Giorno per giorno – 16 Febbraio 2023

Carissimi,
“Gesù cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. […] Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi, rimproverò Pietro e gli disse: “Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mc 8, 31-33). A dire il vero, il testo originale dice: “Va dietro di me, satana!”, Gesù non manda via Pietro, lo richiama alla sequela, che consiste nell’andar dietro al Maestro, assumere il suo stesso progetto, accettarne lo scandalo, non essere di scandalo per lui. Ieri abbiamo visto nel vangelo la difficile, faticosa, guarigione del cieco di Betsaida, che ci rappresenta tutti, e oggi, questa stessa difficoltà a guarire la cecità, in questo caso, della fede, ci è testimoniata nell’attitudine di Pietro, che crede di vederci, perché ha confessato Gesù come messia, salvo vederlo al contrario di come è e deve essere nella sua verità: messia potente e vittorioso, invece che servitore e sconfitto. Questa solo parziale guarigione nella fede si è perpetuata a lungo nella storia della Chiesa, fino ai nostri giorni. Una Chiesa che, nonostante il Vangelo l’avesse ripetutamente allertata, si è lasciata spesso attrarre e sedurre dal lievito di Erode e dei farisei, cadendo nella spuria alleanza tra potere e religione, ben rappresentata nella blasfema leggenda costantiniana dell’ “In hoc signum vinces” (Con questo segno [la croce] vincerai), che ha caratterizzato così a lungo il regime di cristianità, in molte delle sue varienti, con le violenze, le guerre e i genocidi, di cui si è macchiato e continua a macchiarsi nella perversa identificazione con il mondo dell’opulenza contro i crocifissi della Storia. Gesù non è sulla croce brandita come arma dalle potenze del mondo, nelle crociate antiche e moderne, né in quella che veniva offerta al bacio di eretici e streghe condannati al rogo, egli è da sempre e per sempre Vittima tra le vittime di quelle potenze. Ora, noi potemmo chiederci: che tratti ha il nostro Messia? Che Gesù adoriamo? In che Dio crediamo? E, di conseguenza: che scelte politiche, economiche, sociali, religiose, ci contraddistinguono? È il caso di farci un pensiero.

Oggi è memoria di Janani Jakaliya Luwum, pastore e martire in Uganda, e dello starec Isidoro, asceta ed eremita.

Janani Jakaliya Luwum era nato nel 1922 a Mucwini, in Uganda. Da ragazzo era stato pastore del gregge di suo padre, un contadino di recente convertito al cristianesimo. Solo all’età di dieci anni aveva potuto cominciare a frequentare la scuola e lo fece con impegno e profitto, fino a conseguire il diploma di insegnante. Il 6 gennaio 1948, Janani ricevette il battesimo. L’esigenza che sentiva sempre più pressante di evangelizzare, lo portò, dapprima, ad essere catechista e, poi, a decidere di mettersi a tempo pieno al servizio della Chiesa. Ordinato sacerdote nel 1956, alternò soggiorni di studio in Inghilterra al lavoro pastorale e all’insegnamento nell’ Istituto teologico di Bulawasi, finché il 25 gennaio 1956 fu consacrato vescovo dell’Uganda settentrionale. Alla cerimonia erano presenti il presidente della repubblica, Milton Obote, e l’allora Capo di stato maggiore dell’esercito, Idi Amin. Nel 1974, Janani Luwum fu eletto Arcivescovo di Uganda, Rwanda, Burundi and Boga-Zaire. Nel frattempo, nel 1971 il Colonnello Idi Amin aveva rovesciato con un cruento colpo di stato il governo in carica e aveva instaurato una crudele dittatura militare. Migliaia di persone erano state arrestate, imprigionate senza alcun processo e giustiziate. L’arcivescovo Luwum non se ne stette zitto, né allora, né negli anni successivi. L’8 febbraio 1977, lui e quasi tutti i vescovi ugandesi si riunirono e stilarono una dura nota di protesta, in cui si denunciavano gli atti di violenza compiuti dai servizi di sicurezza del regime e si chiedeva un incontro urgente con il dittatore. Il 16 febbraio, gli ecclesiastici furono convocati nella capitale Kampala. Dopo un confronto farsa, che si risolse in una sorta di processo per tradimento ai vescovi presenti, ad uno ad uno, fu ordinato loro di andarsente. Fu trattenuto solo Luwum, che volgendosi al vescovo Festo Kivengere, disse: “Mi uccideranno, ma non ho paura”. Il giorno dopo fu diffusa la notizia che l’arcivescovo con due ministri del governo, cristiani impegnati, erano morti in un incidente d’auto. In seguito si seppe che lo stesso Amin, infuriato per il rifiuto di Luwum a sottoscrivere una confessione, gli aveva sparato a bruciapelo in volto. Era il 16 febbraio 1977.

Ioann (tale il nome alla nascita) era nato, nel 1824 (o, secondo un’altra versione, nel 1833), nel villaggio di Lyskovo, nel distretto di Makar’evo, nel governatorato di Nižegorod (Russia), nella famiglia di Andrey e Paraskeva Kozin, servi della gleba addetti ai servizi domestici alle dipendenze dei principi Gruzinskij. Quando era incinta di lui, la madre si era recata a Sarov, dallo starec Serafim e il santo l’aveva chiamata a sé e le si era prostrato davanti, predicendole che sarebbe nato da lei un grande asceta. Poco o nulla si sa degli anni giovanili di Ioann, salvo il fatto che, assieme ai divertimenti propri dell’età, egli dava spazio a momenti di preghiera e di meditazione. Nel 1852, avendo ormai chiara dentro di sé la vocazione allo stato monastico, chiese e ottenne di entrare nell’eremo del Getsemani, eretto dal metropolita di Mosca, Filarete. Nel 1860 Ioann fu ordinato monaco e prese il nome di Isidoro. Si trasferì allora nell’eremo del Paraclito, destinato agli amanti della solitudine più austera, dove ricevette l’ordinazione a ieromonaco. Lì restò cinque anni, fino a quando, cioè, gli si offrì la possibilità di recarsi nella repubblica monastica del Monte Athos, dove però potè trattenersi solo un anno. Tornato in patria, dopo un breve periodo al Paraclito, fece ritorno all’antico eremiterio, dove visse senza interruzioni, fino alla morte avvenuta alle undici di sera del 16 febbraio (3 febbraio per il calendario giuliano) del 1908. Pavel Florenskij, che fu suo figlio spirituale, nella biografia che gli dedicò, scrisse di lui: “Povertà, salute precaria, sprezzante trascuratezza, ingiurie, persecuzioni: ecco di quali spine si era ricoperto il sentiero della vita dello starec. E tuttavia, pur tra queste spine, egli era riuscito a serbare una tale serenità, una tale gioia, una tale pienezza di vita, quale noi non abbiamo né siamo in grado di conseguire nemmeno nelle condizioni in assoluto più favorevoli”.

I testi che la liturgia propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.9, 1-13; Salmo 33; Vangelo di Marco, cap.8, 27-33.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Oggi, Dom Pedro Casaldáliga, già e per sempre vescovo-profeta della nostra diocesi-sorella di Sâo Felix do Araguaia, compirebbe (anzi, compie, ai piani alti) 95 anni, essendo nato il 16 febbraio 1928, a Balsareny, provincia di Barcellona. Ne faremo memoria nel giorno della sua pasqua, ma vogliamo ricordarlo anche oggi, con una sua poesia, tratta dalla sua “Antologia Retirante – poemas” (Editora Civilização Brasileira). Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
[Raccogliendo il riso dei posseiros / di Santa Terezinha, / perseguitati / dal governo e dal Latifondo.] // Con un callo per anello, / monsignore tagliava il riso. / Monsignor “martello / e falce”?// Mi chiameranno sovversivo / e io dirò loro: lo sono. / Per il mio Popolo in lotta, vivo. / Con il mio Popolo in marcia, vado. // Ho la fede di un guerrigliero / e l’amore di una rivoluzione. / E tra Vangelo e canto / soffro e dico quello che voglio. / Se scandalizzo, prima / ho bruciato il mio cuore / nel fuoco di questa Passione, / croce del Suo stesso Legno. // Incito alla sovversione / contro il Potere e il Denaro. / Voglio sovvertire la Legge / che fa del Popolo un gregge / e del Governo il suo macellaio. / (Il mio Pastore è diventato Agnello, / Servitore è divenuto il mio Re.) // Credo nell’Internazionale / delle fronti sollevate, / di rapporti da pari a pari / e di mani intrecciate… / E chiamo l’ “Ordine” male / e il “Progresso” menzogna. / Ho meno pace che ira, / ho più amore che pace. // … Credo nella falce e nei fasci / di queste spighe cadute: / una Morte e tante vite! / Credo in questa falce che avanza / – sotto questo sole senza maschere / e nella comune Speranza – / così piegata e tenace! // (Dom Pedro Casaldáliga, Canção da foice e o feixe).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 16 Febbraio 2023ultima modifica: 2023-02-16T22:29:48+01:00da fraternidade
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