoscritti di una terra e di una cultura. La loro forza è debole, non comparabile con la potenza delle armi, delle leggi, dei sistemi economici. Si tratta di una forza spirituale, che trasforma l’uomo dal di dentro e lo rende giusto e misericordioso. C’è bisogno oggi di questa forza: ne hanno bisogno i singoli come anche le nazioni, se vogliono riacquistare il senso del passato, il valore del presente, la speranza per il futuro. (Card. Carlo Maria Martini, Messaggio al VII Meeting Internazionale Uomini e Religioni “Terra degli uomini, invocazioni a Dio”).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 15 febbraio 2023ultima modifica: 2023-02-15T22:26:37+01:00da fraternidade
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