Giorno per giorno – 16 Gennaio 2022

Carissimi,
“Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: Riempite d’acqua le giare; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: Ora attingete e portatene al maestro di tavola” (Gv 2, 6-7). Benché suscettibile di molte possibili interpretazioni, il racconto delle nozze di Cana, padre Geraldo, nell’omelia di stamattina, ha voluto inquadrarlo a partire dalla prima lettura. “Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi darò pace, finché non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada” (Is 62, 1). Dove Gerusalemme é immagine non più solo della Città santa, ma di ogni paese e anche dell’intera umanità. La mancanza di giustizia, l’assenza di salvezza contituiscono una ferita che rimane aperta e chiedono la nostra denuncia attiva, finché e perché la storia torni a disegnarsi come è nel progetto di Dio: un banchetto nuziale, a cui tutti debbono poter partecipare. Allora: “Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma tu sarai chiamata Mio compiacimento e la tua terra, Sposata, perché il Signore si compiacerà di te e la tua terra avrà uno sposo” (v. 4). E ancora: “Come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te” (v. 5). Le nozze di Cana raccontano questo passaggio: dall’esperienza di desolazione che attraversiamo al necessario concorso fattivo (la denuncia della Madre: non hanno più vino; il suo invito ai servi: fate quello che vi dirá; e il faticoso servizio di questi), perché la festa accada. Risulta facile, allora, vedere ciò a cui siamo chiamati oggi, come in ogni tempo, perché il vino dell’amore di Dio per la sua sposa-umanità, sottratto a ogni pretesa di monopolio, segni in maniera sempre più determinante le relazioni tra i popoli, le culture, le religioni, le chiese. E avvenga così in pienezza quel Regno che Gesù, anticipando l’ora, inaugurò, quel giorno, alle nozze di Cana.

Le letture di questa II Domenica del Tempo Comune sono tratte da:
Profezia di Isaia, cap.62, 1-5; Salmo 96; Lettera ai Corinzi, cap.12, 4-12; Vangelo di Giovanni, cap.2, 1-11.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le Comunità e Chiese cristiane.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Roberto de Nobili, missionario e sannyasi gesuita, e di Achaan Chah, monaco e maestro buddhista.

Roberto de Nobili era nato nel 1577 a Montepulciano, in Toscana, ed era entrato ventenne nella Compagnia di Gesù, a Napoli. Terminati gli studi, nell’ottobre 1604, partì come missionario alla volta dell’India, sbarcando nella città di Goa, il 20 maggio 1605. Ben presto, il missionario si rese conto della diffidenza e dell’ostilità che circondava l’azione dei missionari europei, sommariamente identificati come agenti della penetrazione coloniale. Sulla falsariga di quanto aveva compiuto, in Cina, il suo confratello Matteo Ricci (1552-1610), de Nobili fece sua la sfida dell’inculturazione del messaggio cristiano. Recatosi nella citta di Madurai, studiò le lingue tamil, telugu e sanscrito, fino a dominarle completamente e prese poi ad approfondire la cultura e la religione hindu, guadagnandosi via via il rispetto e la considerazione dei bramini locali. Col permesso dei superiori, lasciò la tonaca nera per vestire la tunica rosso-ocra dei santoni hindu; prese ad abitare in una semplice capanna e adottò la dieta semplice e vegetariana, caratteristica del luogo. Ma, più ancora, smise di ricorrere a concetti e terminologia mutuati dalla filosofia greca, per assumere quelli della filosofia e religione indiane. Questo non mancò di procurargli qualche fastidio e perfino qualche fulmine ecclesiastico di troppo. Ma, tutto è bene quel che finisce bene, e il nostro con ostinazione profetica, non si lasciò intimorire. Appellatosi a Roma, si vide resa giustizia dal papa Gregorio XV, nel 1621. Scrisse numerosi trattati in tamil, telegu e sanscrito. Dopo una vita spesa nella preghiera, nello studio e nel dialogo, de Nobili morì quasi cieco, a Mylapore, il 16 gennaio 1656. Tre anni dopo la sua morte, l’ufficio di Propaganda Fide richiamava in qualche modo l’esperienza del gesuita, affermando senza ambiguità che i missionari europei non dovevano portarsi appresso i bagagli culturali di Francia, Spagna o Italia o di qualsivoglia altra parte d’Europa, ma solo la Fede, che non rifiuta, né intende pregiudicare, riti e costumi delle popolazioni evangelizzate.

Achaan Chah nacque il 17 giugno 1918, in una famiglia agiata di un villaggio agricolo, nella Tailandia nordorientale. Novizio all’età di nove anni, ricevette l’ordinazione monastica a vent’anni, decidendo così di seguire l’austera vita dei monaci della foresta, nell’ambito della tradizione buddhista therevada. Un influsso indelebile ebbe sulla sua vocazione la figura di Achaan Mun, che lo guidò sulla via della meditazione. Divenuto lui stesso maestro di meditazione, nel 1954 si stabilì in un bosco nei pressi della città natale, dove diede vita al Wat Pah Pong, il primo monastero della foresta, da cui sarebbero sorti negli anni successivi altri ottanta monasteri simili, sparsi in tutta la Tailandia. Spese la vita nella povertà, insegnando a combattere l’avidità, l’avversione, l’illusione, con pazienza e perseveranza. Achaan Chah morì il 16 gennaio 1992 in seguito ad una lunga malattia. Un milione di persone, giunte da tutto il paese, seguì i suoi funerali.

Bene, noi ci si congeda qui, lasciandovi ad un insegnamento di Achaah Chah, tratto da un suo scritto che troviamo in rete con il titolo “Una pace incrollabile” e che, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Possiamo andare a studiare tutto ciò che i libri dicono a proposito dei fattori psicologici della mente, ma questo tipo di conoscenza intellettuale non serve ad eliminare concretamente il desiderio egoistico, la rabbia e l’illusione. Studiamo solo la teoria riguardante il desiderio egoistico, la rabbia e l’illusione, che descrive semplicemente le varie caratteristiche di queste contaminazioni mentali: “Il desiderio egoistico ha questo significato; la rabbia vuol dire ciò; l’illusione si chiama così”. Se conosciamo solo le loro qualità a livello teorico, possiamo parlarne solo a quel livello. Li conosciamo, siamo intelligenti, ma quando questi inquinanti appaiono in pratica nella nostra mente, corrispondono alla teoria o no? Per esempio, quando sperimentiamo qualcosa di sgradevole, reagiamo e diventiamo di cattivo umore? Ci attacchiamo ad esso? Riusciamo a lasciar andare? Se sorge l’avversione e la riconosciamo, continuiamo a rimanerci attaccati? Oppure, nel momento che la vediamo, la lasciamo andare? Se troviamo che vediamo qualcosa che non ci piace e tratteniamo questa avversione nel cuore, sarebbe allora meglio tornare a studiare tutto daccapo. Perché così non va bene. La pratica non è ancora perfetta. Quando raggiunge la perfezione, il lasciar andare avviene semplicemente. Guardatelo sotto questa luce. (Ajahn Chah, Una pace incrollabile).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 16 Gennaio 2022ultima modifica: 2022-01-16T22:01:59+01:00da fraternidade
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