Giorno per giorno – 11 Maggio 2022

Carissimi,
“Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato. Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo giudico; perché non sono venuto per giudicare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo giudica: la parola che ho annunziato lo giudicherà nell’ultimo giorno” (Gv 12, 44. 47-48). Credere in Dio è dunque credere in Gesù, che ne è la rivelazione definitiva in ogni suo gesto e parola fino al suo autoconsegnarsi alla morte ignominiosa della croce, forma suprema della sua verità, che preferisce il suo nientificarsi, nel lasciarsi uccidere, allo smentire l’incondizionatezza del suo amore, che raggiunge anche i suoi carnefici. Il giudizio sull’operato dei quali non è pronunciato da Dio, che non giudica, ma dalla parola dell’amore che culmina nella Croce. Il rifiuto consapevole di essa, nell’agire in vista della morte (il nemico di Dio per eccellenza), porta a negare la propria realtà di figli, generati all’amore, alla libertà e alla vita. Comporta un consegnare le proprie azioni alla spazzatura della storia, da cui Dio cerca insistentemente di liberarci, affinché si divenga, o si torni ad essere, suoi cooperatori nel processo di salvezza del mondo.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Matteo Ricci, il “saggio d’Occidente”, missionario in Cina; Carlos Mugica, prete dei poveri e martire in Argentina; Alfonso Navarro e Luis Torres, martiri in Salvador; Johann Arndt, teologo e mistico.

Matteo Ricci era nato a Macerata il 6 ottobre 1552. Dopo aver studiato nel collegio dei gesuiti della sua città, fu dal padre inviato a Roma per studiarvi diritto. Nel 1571 interruppe gli studi e decise di entrare nella Compagnia di Gesù. Sei anni più tardi, trasferitosi a Lisbona, in vista di una sua partenza per le missioni, studiò teologia per un anno nel collegio di Coimbra. Nel marzo 1578 s’imbarcò per l’India, con destinazione Goa, dove giunse dopo un viaggio di quasi sei mesi. Lì, proseguì i suoi studi teologici e fu ordinato sacerdote nel 1580. Nel 1582 fu inviato a Macao, per aiutare un suo confratello, padre Ruggeri, nel tentativo di entrare in Cina. Vi riuscirono insieme nel settembre 1583 e fondarono così la prima residenza di Zhaoqing. Cominciava in questo modo la grande avventura di questo giovane gesuita dalla cultura eccezionale e dalla memoria prodigiosa, sotto il segno del “farsi cinese con i cinesi”, in un processo di inculturazione linguistica, culturale, sociale e religiosa, che parve a molti rivoluzionario e ai limiti della tollerabilità per quei tempi, ma che ha ancora da insegnare ai nostri. Introdusse in Cina le conoscenze scientifiche dell’Occidente, nel campo della matematica, della geometria, della geografia e dell’astronomia. E, con i suoi scritti, fornì all’Europa una conoscenza ampia ed esaustiva della cultura cinese in tutti i suoi aspetti. Il rispetto che nutrì e mostrò nei confronti della civiltà millenaria che l’aveva accolto fu ampiamente ricambiato dall’ atteggiamento di stima e di benevolenza che lo circondò, al punto di essere nominato mandarino e di ottenere un vitalizio a spese dello stato. Alla sua morte, avvenuta a Pechino l’11 maggio 1610, l’imperatore proclamò un lutto generale e consentì, cosa mai concessa ad uno straniero, che fosse sepolto nella capitale.

Carlos Francisco Sergio Mugica Echagüe era nato a Buenos Aires, il 7 ottobre 1930, terzo di sette figli di Adolfo Mugica (che sarà deputato e successivamente ministro degli esteri argentino) e di Carmen Echagüe. Studente brillante, appassionato di sport e giovane dai molteplici interessi culturali, dopo un viaggio a Roma, in occasione dell’anno santo 1950, maturò la vocazione sacerdotale. Lasciò allora gli studi di Diritto per il seminario. Ordinato sacerdote il 21 dicembre 1959, fu da prete che si accorse dell’esistenza dei poveri. Cominciò allora a compiere scelte che lo avrebbero posto sovente in esplicito contrasto con una gerarchia, perlopiù retriva e conservatrice, in tempi di ingiustizia, violenza e repressione, che richiedevano invece attitudini profetiche. Pregava così: “Signore, voglio vivere d’ora in avanti come uomo libero. Voglio ricordare, una volta per tutte, che il mio futuro è nelle tue mani e che tu sei mio Padre. E quando mi assaliranno paura, scoraggiamento, sfiducia, ricordami, mio Dio, che mi sei vicino e che le fila della mia vita sono nelle tue mani, mani di padre, mani di amico, che mai mi hanno abbandonato”. Nel 1967 fu mandato a Parigi a studiare e seppe della nascita del Movimento Sacerdoti del Terzo Mondo, cui aderì da subito. Tornato, l’anno successivo in Argentina, fu destinato a Villa Retiro, un sobborgo povero di Buenos Ayres, dove con l’aiuto del fratello Alessandro costruì un centro polivalente dedicato a Cristo Operaio. Accusato di contiguità con gli ambienti dei Montoneros, fu più volte minacciato di sospensione a divinis, minaccia che il prete confessava di vivere con tristezza e angoscia. Il 2 luglio 1971 una bomba esplose, fortunatamente senza far vittime, nella casa dove, in una cameretta all’ultimo piano, abitava padre Carlos. Questi dichiarò: “Niente né nessuno mi impedirà di servire Cristo e la sua Chiesa, lottando insieme ai poveri per la loro liberazione. Se il Signore mi concederà il privilegio, che non merito, di perdere la vita in questa impresa, sono a sua disposizione”. E, il privilegio gli fu dato. L’11 maggio 1974, mentre saliva in macchina dopo aver celebrato messa nella Chiesa di san Francesco Solano, fu colpito a morte da cinque colpi sparati da Rodolfo Eduardo Almirón, un killer della Triplice A, un’organizzazione dell’estrema destra peronista. Il peggio, per l’Argentina, sarebbe arrivato di lì a poco. I resti mortali di padre Mujica furono trasferiti, il 9 ottobre 1999, dal cimitero della Recoleta alla parrocchia di Cristo Obrero, nella Villa 31, con una cerimonia presieduta dall’arcivescovo di Buenos Ayres, Jorge Mario Bergoglio.

Alfonso Navarro era un prete salvadoregno, parroco a San Juan de Opico, dove si era dedicato a rafforzare la locale cooperativa dei piccoli contadini e a formare operatori di pastorale, soprattutto giovani. La sua predicazione e la sua attuazione indispettirono presto i latifondisti della zona, che presero ad accusarlo di essere sovversivo e comunista, minacciandolo di morte. Questo spinse il suo vescovo a trasferirlo alla parrocchia di Colônia Miramonte, in una zona residenziale di San Salvador. Ma anche lì, padre Alfonso continuò quello di sempre, propondendosi di aiutare la gente a scoprire la dimensione fraterna della comunione. E questo suonava male all’orecchio dell’oligarchia locale. Nel gennaio 1977 una bomba fu collocata nel garage della casa parrocchiale, la sua automobili finì distrutta, ma il prete si salvò per una questione di attimi. L’11 maggio dello stesso anno, quattro uomini armati penetrarono in casa. Con un colpo di karaté gli spezzarono un braccio, lo crivellarono con sette proiettili e, prima di uscire, spararono a bruciapelo alla testa di Luis Torre, Luisito, di 14 anni, uccidendolo sul colpo. Un altro dei giovani compagni che era subito accorso per prestare assistenza al prete, lo udì sussurrare: “Muoio per aver annunciato il Vangelo. So chi mi ha ucciso. Sappiano che li perdono”. Alfonso Navarro aveva 35 anni.

Johann Arndt, nato, il 27 dicembre 1555, a Ballenstedt, in Anhalt (Germania), studiò teologia a Tubinga, completando poi i suoi studi a Strasburgo. È ritenuto l’ispiratore del pietismo tedesco: i suoi libri, infatti, esercitarono una profonda influenza su Philipp Jakob Spener, fondatore del movimento. (1533-1588). Il suo lavoro più famoso, “Quattro (in realtà, alla fine, sei) libri sul vero Cristianesimo” rappresenta una ponderosa raccolta di meditazioni e di preghiere, in cui Arndt, sviluppando in maniera quasi esclusiva gli elementi mistici della dottrina di Lutero e unendoli a motivi tratti dai mistici tedeschi ma anche da teologi cattolici, e da una mistica come Angela da Foligno, contrappone l’unione mistica in Cristo come fine ultimo del cristianesimo, all’ordine di salvezza, la dottrina luterana ortodossa della giustificazione per fede e della riconciliazione dell’uomo con Dio per mezzo del sacrificio di Cristo. Accomunato ai più famosi mistici del luteranesimo, come Sebastian Franck, Caspar Schwenckfeld von Ossig, Jakob Boehme e Valentin Weigel, Arndt morì l’11 maggio 1621.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.12, 24 – 13, 5a; Salmo 67; Vangelo di Giovanni, cap.12, 44-50.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale ne sia la religione, la cultura o la filosofia di vita.

È tutto, per stasera. Noi ci congediamo qui, offrendovi in lettura un brano di Carlos Mugica, tratto da un suo scritto dal titolo “El Rol Del Sacerdote”, che troviamo nel sito “Carlos Mugica, Martir de los Pobres” e che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Nel 1954 appare un uomo di nome Abbé Pierre e dice: prima di parlare di Dio all’uomo che non ha tetto, dobbiamo dargli un tetto. Allora noi cristiani capiamo che dargli un tetto è già parlare di Dio. O, meglio, aiutarlo a darsi un tetto è aiutarlo ad aiutarsi. E questo è parlare di Dio. E questo è ciò che diranno i vescovi nella dichiarazione di San Miguel: umanizzare è evangelizzare. Se l’avessero detto dieci anni fa sarebbero stati condannati. Helder Câmara lo disse dieci anni fa e dissero che era un orizzontalista, un temporalista, che aveva perso il senso del soprannaturale. Oggi lo dice qualsiasi prete normale, anche se non appartiene a nessun movimento avanzato. Umanizzare è evangelizzare. Succede però che non è evangelizzare integralmente. Evangelizzare integralmente è far vedere all’uomo che deve vivere pienamente tutti i suoi valori umani, ma che è chiamato a trascenderli. Per portarli a un livello più alto, che è il livello divino. L’uomo ha un destino divino. Ecco perché ogni essere umano, anche se ubriaco o ladro, è un essere con potenzialità divina. E se è diseredato, se vive in una baraccopoli, devo amarlo molto di più, devo preoccuparmi molto di più perché smetta di vivere in una baraccopoli e possa vivere con un lavoro che sia creativo, in modo che possa partecipare effettivamente al potere, affinché governi attraverso coloro che lo rappresentano realmente, perché è figlio di Dio, non è uno qualunque. Per me, cristiano, questa è un’esperienza importantissima. Nella baraccopoli, oltre al fatto di stare con i miei fratelli ed essere disposto, con l’aiuto di Dio, a lottare per loro, posso dire loro: “Voi siete liberati, perché nella misura in cui credete di essere figli di Dio, cominciate a prendere coscienza, già ora, della vostra tremenda dignità”. E questo è molto importante. (Carlos Mugica, El Rol Del Sacerdote).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Maggio 2022ultima modifica: 2022-05-11T22:42:34+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo