Giorno per giorno – 14 Febbraio 2023

Carissimi,
“I discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un solo pane. Allora Gesù li ammoniva dicendo: Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode! Ma quelli discutevano fra loro perché non avevano pane” (Mc 8, 14-16). I capitoli che stiamo leggendo ruotano tutti intorno al significato del fatto dei pani, di cui la liturgia aveva omesso di riferirci quella che potremmo dire la prima edizione (cf Mc 6, 35 ss), per proporcene la replica nel vangelo di sabato scorso (cf Mc 8, 1-10). Stasera ci chiedevamo una volta di più quale fosse il messaggio sotteso ai due episodi della condivisione dei pani. Condivisione, non moltiplicazione, a partire dall’imperativo dato da Gesù ai suoi per saziare la fame della moltitudine: “Date loro voi stessi da mangiare” (Mc 6, 37). Nell’obbedienza a tale imperativo si disegna già l’economia del Regno, in cui la disponibilità di pochi a rinunciare al proprio per metterlo in comune instaura alla lunga un circolo virtuoso che vede la logica del dono prevalere sulla brama di accumulazione e possesso. Certo, non è facile farne la lezione di una vita, anche i discepoli tendono a circoscrivere l’episodio nel tempo. Da qui la necessità di ripeterlo, senza che si capisca ancora qual è il Dono che sta alla base di questa urgenza: il Pane, che è il corpo, la vita di Cristo, l’Io-sono di Dio che cammina sulle acque limacciose della storia (cf Mc 6,50) e che, senza trattenere nulla per sé, si dona per intero lungo le generazioni per nutrirci di sé e fare di noi stessi alimento per la vita del mondo. Questo è l’unico pane che i discepoli avevano con loro sulla barca (cf v.14), senza sapere che esso valeva infinitamente di più di ogni altro pane, gonfiato che sia dal lievito di Erode (la bramosia del potere) o da quello dei farisei (il poco “santo egoismo” che muove i religiosi alla ricerca della propria salvezza, mondana e/o celeste che sia). E noi, dopo duemila anni, abbiamo capito il significato dei pani, del Pane?

Il calendario porta oggi le memorie dei due fratelli Cirillo e Metodio, evangelizzatori degli Slavi e patroni d’Europa; e di Joseph Wresinski, prete povero dei poveri.

Cirillo e Metodio si chiamavano in realtà Costantino e Michele ed erano nati a Tessalonica (l’attuale Salonicco, in Grecia) nel IX secolo, figli di un magistrato imperiale. Michele, il maggiore, intrapprese dapprima la carriera politica, divenendo arconte di una provincia slava dell’impero. Nell’ 840 decise tuttavia di lasciare la carica e di farsi monaco e fu eletto, in seguito egumeno del convento Polychron sul monte Olimpo di Bitinia. Costantino, nato verso l’827, alla morte del padre, si recò a Costantinopoli per completare gli studi alla corte imperiale. Ordinato sacerdote, si dedicò all’insegnamento. Nell’860 i due fratelli ebbero l’incarico dall’imperatore di evangelizzare i Kazari; tre anni dopo, richiesti dal principe Rastislao, raggiunsero la Moravia. Qui essi elaborarono il loro alfabeto (non il cirillico, inventato solo due secoli più tardi, ma il glagolitico), realizzando la prima versione in lingua slava della Bibbia e della liturgia. Accusati di scisma e di eresia, i due furono chiamati a Roma dal papa Nicola I. Quando vi giunsero, vennero accolti con tutti gli onori dal suo successore, Adriano II, che, contro ogni aspettativa e suscitando l’ira e lo sgomento del clero conservatore, volle che celebrassero i santi misteri alla presenza sua e della folta comunità cristiana di Roma, nella lingua parlata dagli slavi, introducendo così una riforma che l’occidente avrebbe conosciuto solo undici secoli più tardi, con il Concilio Vaticano II: quella di celebrare nella lingua viva parlata dalla gente e non nelle lingue “sacre” del passato: aramaico, greco e latino. Nel dicembre dell’868 Costantino cadde malato. Prevedendo imminente la morte, volle rivestire l’abito monastico, prendendo il nome di Cirillo e dopo 50 giorni morì, il 14 febbraio 869, all’età di 42 anni. Fu sepolto con grande solennità nella basilica di S. Clemente. Dopo la morte del fratello, Metodio fu dal papa ordinato prete, nominato legato apostolico, consacrato vescovo e stabilito arcivescovo per la Pannonia e la Moravia. Una lettera, che lo accreditava presso i principi Rastislao, Sventopulk e Kocel, conteneva l’approvazione senza riserve della liturgia slava. Il che, il clero latino non riuscì proprio a digerirlo. Sicché ci fu chi, passato un po’ di tempo, tentò il colpo mancino: l’arcivescovo Aldewinus (una sorta di Lefèbvre ante litteram) denunciò Metodio a Ludovico il Germanico. Metodio fu imprigionato, giudicato e condannato all’esilio. Nell’ 878, papa Giovanni VIII chiese ed ottenne la sua liberazione, ma, subendo le pressioni dei conservatori, rinnegò le concessioni del predecessore in materia liturgica. Metodio, dal canto suo, seppe con la dovuta prudenza e discrezione tirar dritto per la sua strada, riuscendo in seguito a convincere il papa della bontà di quella scelta. Morì il 6 aprile 885 e fu sepolto nella sua chiesa cattedrale in Velehrad.

Joseph Wresinski era nato il 12 febbraio 1917 a Angers (Francia), in una famiglia di immigrati, polacco, con passaporto tedesco il padre, Wladislaw Wrzesinski, e spagnola la madre, Lucrecia Sellas, maestra elementare. Dopo un infanzia poverissima, durante la quale il padre decise di tornare in Polonia, il bambino dovette darsi da fare per contribuire pur con poco al mantenimento della famiglia, finché a tredici anni trovò un impiego come apprendista pasticcere. Trasferitosi a Nantes, frequentò per sei mesi la Gioventù comunista, finché un compagno gli fece conoscere la JOC (Gioventù operaia cattolica), a cui egli aderì con entusiasmo e passione. A 17 anni maturò la vocazione al sacerdozio, al fine di, come si esprimerà in seguito, “restituire i più poveri alla Chiesa e la Chiesa ai più poveri”. Entrato in seminario, trascorreva il suo tempo libero nei libri e nei quartieri più poveri. Durante le vacanze andava a lavorare in fabbrica o nelle miniere. Fu ordinato prete il 29 giugno 1946 e inviato come viceparroco a Tergnier, in un quartiere operaio. Avrebbe desiderato fare sua la scelta dei preti operai, ma l’esperimento è interrotto per volontà di Roma. Nel 1948 integrò per qualche mese la Missione di Francia , ma una meningite prima e la tisi, subito dopo, lo obbligarono a desistere e ad entrare in sanatorio. Di ritorno in diocesi, chiese di essere destinato a una parrocchia tra le più abbandonate. Venne inviato a Dhuizel, piccolo centro rurale dell’Aisne, dove visse in grande povertà, condividendo il lavoro degli stagionali, restaurando la sua chiesa e soprattutto lasciando sempre aperta a tutti la porta della sua casa. Nel 1956 gli offrono l’opportunità di fare il cappellano in un campo di transito fondato due anni prima dall’Abbé Pierre con i suoi Chiffoniers d’Emmaüs a Noisy: duemila persone sprovviste del minimo necessario, ospitate in un terreno su un’antica discarica, ai margini di una palude, abbandonati al disprezzo e all’indifferenza del mondo circostante. Saranno la sua gente. Facendo fronte con loro all’ostilità crescente, ai vandalismi e alle aggressioni dei vicini. Con loro e con altri amici e volontari fondò nel 1957 una prima associazione che divenne in seguito il Movimento internazionale ATD Quarto Mondo, oggi presente in tutti i continenti. Il 14 febbraio 1988, Joseph Wresinski morì in seguito a un banale intervento chirurgico.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.6, 5-8; ; 7, 1-5.10; Salmo 29; Vangelo di Marco, cap.8, 14-21.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di Joseph Wresinski, tratto dalla Conferenza da lui tenuta col titolo “Grande povertà: diritti di Dio e diritti dell’uomo”, su invito del vescovo di Anversa, in occasione del 25°anniversario della diocesi, nel quadro della giornata “Chiesa e Quarto Mondo”, il 29 novembre 1987. È questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Nel Vangelo, i diritti dell’uomo sono l’espressione dei diritti di Dio. Noi dicevamo che Dio si era dato dapprima delle responsabilità. Ha fatto altrettanto per i Suoi figli. Li dichiara innanzitutto responsabili. E dà loro la libertà di essere responsabili. “Ama Dio con tutte le tue forze, ama il prossimo tuo come te stesso”. Ama innanzitutto, credi, abbi fiducia e ama. Dopo, potrai fare quello che vorrai. Come diceva Sant’Agostino: “Ama e fa’ ciò che vuoi”. Le famiglie del quarto mondo comprendono meglio di chiunque anche questo. Per loro, la cosa più dura, più inaccettabile, è di vedersi private delle loro responsabilità. “Io prego Dio, ma non posso andare in Chiesa”, mi dice questa madre di famiglia, in una città vicino Parigi. “Voi mi vedete in Chiesa, a me? Io prego, ma soltanto a casa, quando i bambini non ci sono. Come pregare in tutto quel baccano?”. Insomma, i più poveri ci insegnano che avere la responsabilità di amare, è un diritto di tutti, inalienabile. È un diritto che reclamano senza posa: “Noi vogliamo essere utili, servire, invece di essere continuamente assistiti”. Penso alle parole di un uomo di una città di urgenza degli anni Settanta, a Caen: “Noi non domandiamo dei diritti, chiediamo solo di lavorare!”. Quest’uomo non esige il lavoro come un diritto per guadagnarsi la vita, ma come il diritto di essere qualcuno. In questa domanda di responsabilità, le famiglie del quarto mondo seguono Gesù Cristo che ha detto ai suoi discepoli: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la sua vita in riscatto di molti”. Un’umile donna mi diceva spesso: “Guarda sempre verso i più sfortunati di te, c’è sempre uno più povero di noi”. Questa madre di famiglia, talmente tormentata dalla povertà, in questa sola frase, diceva tutto sui diritti dell’uomo. Diceva tutto, anche, sulle priorità da stabilire, su questa priorità instaurata da Dio e proclamata attraverso il Vangelo dalla vita di Gesù stesso. Questa priorità dei più poveri, priorità che il Cristo ha scelto di vivere. (Joseph Wresinski, Grande povertà: diritti di Dio e diritti dell’uomo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Febbraio 2023ultima modifica: 2023-02-14T22:24:58+01:00da fraternidade
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