Giorno per giorno – 11 Febbraio 2023

Carissimi,
“In quei giorni, essendoci di nuovo molta folla che non aveva da mangiare, Gesù chiamò a sé i discepoli e disse loro: Sento compassione di questa folla, perché già da tre giorni mi stanno dietro e non hanno da mangiare. Se li rimando digiuni alle proprie case, verranno meno per via; e alcuni di loro vengono di lontano” (Mc 8, 1-3). La preoccupazione di Dio per la fame della gente potrebbe essere – o di fatto è – il primo articolo del nostro Credo, la sintesi della nostra professione di fede. E della morale che ce ne deriva. Ogni sera dovremmo chiederci: Mi sono davvero proccupato, e come, di chi ha fame? E se non troveremo risposte che ci dicano quante delle nostre scelte poste in essere siano state mosse anche da questa inquietudine (in portoghese si può giocare sulla parola “inquiet-ação”, un’inquietudine che spinge all’azione), dovremo confessare, come minimo, di essere bugiardi, quando non proprio atei del Dio di Gesù. L’Eucaristia, cui partecipiamo, chi ogni domenica, chi tutti i giorni, è un invito a farci alimento, in forza del Cibo che riceviamo, per saziare le fami del mondo. Gesù ne saziò quattromila, quel giorno, mille (cioè tutti) per ogni punto cardinale. La Chiesa, noi credenti, non si può essere da meno. Sulle formule si può anche discutere, non sui fini.

La Memoria di Nostra Signora di Lourdes, che la Chiesa cattolica celebra oggi è la maniera per ricordare il rendersi presente della madre di Gesù nella nostra vita e in quella della società e magari della Chiesa, per insegnarci come si dovrebbe essere. Presenti sempre anche noi ad ogni necessità altrui. Ridando vita nella nostra storia al Principio della cura. La memoria trae origine dalle apparizioni avute, tra l’11 febbraio e il 16 aprile 1858, da una giovane contadina analfabeta, Bernadette Soubirous. Una giovane sconosciuta, che Bernadette battezzò subito col nome di Aquerò (Quella là), in seguito le si rivelò con un nome ben più difficile a dirsi e ad intendersi: “Que soy era Immaculada Councepciou”. Aggiunse poi che era tempo che il mondo si desse una mossa. Ma il mondo sembra aver continuato imperterrito. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Noi in questo giorno ricordiamo anche Abraham Johannes Muste, profeta di pace e di nonviolenza, e di Marie-Dominique Chenu, teologo del Concilio.

Abraham Johannes Muste nacque l’8 gennaio 1885 a Zierikzee (Olanda), figlio di Adriana Jonker e Martin Muste. All’età di sei anni si trasferì con la famiglia negli Stati Uniti, di cui acquisì la cittadinanza. Sposato ad Anna Huizenga, nel 1909 fu ordinato pastore della Chiesa riformata. Ma, presto, deluso dagli insegnamenti di questa, passò ad essere pastore della Chiesa congregazionale, lasciandosi poi conquistare dal misticismo pacifista della Società degli Amici (quaccheri). A cavallo tra gli anni venti e trenta, si coinvolse nelle lotte del movimento sindacale, scivolando su posizioni marxiste e trozkiste. Finché, un giorno del 1936, entrando in una chiesa durante un viaggio in Europa, sentì più forte che mai la convinzione che era la chiesa la sua vera casa e il suo cammino, con la proposta evangelica della pace e della nonviolenza. Negli anni della proliferazione nucleare, Muste si persuase che il mondo fosse entrato in una nuova epoca buia e che i cristiani erano chiamati a creare piccole oasi di coscienza e ragionevolezza. Ad un cronista che gli chiese un giorno se pensava di cambiare il mondo facendo veglie all’esterno delle basi nucleari, rispose: “Non lo faccio per cambiare il mondo. Lo faccio per impedire al modo di cambiarmi”. Ripetutamente arrestato per le manifestazioni e proteste organizzate, fu anche uno degli artefici dell’opposizione alla guerra in Vietnam. Nel 1966, già ottantaduenne fu arrestato a Saigon, per aver tentato di manifestare davanti all’ambasciata Usa. Morì l’11 febbraio 1967 dopo esser tornato da un viaggio in Vietnam del Nord, dove potè testimoniare di persona gli effetti dei bombardamenti nordamericani. Soleva dire: “Non esiste una via alla pace, la pace è la via”.

Marcel Chenu era nato a Soisy-sur-Seine (Francia), il 7 gennaio 1895. Attratto dalla vita contemplativa, dalla liturgia, dallo studio e dalla vita di comunità, come egli stesso ebbe a confessare in seguito, entrò, diciottenne, nell’Ordine Domenicano, presso il convento di Le Saulchoir, a Kain, in Belgio. Qui fece la sua prima professione religiosa nel 1914, assumendo il nome di Marie-Dominique. Si recò, poi a Roma, a studiare teologia, all’Angelicum, sotto la guida del padre Réginald Garrigou-Lagrange. Fu ordinato presbitero nel 1919. Tornato in patria, l’anno successivo, fu nominato professore al Centro di Studi di Le Saulchoir (che nel 1939, si sarebbe trasferito a Étiolles, nei pressi di Parigi), dove rimase fino al 1942, quando fu costretto ad allontanarsene per la condanna del suo libro Une École de Théologie, uscito nel 1937 e diffuso per altro soltanto in sette/ottocento esemplari tra gli amici e gli allievi. La condanna intendeva colpire le proposte innovative di Chenu sulla necessità di diversi “stili teologici”, imposta dai mutamenti epocali in atto. Lasciato l’insegnamento di Le Saulchoir, Chenu fu assegnato al convento parigino di Saint-Jacques, dal quale fu allontanato nel febbraio del 1954, e inviato a Rouen, per il suo coinvolgimento nella questione dei preti operai. Solo nel giugno del 1962 farà ritorno definitivamente a Parigi. Dal settembre al dicembre dello stesso anno, fu chiamato come perito al Concilio Vaticano II. La Costituzione conciliare Gaudium et Spes risente del contributo della sua teologia dell’incarnazione, della creazione, della praxis, della storia. Quando Chenu compì 70 anni, fu festeggiato alla presenza del cardinal Feltin, che lo lodò per aver accettato umilmente e senza disobbedire le sanzioni imposte da Roma. Chenu balzò in piedi e disse: “Eminenza, non era obbedienza, perché l’obbedienza è una virtù morale, piuttosto mediocre. Era la fede che avevo nella parola di Dio, davanto alla quale gli scontri e gli incidenti di percorso non sono niente. È perché avevo fede in Gesù Cristo e nella sua Chiesa”. Dopo il 1966, padre Chenu visse nel convento di Saint-Jacques, dove morì l’11 febbraio 1990.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Genesi, cap.3, 9-24; Salmo 90; Vangelo di Marco, cap.8, 1-10.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Il 13 maggio 1992, Giovanni Paolo II, a cui solo un anno prima era stato diagnosticato il morbo di Parkinson, istituì la “Giornata mondiale del malato”, da celebrarsi l’11 febbraio, nella memoria liturgica della Madonna di Lourdes. Nella lettera che la creava, il papa, tra l’altro, scriveva: “La Chiesa che, sull’esempio di Cristo, ha sempre avvertito nel corso dei secoli il dovere del servizio ai malati e ai sofferenti come parte integrante della sua missione, è consapevole che «nell’accoglienza amorosa e generosa di ogni vita umana, soprattutto se debole e malata, vive oggi un momento fondamentale della sua missione». Essa inoltre non cessa di sottolineare l’indole salvifica dell’offerta della sofferenza, che, vissuta in comunione con Cristo, appartiene all’essenza stessa della redenzione. La celebrazione annuale della “Giornata Mondiale del Malato” ha quindi lo scopo manifesto di sensibilizzare il Popolo di Dio e, di conseguenza, le molteplici istituzioni sanitarie cattoliche e la stessa società civile, alla necessità di assicurare la migliore assistenza agli infermi; di aiutare chi è ammalato a valorizzare, sul piano umano e soprattutto su quello soprannaturale, la sofferenza; a coinvolgere in maniera particolare le diocesi, le comunità cristiane, le Famiglie religiose nella pastorale sanitaria; a favorire l’impegno sempre più prezioso del volontariato; a richiamare l’importanza della formazione spirituale e morale degli operatori sanitari e, infine, a far meglio comprendere l’importanza dell’assistenza religiosa agli infermi da parte dei sacerdoti diocesani e regolari, nonché di quanti vivono ed operano accanto a chi soffre”. A causa delle declinanti condizioni di salute, Benedetto XVI, scelse questo giorno, nel 2013, per annunciare la sua rinuncia al ministero di vescovo di Roma, gesto inedito e profetico nella storia della Chiesa.

Anche, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano di Marie-Dominique Chenu, tratto dal suo saggio “Apostolat de simple présence et charité politique”, in “La Parole de Dieu”, t. 2. “L’Évangile dans le temps” (Éd. du Cerf). Lo troviamo riportato nel sito della “Mission de France”, ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Due piccole Suore Bianche si trovavano di passaggio a Rouen. Vari gruppi cristiani le invitarono a presentare le loro attività missionarie in Africa. Al termine di uno degli incontri, dove avevano descritto il loro apostolato come una semplice presenza nella vita delle persone, in una pura testimonianza di amore, senza spirito di conquista, uno spavaldo cristiano del tipo classico, piuttosto sconcertato da questa discrezione, pose la domanda: “Ma, sorella, quante persone avete convertito?”. Al che la piccola Suora, a sua volta sconcertata, rispose: “Ma noi non viviamo con loro per convertirli! …”. Va da sé che tutta l’anima delle Suore è tesa alla Salvezza di coloro la cui vita hanno adottato per amore nel Cristo; ma questo fervore si esprime proprio in una comunione che rifiuta ogni proselitismo, dove, se fosse spirituale, l’interesse decomporrebbe la verità dell’amore. I casi e le forme di questo apostolato silenzioso si moltiplicano nella Chiesa. Non sono più opera di poche persone isolate poste in condizioni difficili e obbligate; sono sempre più visti come un’importante applicazione del Vangelo tra le nazioni. […] Non è solo nelle regioni del mondo musulmano che si esercita questa presenza, come se l’apostolato lì fosse ridotto a mezzi così poveri. È ovunque dove, secondo le esigenze di un’incarnazione, l’amore fraterno sa spingersi fino alla comunione di vita, oltre gli apparati di una cristianità consolidata. L’esperienza dei preti operai non è poi così fuori dal comune. […] Diciamo senza ulteriori approfondimenti, che questa non è un’abilità tattica, ma il primo atto di una Chiesa in stato di missione, senza il quale le altre attività apostoliche rischiano di trasformarsi in un condizionamento sociologico, con tutta la sua impurità. (Marie-Dominique Chenu, Apostolat de simple présence et charité politique).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Febbraio 2023ultima modifica: 2023-02-11T22:18:56+01:00da fraternidade
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