Giorno per giorno – 12 Febbraio 2023

Carissimi,
“Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto di ripudio; ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all’adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio” (Mt 5, 31-32). Del lungo brano di Vangelo, proposto dalla liturgia di oggi, i versetti che, nel tempo dedicato alla condivisione della parola, hanno visto un maggior numero di interventi, sono stati questi che a prima vista appaiono così impietosi nei confronti di quanti ne vivono l’esperienza. Padre Carlos si era limitato a dire che, nel caso di coppie divorziate e risposate, nessuno si deve sentire escluso dalla comunità ecclesiale, accettando nel contempo alcuni limiti, quali concretamente l’accesso all’Eucaristia, al sacramento della Riconciliazione e ovviamente alla celebrazione di un secondo matrimonio. La chiesa, stamattina, era abbastanza gremita, con persone che venivano anche da fuori. Una di loro ha osservato che, con questa disciplina, un po’ paradossalmente l’uxoricida risulterebbe avvantaggiato/a rispetto al divorziato/a, perché potrebbe semplicmente confessarsi e sarebbe così riammesso/a ai sacramenti. Di buono c’è che papa Francesco è intervenuto tempo fa sollecitando i tribunali ecclesiastici a considerare adeguatamente la presenza o meno del vincolo sacramentale nei matrimoni celebrati in chiesa di quanti ricorrono ad essi, tanto è superficiale in molti cssi la preparazione degli sposi e la consapevolezza di ciò che si sta celebrando. Il che risulterebbe nel riconoscimento di nullità. La stessa eccezione presentata da Gesù, tradotta un po’ affrettatamente con “concubinato”, vale a dire unione illegittima, potrebbe/dovrebbe avere, a partire dal termine greco del testo originario (“porneia”), un’applicazione più ampia, riferita a tutto ciò che rende spregevole un’unione che si voglia matrimoniale, violenza, disprezzo, abusi, che non rappresentano certo l’amore che Dio intende consacrare. Considerazioni che non intendono sminuire l’importanza dell’indissolubilità del vincolo, ma a valorizzarla sempre più.

Bene, i testi che la liturgia di questa 6ª Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro del Siracide, cap.15, 16-21; Salmo 119; 1ª Lettera ai Corinzi, cap.2, 6-10; Vangelo di Matteo, cap.5, 17-37.

La preghiera della domenica è, come sempre in comunione con le chiese cristiane di tutte le denominazioni.

Il nostro calendario ci porta oggi le memorie di Dorothy Stang, missionaria e martire della solidarietà in Brasile, di Vittorio Bachelet, martire della giustizia in Italia, e di Lorenzo della Risurrezione, mistico del nascondimento quotidiano, in Francia.

Dorothy Stang era nata il 7 luglio 1931, a Dayton, nello Stato dell’Ohio (Usa). Nel 1948 era entrata nella congregazione di Notre Dame di Namur, un ordine che conta circa duemila suore sparse nei cinque continenti. Emessi i voti solenni nel 1956, aveva continuato ad insegnare nelle scuole della Congregazione sino al 1966, quando fu mandata in Brasile. Stabilitasi a Coroatá, nel Maranhão, cominciò subito ad occuparsi della situazione e delle lotte dei contadini più poveri. Trasferitasi nel Pará, seguendo i flussi migratori della sua gente alla ricerca di migliori condizioni di vita, Dorothy si impegnò con la Commissione Pastorale della terra nella creazione di un nuovo modello di insediamento agricolo, basato sulla produzione familiare e sulle attività estrattive di sussistenza a basso impatto ambientale. Inevitabile lo scontro con gli interessi di latifondisti e fazendeiros della regione, che iniziarono a moltiplicare le minacce di morte nei confronti della religiosa. Il 12 febbraio 2005, secondo il racconto di alcuni testimoni, due pistoleiros abbordarono irmã Dorothy ad Anapú, tenendola sotto la minaccia delle armi. La religiosa senza scomporsi tentò di dissuaderli dal mettersi nei guai, mostrò loro che aveva come unica arma di difesa la Bibbia, giunse persino a legger loro alcuni versetti. Ma, inutilmente: nove colpi sparati a bruciapelo posero fine alla vita di questa suora, che aveva dedicato la sua vita ai poveri.

Vittorio Bachelet era nato il 20 febbraio del 1926 a Roma, ultimo di nove fratelli, nella famiglia, di origine piemontese, di Giovanni e Maria Bosio. Decisivi per la sua formazione cristiana furono l’esempio della madre, catechista, e la guida dei sacerdoti che ne accompagnarono la crescita e la maturazione. Nel 1934 aderì all’Azione cattolica, poi, da studente universitario, alla FUCI e, infine, al Movimento Laureati. Nel 1951 sposò la compagna della sua vita, Maria Teresa, da cui avrà due figli, Maria Grazia e Giovanni. Ricoprì ruoli di rilievo sia in ambito ecclesiale che in quello professionale. Fu professore universitario a Trieste, Palermo e Roma. Giovanni XXIII lo nominò vice-presidente dell’ AC. e Paolo VI, nel 1964, presidente. Sotto la sua presidenza fu inaugurata la scelta religiosa dell’organizzazione, con l’intento di procedere al suo rinnovamento, alla luce delle novità scaturite dal Concilio. Dopo gli anni del presenzialismo e dell’interventismo a vasto raggio, era tempo per l’Azione cattolica, di “riprendere a pregare, a meditare, a far sua la missione della Chiesa sul piano della formazione delle coscienze, imitando Gesù mite e umile di cuore”, riscoprendo “la centralità dell’annuncio di Cristo, l’annuncio della fede da cui tutto il resto prende significato”. Questa centralità di Gesù, soprattutto nella sua dimensione eucaristica (vita che si dona) non fu semplice enunciazione di principi, ma si tradusse per Bachelet in testimonianza concreta di vita in ogni suo ambito. Nel 1976, dopo essersi dimesso da ogni posto di responsabilità ecclesiale, per evitare possibili strumentalizzazioni, si candidò alle elezioni per il consiglio comunale di Roma e fu eletto con un numero altissimo di preferenze. Pochi mesi più tardi, tuttavia, dovette lasciare l’incarico, perché nominato vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Il 12 febbraio 1980, al termine di una lezione, venne assassinato da due terroristi delle Brigate Rosse, nell’atrio della facoltà di scienze politiche. Ai suoi funerali, due giorni dopo, il figlio Giovanni pregò così: “Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri”.

Nicola Herman era nato ad Hériménil, presso Lunéville, in Lorena, nel 1614, da Joseph de Beaufort e Louise Mayeur. A diciotto anni, d’inverno, contemplando un albero spoglio, “ricevette, secondo le parole del suo biografo, un’alta concezione della provvidenza e della potenza di Dio, che mai si cancellerà dalla sua anima”. La vita, tuttavia, riprese il suo ritmo di sempre. Miseria, fame, guerra. Interminabili. Nicola si arruolò nell’esercito del duca Carlo IV. Fu fatto prigioniero dai tedeschi e rilasciato. Successivamente, ferito gravemente, fece ritorno a casa. Lì fece una prima esperienza di vita eremitica, che durò poco. Trasferitosi a Parigi, lavorò come cameriere a Parigi. Ma viaggiava sull’imbranato, e rompeva tutto. Conosciuta la chiesa dei frati carmelitani, in rue de Vaugirard, cominciò a frequentarla e nel 1640 decise di entrare in convento come fratello laico, prendendo il nome di Lorenzo della Risurrezione. Sarà cuoco, poi calzolaio al servizio di quella comunità. Il che non risultò affatto semplice, perché, per molto tempo, Lui non si fece sentire. Per dieci anni, infatti, Lorenzo attraversò una lunga notte dello spirito, finché, con un atto di abbandono totale, cambiò tutto. Ed egli divenne testimone radioso della presenza di Dio. Negli anni successivi, la sua fama si sparse e cominciò ad arrivare gente a cercarlo, anche personaggi famosi come Fénelon. Dopo la sua morte avvenuta il 12 febbraio 1691, l’abate G. de Beaufort prenderà l’iniziativa di pubblicare una piccola collezione delle sue massime spirituali e di altri scritti, che presto furono tradotti da studiosi protestanti ed anglicani in tedesco, in inglese e più tardi in una quindicina di altre lingue. Insegnava che la vita spirituale consiste tutta nella pratica della presenza di Dio, “un mestiere” che bisogna “imparare”: un po’ penoso all’inizio, ma che praticato con fedeltà, produce poi, segretamente, nell’anima, effetti meravigliosi. “Non ci si deve mai stancare di compiere piccole cose per amor di Dio che guarda non la grandezza dell’opera, ma l’amore” e ancora: “Io giro la mia frittata nella padella per amore di Dio”.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione di Vittorio Bachelet, tratta da un suo intervento su “Ricerca”, rivista della FUCI, dell’agosto 1947. Che noi troviamo in rete e che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
È certamente questa una delle leggi singolari e difficili del cattolicesimo: difendere le proprie idee e i propri diritti, ma difenderli amando coloro che combattono per ideali opposti, e amare significa essere in ansia per la loro vita, avere a cuore il loro buon nome, saper pregare per loro, essere capaci di offrire in ogni momento un sorriso di pace, e questo non vuol dire essere fiacco. (Vittorio Bachelet, su Ricerca, Rivista della Fuci, agosto 1947).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 12 Febbraio 2023ultima modifica: 2023-02-12T22:20:37+01:00da fraternidade
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