Giorno per giorno – 05 Novembre 2022

Carissimi,
“Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza” (Lc 16, 9. 13). Il testo originale parla di “mammona dell’ingiustizia” (mamonâ tês adikías), come è ingiusta ogni ricchezza accumulata, sottratta al soddisfacimento delle necessità comuni. Mammona, dal radicale ebraico ‘mn’ (che dà origine anche alla parola Amen) designa allora le ricchezze come fonte della nostra sicurezza, che vengono così a sostituirsi a Gesù, l’Amen di Dio (cf Ap 3, 14). Padre Gunther, stasera, ricordava, come i Padri della Chiesa fossero particolarmente severi verso le ricchezze, seguendo in questo, da vicino, l’insegnamento di Gesù. Giovanni Crisostomo, ad esempio, nella XII Omelia sulla prima lettera di Paolo a Timoteo, sosteneva che esse sono sempre frutto di rapina, o degli attuali proprietari o di un qualche loro antenato. E se anche fossero frutto di un colpo di fortuna, esse sono cattive se non vengono messe a disposizione degli altri. Noi, volenti o nolenti, siamo inseriti in un Sistema che fa della ricchezza accumulata il motore del suo sviluppo, di cui tutti si diventa in qualche modo ingranaggi, funzionali al suo continuo potenziamento e al corrispettivo impoverimento di altri. Il che è la negazione di quella società fraterna propria del progetto di Dio. Gesù ci invita a rompere il circolo diabolico dell’ingiustiza, facendoci amici i poveri (a livello anche personale, certo, ma esigendo soprattutto scelte politiche nuove), abbattendo il debito che essi hanno non nei confronti di Dio, come si rischia di dedurre dalla parabola di ieri (cf Lc 16, 1-8), ma che il mondo dell’opulenza ha imposto al Sud del mondo e che in realtà è specchio del debito che, attraverso ruberie, sfruttamento e strozzinaggio, quello è venuto contraendo nei confronti di questo. No, non si può proprio servire simultaneamente Dio e la ricchezza.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Bernhard Lichtenberg, presbitero e martire del totalitarismo nazista; del Card. Jules-Géraud Saliège, pastore e “giusto tra le nazioni”, e di Giorgio La Pira, il sindaco santo.

Bernhard Lichtenberg era nato, il 3 dicembre 1875, a Ohlau, cittadina della Bassa Slesia, allora in Prussia (oggi Oława, in Polonia). Desideroso di seguire la vocazione sacerdotale, terminata la scuola superiore, entrò in seminario e, dopo gli studi teologici, fu ordinato prete, nel 1899. Inviato a svolgere il suo ministero a Charlottenburg, un quartiere di Berlino, trovò modo di impegnarsi anche nel partito cattolico. Durante la prima guerra mondiale fu cappellano militare e questa esperienza lo portò ad integrare, nell’immediato dopoguerra, l’Associazione per la pace dei cattolici tedeschi. Dal 1920 al 1930 fu membro del parlamento regionale. Nel 1932 Lichtenberg fu chiamato a ricoprire l’incarico di rettore della Cattedrale di Sant’Edvige. Nel 1933, quando il regime nazista assunse il potere in Germania, egli si fece portavoce delle istanze avanzate dalla comunità ebraica di Berlino. In netto contrasto con la maggior parte delle istituzioni politiche e sociali del suo tempo, riteneva che fosse dovere vincolante del prete cattolico intervenire in soccorso di chiunque si trovasse in pericolo di vita, indipendentemente dal suo credo religioso. La sua opera di sensibilizzazione nei confronti della popolazione ebraica assunse un carattere più istituzionale nell’agosto 1938, quando Lichtenberg venne messo a capo dell’Ufficio di Soccorso dell’episcopato di Berlino, che si dedicò, tra l’altro, ad organizzare l’emigrazione di molte persone di origine ebraica. Quanto accadde nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938, la famosa Kristallnacht, passata sotto silenzio da tutte le Chiese, vide invece la denuncia puntuale, chiara e pubblica di Lichtenberg dal pulpito di Sant’Edvige. Da quella sera e fino al giorno del suo arresto, il prete continuò a predicare impavido a favore degli ebrei e delle altre vittime del regime, denunciandone le deportazioni e le misure volte a criminalizzare chi si accingesse ad aiutarli. Il 23 ottobre 1941, in seguito ad una perquisizione della sua canonica e del sequestro di alcuni appunti per l’omelia della domenica successiva, fu arrestato sotto l’accusa di attività sovversiva. Durante l’interrogatorio, Lichtenberg rifiutò di ritrattare quanto aveva scritto. Affermò con chiarezza che la visione dell’uomo e della storia presente nell’ideologia nazista era inconciliabile con il cristianesimo che egli, come prete cattolico, era tenuto ad opporvisi con tutte le forze. Nel maggio 1942, il tribunale distrettuale di Berlino lo condannò a due anni di reclusione. Rinchiuso nel carcere di Tegel, rifiutò di sottoscrivere la proposta della Gestapo che concedeva la libertà in cambio del giuramento di astenersi dal predicare per tutta la durata della guerra. Il servizio di sicurezza nazista ordinò allora il suo internamento nel campo di concrentramento di Dachau. Nel corso della deportazione, sfiancato dai tormenti sofferti, morì, presso la cittadina di Hof, il 5 novembre 1943. Aveva sessantotto anni. È stato beatificato da Giovanni Paolo II, il 23 giugno 1996, e dichiarato “Giusto tra le nazioni” dallo Yad Vashem, il 7 luglio 2004.

Jules-Géraud Saliège era nato a Mauriac il 24 febbraio 1870. Ordinato prete nel 1895, divenne, due anni più tardi, rettore del Seminario Maggiore di Saint-Flour, dove resterà fino al 1914, quando partì per il fronte come cappellano militare. Dopo la Guerra, nell’ottobre 1925 fu nominato vescovo di Gap e, nel dicembre 1928, arcivescovo di Tolosa. Il 12 aprile 1933, poco dopo l’ascesa al potere di Hitler, avvenuta nel gennaio dello stesso anno, mons. Saliège, prese pubblicamente le difese degli ebrei minacciati dall’avanzata del nazismo. Il 19 febbraio 1939 ricordò la condanna, da parte della Chiesa, del razzismo, un errore che PioXI, nella Lettera Enciclica Mit Brennender Sorge aveva dichiarato fondamentalmente contrario agli insegnamenti del Vangelo. Schierato inizialmente, come la quasi totalità dei vescovi francesi, a favore del governo collaborazionista del maresciallo Petain, se ne allontanò decisamente a partire dal marzo 1941, condannandone i principi totalitari e la deriva antisemita. Parrocchie e istituzioni religiose furono da allora sollecitati a ospitare e nascondere gli ebrei perseguitati, a falsificare documenti di identità e redigere falsi certificati di battesimo, a organizzare la fuga dei ricercati in Spagna attraverso i sentieri dei Pirenei. Il 23 agosto 1942 con una Lettera Pastorale che recava la perentoria postilla: “Da leggersi in tutte le chiese senza commenti”, il card. Saliège condannava una volta di più gli orrori a cui si doveva assistere. Sfuggito, il 9 giugno 1944, all’arresto e alla deportazione, per le precarie condizioni di salute che ne impedirono il trasporto, dopo la liberazione fu acclamato come “primo resistente della città” nella piazza del Campidoglio. Ricevette la Croce dell’ “Ordine della Liberazione”. Il Memoriale Yad Vashem gli diede il riconoscimento di “Giusto tra le nazioni” (Hasid Ummot Ha-‘Olam), per le molte vite di ebrei che salvò. Creato cardinale il 18 febbraio 1956, morì il 5 novembre dello stesso anno.

Giorgio La Pira nacque il 9 gennaio 1904 a Pozzallo, in Sicilia, da Gaetano La Pira e Angela Occhipinti, primogenito di sei figli. Giovane studente di Diritto, all’università di Messina, visitava le vecchie baracche della città, portando cibo, medicine, vestiti. Laureatosi a pieni voti, nel 1926, dopo un corso di specializzazione, in Austria, in Diritto Romano, fu chiamato a insegnare all’Università di Firenze. Nel 1928 divenne membro dell’Istituto secolare dei Missionari della Regalità di Cristo, pronunciando i voti religiosi. Nel capoluogo toscano conobbe presto e divenne amico di mons. Elia Della Costa e di don Giulio Facibeni. L’amicizia che contemporanemente instaurò con mons. Montini lo portò a incontrare don Raffaele Bensi, che scelse come suo direttore spirituale. In quegli anni continuò e approfondì il suo impegno sociale, divenendo, durante la dittatura fascista, un coraggioso difensore dei diritti della persona umana. Nell’immediato dopoguerra, eletto Deputato alla Costituente, contribuì, con Moro, Dossetti, Basso, Calamandrei, Togliatti, alla formulazione dei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica, affermando le libertà civili e religiose, il diritto al lavoro, il valore della persona umana. Eletto nel 1951 sindaco di Firenze, avviò una politica, le cui priorità erano l’affermazione del diritto alla salute, alla casa, al lavoro e l’instancabile ricerca del dialogo, della pace e dell’amicizia tra i popoli. Abitando, finché la salute glielo permise, in una cella del convento domenicano di san Marco, lavorò senza sosta per abbattere i muri della sfiducia, dell’odio, dell’inimicizia. Incontrò i maggiori leader mondiali dell’epoca, parlando ai cuori e alle menti di tutti, durante le crisi più difficili degli anni 50 e 60. Morì il 5 novembre 1977.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Filippesi, cap.4, 10-19; Salmo 112; Vangelo di Luca, cap.16, 9-15.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Ed è tutto, per stasera. Prendendo spunto dalla memoria di Giorgio La Pira, vi proponiamo una sua citazione, riportata in un articolo dal titolo “Giorgio La Pira. Quando la politica diventa missione”, pubblicato dalla rivista Gentes, N. 4 Luglio-Agosto 2011. Lo troviamo in rete ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Volere seriamente la massima occupazione e, al limite, il pieno impiego, significa accettare alcune premesse e volere alcuni strumenti senza l’uso dei quali non è possibile raggiungere quel fine. C’è, anzitutto, una premessa di natura squisitamente cristiana: è vano – per un Governo – parlare di valore della persona umana e di civiltà cristiana, se esso non scende organicamente in lotta al fine di sterminare la disoccupazione ed il bisogno che sono i più temibili nemici esterni della persona. Che significa, infatti, che tutta la legge ed i Profeti si riassumono nell’unico comandamento dell’amor di Dio e dell’amor del prossimo? Che significa ama il prossimo tuo come te stesso? Vorrei io essere disoccupato, affamato, senza casa, senza vestito, senza medicinali? No, certo: e, quindi, questo no io devo anche pronunziare per i miei fratelli. Se io sono uomo di Stato il mio no alla disoccupazione ed al bisogno non può che significare questo: che la mia politica economica deve essere finalizzata dallo scopo dell’occupazione operaia e della eliminazione della miseria: è chiaro! Nessuna speciosa obbiezione tratta dalle “leggi economiche” può farmi deviare da questo fine: devo sempre ricordarmi che il Vangelo non è un libro di pietà (anche!): esso è anzitutto un “manuale di ingegneria” (parabola del costruttore, Mt 7, 24-29): cioè un rivelatore delle leggi costituzionali, ontologiche dell’uomo; le sole leggi che permettono una solida costruzione della vita personale, sociale e storica dell’uomo. (Giorgio La Pira, cit in Giorgio La Pira. Quando la politica diventa missione).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 05 Novembre 2022ultima modifica: 2022-11-05T22:17:26+01:00da fraternidade
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